Dalla Calabria un brutto segnale per la questione femminile

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L’università della Calabria ha abolito il corso di Studi di Genere. Continua ad essere marginale la questione femminile e le sue conseguenze.

Sembra proprio che la condizione delle donne, la loro storia, e quindi gli innegabili contributi che hanno dato alla storia e all’evoluzione dell’umanità nel suo insieme, siano da considerare inutili e marginali. Sì, perché a fare le spese dei tagli apportati dai vari governi, che si sono succeduti negli ultimi anni alla guida del paese, sono stati nelle università anche gli studi di genere. All’Università della Calabria è stato recentemente chiuso il corso di Studi di Genere, creato e tenuto per dodici anni da Laura Corradi. Pare che il corso sia stato annoverato tra quelli da abolire perché superfluo. Eppure in un Dipartimento di Sociologia, per studenti e studentesse che avranno in gran parte a che fare con i problemi della violenza, dell’emarginazione e della discriminazione, gli Studi di genere, lungi dall’essere inutili, dovrebbero essere considerati essenziali.

La notizia ha fatto il giro del web, suscitando commenti fortemente critici di donne da sempre impegnate in questo campo, ma anche di uomini, commentatori sensibili al tema. Ma non è abbastanza. Almeno non ancora.
Questa brutta storia, che avviene nella vicina Calabria, fa il paio con la cancellazione dei nomi di donne, letterate, scienziate e filosofe, dai programmi recentemente stilati per i concorsi a cattedra e di cui già si è parlato in questa rubrica. Mentre negli altri paesi del mondo occidentale le questioni di genere sono normalmente inseriti nei curricula di studio, esistono regolari corsi universitari, dottorati, istituti di ricerca che godono dello stesso rispetto e dello stesso spazio degli altri studi, in Italia si sta tornando indietro rispetto ai piccoli passi avanti che si erano fatti.

Come scrive la studiosa Paola Di Cori, insegnante di studi culturali e di genere all’università di Urbino, le nostre studentesse che hanno potuto svolgere i propri studi all’estero, giovandosi di corsi e ricerche in questo campo, sperimentano grandi difficoltà al loro ritorno in Italia. Infatti in Italia non sono previsti spazi per chi ha condotto questo tipo di studi e quindi hanno notevoli difficoltà di inserimento. Inoltre l’atteggiamento culturale nelle nostre istituzioni e nel mondo dell’università e della ricerca è spesso ancora ostaggio di una mentalità arretrata e asfittica, che non riconosce, appunto, dignità e importanza a questo tipo di studi.

A Napoli, alla Federico II, è da anni attiva una scuola di dottorato di Studi di Genere, che ha prodotto decine di studi e dossier, oltre alla rivista “La Camera Blu”, ora online. E’ un’eccellenza, ma circoscritta, anzi, accerchiata. Quello che si vuole mettere in evidenza è che le questioni di genere, che si sono affacciate come oggetto di studio accademico e non, sulla scena italiana fin dagli anni 70 del novecento, sono rimaste marginalizzate, spesso inserite all’interno di altri percorsi, e si stenta ancora molto a riconoscere loro pari dignità e (il termine forse è abusato, ma è corretto) pari opportunità.

Come è possibile pensare di combattere fenomeni come la violenza domestica, la violenza sessuale e il femminicidio, senza che questo genere di studi si sviluppino e si diffondano? Come possono gli operatori ricevere adeguata formazione se i formatori non dispongono dei necessari strumenti? Gli assistenti sociali devono essere in grado di studiare la realtà in cui operano e intervenire in attività di prevenzione dei problemi, non solo essere formati ad assistere le vittime quando la violenza e i maltrattamenti si sono già verificati. Come si può sperare di migliorare i servizi e contrastare le conseguenze di degrado culturale ed economico senza predisporre una formazione adeguata in materia di prostituzione, transessualità, condizioni delle donne migranti?

Perché il punto è questo: tenere gli studi di genere in condizioni di subalternità significa perpetuare il sistema culturale e sociale che è alla base dei fenomeni che, almeno a parole, tutti vogliamo combattere.
E’ necessario che l’opinione pubblica si mobiliti per sostenere la necessità e la dignità disciplinare degli studi di genere.
Per chi vuole farlo è possibile firmare online una petizione per la riattivazione del corso all’università della Calabria, scrivendo a vogliamostudidigenere@grrlz.net.
(fonte foto:rete internet)