Diritto all’autodeterminazione o mercificazione del corpo della donna? Una questione spinosa che attraversa i movimenti delle donne.
L’appello di SNOQ contro quella che il movimento stesso definisce, accogliendo senza dubbio il termine più comune, “maternità surrogata” e la lunga e argomentata risposta pubblica di Michela Murgia hanno squarciato il velo che copriva, evidentemente, l’incertezza e, forse, la mancanza di analisi collettiva su questi temi da parte dei movimenti delle donne. Snoq rompe il silenzio lo scorso dicembre e chiede di firmare un appello contro la pratica dell’utero in affitto, per ora vietata in Italia, vista come un assoggettamento del corpo della donna, non più al patriarcato, ma al mercato. Un passo indietro micidiale rispetto alle conquiste tanto faticosamente raggiunte a prezzo di dure lotte nell’ultima parte del secolo scorso. Si tratta, dice il documento, di una pratica che nega alla donna la libertà di scelta: “il percorso di vita che una donna e il suo futuro bambino compiono insieme è un’avventura umana straordinaria. I bambini non sono cose da vendere o da “donare”. Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li ha portati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventano merce.”
Il documento ha raccolto centinaia di firme e tra le prime troviamo Dacia Maraini, Stefania Sandrelli, Claudia Gerini e tante altre donne e uomini notoriamente impegnati nel campo della difesa dei diritti di genere. Ad una prima lettura il documento sembra perfettamente coerente con tutti i principi di libertà, autodeterminazione, rispetto della donna e del bambino che si sono portati avanti per tanti anni e non c’è dubbio che l’idea di “commissionare” un figlio ad una donna che accetti di portare avanti una gravidanza per altri per poi separarsene alla nascita è come minimo disturbante. Cozza con il bagaglio di conoscenze e sentimenti sulla maternità, diciamo così, che ciascuno di noi, femminista o meno, si porta dietro da sempre. Abbiamo anche assistito a scene comiche, e dato l’argomento e la sede tristissime, che si sono svolte nel Senato della Repubblica, con senatori cha hanno parlato di mici che non si allontanano dalla gatta prima di sessanta giorni e cose del genere.
E tuttavia Michela Murgia si rifiuta di firmare e la prima motivazione che adduce nella sua risposta pubblicata su Repubblica è che non di maternità surrogata si tratta, ma di gravidanza per altri. E l’obiezione non è affatto una questione di lana caprina perché proprio la coscienza femminista ha portato il mondo alle soglie del duemila a considerare la maternità non più una necessità naturale da subire ad ogni latitudine, un destino inevitabile della donna che anzi, laddove tale destino non si compisse, restava un essere umano incompiuto e manchevole di senso, ma una scelta libera della donna. La maternità non si può più, proprio in virtù di quelle conquiste, confondere con la gravidanza. Tecnicamente quella che la Murgia chiama gravidanza per altri è semplicemente una gravidanza indesiderata che termina con un parto, quindi portata a termine, e non interrotta. La maternità frutto di libera scelta, infatti, non si riduce al portare avanti una gravidanza (la legge consente comunque alla madre di rinunciare dopo partorito restando anche anonima), ma nello scegliere di assumersi la responsabilità genitoriale del bambino partorito. Se la legge consente alla donna di interrompere la gravidanza indesiderata o di portarla a termine scegliendo, però, di non diventare madre, su quali basi dovrebbe vietare che la stessa scelta fosse compiuta dietro compenso? Perché si tratta di mercificazione del corpo della donna, è la risposta. Le donne disposte a questa pratica lo farebbero in maggioranza per bisogno. E’ vero, ma è anche vero che la legge annovera tra le motivazioni legittime per l’interruzione proprio le condizioni economiche difficili. Del resto chi si sentirebbe di negare che sulla scelta libera della maternità gravano come un macigno le condizioni economiche delle future madri? Non sono forse quelle a determinare in tanti casi le scelte? Nella realtà la libertà delle donne è sempre fortemente limitata e influenzata dalla situazione sociale ed economica e questo non è un mistero per nessuno.
Secondo la Murgia non fare una legge su questa questione spingerà nella zona d’ombra la pratica della gravidanza per altri, privando le donne di qualsiasi garanzia e protezione. I genitori committenti potranno decidere di non volere più il bambino perché non corrisponde alle aspettative, potranno rifiutarsi di pagare spese mediche non previste eccetera eccetera. Un punto mi sembra veramente importante nel discorso di Michela Murgia: bisognerebbe non solo legiferare per garantire alla gestante ogni tipo di protezione, ma anche lasciarle fino alla fine il diritto di cambiare idea e tenersi il bambino.
E tuttavia, anche se mi sento di condividere l’articolo di Michela Murgia, una riflessione che è presente nell’appello di SNOQ manca invece nella risposta della scrittrice. Ed è se avere un figlio con i nostri geni sia o no un diritto. Il problema riguarda coppie etero, omo e single. Qualunque essere umano può trovarsi nella vita nella situazione di desiderare ardentemente un figlio e non poterlo avere per problemi di salute o, in generale, che attengono alla biologia. E’ legittimo ricorrere a qualunque metodo pur di avere un bambino “proprio”? Nel mondo muoiono per mancanza di assistenza 16.000 bambini ogni giorno. C’è qualcosa che evidentemente non funziona. Il desiderio di un figlio “proprio” potrebbe in fin dei conti discendere dalla stessa cultura maschilista denunciata dai movimenti delle donne. E’ per assicurarsi una discendenza geneticamente determinata che è stato inventato il matrimonio, che l’infedeltà coniugale è diventata un tabù, che la famiglia, tutt’altro che naturale, si è formata nel corso dei secoli così come la conosciamo oggi. Nelle società matriarcali i bambini erano di tutti, tutta la comunità li allevava e li proteggeva e chi fosse il padre spesso non si sapeva. E’ così terribile diventare genitori di un bambino con la consapevolezza che il bambino appartiene a se stesso e a nessun altro? Che sono tutti figli nostri?
C’è un ultimo punto. Se avere un figlio biologicamente proprio non fosse un diritto non lo sarebbe per nessuno, etero e omo. Temo, invece, che dietro i tanti dubbi, pure legittimi, sulla gravidanza per altri sia forte la resistenza ad accettare il diritto degli omosessuali ad essere genitori. E questa mi sembra proprio un’aberrazione. La fecondazione artificiale funziona ed è accettata da anni per le coppie eterosessuali sterili. Le donne omosessuali, in fondo, non fanno altro che ricorrere ad una fecondazione artificiale eterologa, come fanno le mogli il cui marito è sterile e questa cosa viene più o meno accettata. Ma un omosessuale maschio, per fare la stessa cosa, ha bisogno di un “utero in affitto”, ed è probabilmente questo aspetto che provoca rifiuto in tanti benpensanti.
Io smetterei di chiederci ossessivamente se un omosessuale possa o meno essere un buon genitore (del resto per secoli, costretti dalle regole della società, gli omosessuali si sono sposati e hanno avuto figli). Se abbiamo veramente a cuore la vita dei bambini facciamo qualcosa per quelli che annegano ogni giorno nel mediterraneo e chiediamoci cosa possiamo fare per quei 16.000 bambini che ogni giorno chiudono gli occhi su questo pianeta.
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