Ai dati allarmanti sulla situazione delle carceri si aggiungono le considerazioni sulla specificità della condizione femminile
Pochi giorni fa l’Osservatorio Nazionale sulla Detenzione, della associazione Antigone, ha denunciato la situazione estremamente critica in cui versano le detenute nella casa Circondariale femminile di Pozzuoli.
Dopo una visita all’istituto, infatti, l’osservatorio ha rilevato un sovraffollamento insostenibile, 200 detenute stipate in una struttura che potrebbe ospitarne solo 91. Ma le criticità non consistono solo nella quantità delle detenute, fino a 13 in un camerone. Antigone ha parlato di ambienti degradati per l’ umidità e la mancanza di manutenzione, inoltre ha rilevato l’ insufficiente numero di educatori e l’ assenza di mediatori culturali, cosa grave in quanto le detenute straniere sono ben 70. Si rischia anche un ulteriore aggravamento della situazione se sarà allestito un reparto psichiatrico per ovviare alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
La notizia dei risultati dell’indagine è stata riportata da molte testate cittadine e regionali dando risalto all’allarme lanciato dall’associazione, che dalla fine degli anni ottanta si occupa delle carceri in Italia. Tuttavia il dato che più balza agli occhi, se si dà un’occhiata ai dati sulla detenzione nel nostro paese da un punto di vista di “genere”, non sono le situazioni di sovraffollamento e di inadeguatezza del sistema sotto l’aspetto dell’integrazione e del reinserimento. Questi dati, infatti, purtroppo, sono comuni alle strutture detentive maschili e femminili.
In Italia gli istituti esclusivamente femminili sono soltanto 5 (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli, Venezia Giudecca ) mentre sono 52 le sezioni femminili negli istituti maschili. Se si tiene conto che le donne non superano mai il 5% della popolazione detenuta totale si capisce perché la specificità delle donne ristrette rappresentano un “non problema” nella gestione del sistema carcerario. In sostanza le donne rinchiuse negli istituti di pena sono marginali e le donne straniere in carcere sono marginali due volte.
Le donne in situazione di detenzione hanno maggiori difficoltà nel gestire il distacco dai figli e dalla famiglia, con sensi di colpa che determinano una minore adattabilità alla detenzione e una maggiore propensione alla depressione e a sviluppare ansia e malattie psicosomatiche. Hanno bisogno di strutture igieniche adeguate e di prodotti per la cura di sé e del corpo. Recentemente il problema della specificità femminile è stato posto anche in carcere a più livelli e si sono visti dei miglioramenti. Il Parlamento Europeo già nel 2008 aveva stilato un report della Commissione sui diritti delle donne e la differenza di genere sulla situazione delle donne detenute e le conseguenze della detenzione sulla vita familiare e sociale, e anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2009 aveva elaborato un rapporto sulla salute delle donne in carcere.
Tuttavia, i suggerimenti e le proposte di questi organismi non sono ancora stati assimilati dagli organi, dalle istituzioni e dagli operatori del settore, che tendono a trattare i problemi e le difficoltà delle donne allo stesso modo in cui vengono trattati quegli degli uomini. Nel 2008 una circolare della Direzione generale dei detenuti ha divulgato uno schema di regolamento interno per le sezioni femminili che accoglie istanze di questo tipo e in base al quale è stato possibile, ad esempio, per l’amministrazione farsi carico del rifornimento di assorbenti intimi e di prodotti cosmetici.
Un’altra grossa novità è stata costituita dal tentativo di migliorare la situazione delle detenute madri e dei loro bambini di età inferiore ai tre anni. E’ stato introdotto l’ICAM, l’istituto a custodia attenuata per madri, dove le donne sono detenute in un appartamento con portineria, lavanderia e ludoteca, insomma un ambiente per quanto possibile simile ad una casa, per ridurre le conseguenze negative delle misure restrittive sui bambini. Queste però sono situazioni all’avanguardia e ancora poco diffuse. Inoltre le misure attenuate sono concesse quando non c’è pericolo di commissione di nuovi reati da parte della detenuta, requisito che non si verifica quasi mai, in quanto moltissime sono le recidive.
E qui si pone la domanda cruciale, cioè per che tipo di reati vengono condannate le donne, come mai essendo più del 50% della popolazione sono solo il 5% della popolazione detenuta, dato che si riscontra identico anche a livello europeo. Per lo più i reati commessi da donne non sono di natura violenta. Sono reati contro la proprietà e infrazioni alla legge sugli stupefacenti. Questo tipo di reato è caratterizzato da detenzioni brevi e alto grado di recidiva. Questi dati, insieme all’alta percentuale di donne straniere tra le detenute, rimanda direttamente alle carenze delle politiche sociali sul territorio. In sostanza il discorso sulle carceri e sulla detenzione non può essere scisso dalle scelte politiche dello Stato riguardo alle questioni più specificamente di genere.
Il pur basso numero di donne detenute, in altre parole, è comunque dovuto a situazioni di sudditanza economica, alla responsabilità della cura, (che lo Stato, quando è in difficoltà, costantemente scarica sulle spalle delle donne tagliando il welfare), alla tossicodipendenza, all’emarginazione, al disagio mentale. Non si può parlare di reinserimento se non si tiene conto di tutti questi fattori.
(Fonte foto: Rete Internet)