Di Amato Lamberti
Non sembri un accostamento paradossale, ma il massacro a sprangate dei coniugi Ambrosio nella loro villa di Posillipo, appreso alle prime luci dell”alba, mi ha immediatamente riportato alla mente il massacro a morsi, sul prato dei suoi giochi, del povero bambino siciliano ad opera di un branco di cani randagi. Anche gli uomini, come i cani, possono inselvatichirsi, ridursi alla condizione di predatori, che sanno solo assalire, violentare, uccidere per soddisfare le esigenze istintuali più elementari, senza avere più la capacitĂ di mediarle con le regole anche minime del vivere sociale.
Ridotto allo stato di natura, come accade anche durante le guerre, l”uomo ridiventa una bestia feroce, irrazionale, incapace di tenere a freno gli istinti aggressivi che ne guidano e orientano la lotta per la sopravvivenza. Il male non è mai banale, casuale, immotivato, senza ragioni. La lezione della Arendt è ben più profonda delle banalizzazioni correnti: anche le societĂ , sostiene la studiosa tedesca, possono regredire allo stato primitivo, dove l”altro è ridotto a nemico e, quindi, a preda da aggredire e distruggere prima che possa farlo lui, magari in maniera subdola e diluita nel tempo.
La nostra societĂ non si trova nelle condizioni morali e sociali in cui il nazismo aveva ridotto la societĂ tedesca.
Piuttosto siamo nelle condizioni che tanti cronisti e letterati medioevali descrivevano parlando del loro tempo: una condizione egualmente pericolosa ma di cui facciamo fatica a prendere coscienza. Un fenomeno dagli esiti disastrosi, finora sottovalutato se non ignorato, sta crescendo sotto i nostri occhi senza che siamo ancora capaci di vederlo: branchi di uomini randagi si aggirano per l”Italia, ci passano continuamente accanto, sostano nelle nostre strade, nelle nostre piazze, ci chiedono l”elemosina, un pezzo di pane, un lavoro qualsiasi, o si limitano a guardarci, magari sdraiati per terra, ma non ci interessa nemmeno penetrare nella profonditĂ di quegli sguardi. Vengono da tutti i paesi del mondo, vengono dall”Europa dell”Est, dal centro-Africa, dall”estremo Oriente, da paesi dove giĂ , in molti casi, la vita civile era regredita alla lotta primitiva per la sopravvivenza.
Questi branchi di uomini, sradicati da un contesto di relazioni primarie e familiari che comunque ne controllava e governava la socialitĂ , ridotti alla condizione di randagi che elemosinano la sopravvivenza, scacciati ed emarginati in discariche di rifiuti umani accatastati tal quale, che ne possono alimentare solo l”aggressivitĂ , inselvatichiscono e diventano feroci. Due sole strade abbiamo davanti per far fronte ad un fenomeno che è cresciuto senza che fossimo capaci di accorgercene: le aggressioni in villa le avevamo giĂ registrate al Nord Italia, in Veneto e Lombardia, ma a Napoli ci hanno colto come di sorpresa, quasi che da noi per oscure ragioni certe cose non potessero accadere.
Due strade: la prima è quella di raccogliere i randagi , chiuderli da qualche parte, come una discarica- galera, da cui non potranno più uscire, ma ci troveremmo costretti a costruire sempre nuove discariche-galera fino a che non sapremo più dove metterli. Certo potremmo anche macellarli subito, come pure qualcuno sostiene, ma ce lo vieta la nostra cultura giuridica, oltre che il senso morale: la seconda, più razionale e per questo più difficile, è quella di non lasciarli randagi per strada e abbandonarli nelle discariche; favorirne l”integrazione, anche attraverso una politica seria di regolazione degli ingressi, e il raggiungimento rapido dei diritti di cittadinanza, dandogli un lavoro e una casa, dandogli dignitĂ e diritti, per rendere anche credibile la richiesta, senza nessuna deroga, dell”osservanza dei doveri che la convivenza civile impone.