Dopo la giornata contro la violenza sulla donna resta il problema di come combatterla

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Le iniziative e i presìdi sono tanti, ma sono necessari interventi mirati e capillari. Intanto un questionario online può aiutare le donne a prevenire.

Domenica scorsa, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, decine di manifestazioni in tutta Italia e lunghe trasmissioni TV hanno finalmente acceso i riflettori su una realtà a lungo denunciata anche in queste pagine e troppo spesso trascurata e sottaciuta. L’assassinio della donna da parte del compagno, marito, amante, padre, fratello causato dalla totale incapacità da parte dell’assassino di accettare e rispettare la donna come un essere umano autonomo e indipendente è stato definito femminicidio. Il termine è stato usato per la prima volta nel 1992 dalla criminologa Diana Russell e da allora, tra polemiche varie, si è diffuso sempre di più, a causa, purtroppo, dell’estensione del fenomeno.

In Italia dall’inizio dell’anno ce ne sono stati 115, ed è di ieri l’altro la notizia di un uomo che ha ucciso la moglie a martellate. I femminicidi sono solo la punta dell’iceberg perché la violenza sulla donna è frequente e poco riconosciuta. Ora la questione, al di là delle analisi sulle cause, che pure è essenziale per poter sperare in un cambiamento, è che alla maggior parte delle donne manca la capacità di valutare fino in fondo quanto certi atteggiamenti del partner siano pericolosi e siano segnali di possibili evoluzioni tragiche delle loro relazioni. Dopo la spallata data alla cultura tradizionalista e maschilista dagli anni 60 e 70 del novecento, le donne, a cominciare dalle più giovani, non hanno più un sistema di valori di riferimento alternativo e che sarebbe essenziale all’autodifesa.

Ad esempio negli anni 70, e senza bisogno di essere politicamente attivi o impegnati, era convinzione comune che la gelosia non fosse un sentimento poi così positivo e, lasciando da parte gli eccessi cui questa convinzione pure portò, questo significava che chi si mostrava geloso e possessivo non godeva di riconoscimento e sostegno sociale. Le donne e gli uomini avevano diritto alla loro libertà, alle loro scelte e pensare al proprio futuro solo in termini di “sistemazione affettiva” non suscitava certo ammirazione. Attualmente le giovani donne, soprattutto quelle di classi sociali più disagiate, considerano essenziale avere un fidanzato. Inoltre è normale, anzi auspicabile, che questo fidanzato sia geloso e che di conseguenza, ad esempio, vieti loro di uscire sole o fare scelte lavorative che le allontani da loro o che, comunque, non siano da loro approvate e concordate.

Questi atteggiamenti vengono generalmente classificati dalle ragazze come “amore”. Manca loro la bussola, che con la deriva conservatrice degli ultimi vent’anni sembra completamente persa, che le possa guidare a riconoscere in essi, invece, la possessività e la fragilità maschile, il bisogno di rassicurazione e anche il pericolo per sé. Inoltre, ed è purtroppo storia vecchia e certo non dipende dai peggioramenti recenti nella condizione femminile, per le donne è estremamente difficile riconoscere la realtà della situazione di violenza, denunciarla e uscirne, perché naturalmente questo significa dichiarare la fine di un rapporto, la rottura dell’unità familiare, e spesso è più facile, o paradossalmente meno doloroso, sperare e illudersi piuttosto che voltare pagina in maniera irrevocabile.

Denunciare è’ anche rischioso, perché se non si è adeguatamente sostenute e protette si rischia una violenza peggiore e in molti casi gravi difficoltà economiche se la donna non lavora ( in Italia quasi una su due).
Una delle novità più interessanti, a cui si dovrebbe dare, a mio parere, massimo rilievo, è un questionario online, denominato SARA e disponibile sul sito CESVIS (Centro studi vittime SARA), che si compila in forma anonima e che dà un’immediata risposta sul grado di rischio di una relazione. Come afferma la criminologa Anna Costanza Baldry nel 70% dei casi di femminicidio erano suonati i campanelli di allarme, ma nessuno li aveva sentiti. Quindi valutare il rischio è essenziale per prevenire il peggio.

SARA è l’acronimo di "Spousal Assault Risk Assessment" ed è un protocollo preciso che identifica la probabilità di abusi domestici. La maggioranza degli assassini avevano già usato violenza precedentemente, quindi la recidiva è un elemento importantissimo. Altri segnali di allarme sono la violenza sui figli o la minaccia di uccidere o di uccidersi. In base all’analisi attenta di tutti gli elementi si può prevedere se c’è la possibilità di un’escalation. Ora questo protocollo è stato trasformato in un questionario di facile compilazione. Se, una volta compilato, viene attribuito (proprio come al pronto soccorso) il semaforo rosso, vuol dire che il rischio è alto. Il sito fornisce anche i numeri del telefono anti-violenza e le indicazioni su come chiedere aiuto.

Bisogna che sia chiaro che la violenza domestica non è affatto, come è spesso comune convinzione, un problema privato in cui non bisogna intromettersi. E’ invece un problema sociale e come tale deve essere affrontato. Sono necessarie azioni educative capillari. E’attraverso la scuola pubblica e i media che devono passare contenuti e valori diversi e che bisogna trasmettere il rispetto per la donna. Non è possibile strumentalizzare ai fini commerciali l’immagine della donna, trasmettendo nel peggiore dei casi addirittura una legittimazione della violenza (si pensi a certi recenti cartelloni pubblicitari a sfondo sadomaso) e poi pensare di risolvere i problemi con campagne ad hoc che, nonostante il nobile intento, a questo punto possono poco.
(Fonte Foto:Rete Internet)