“LA PAROLA FORMIDABILE: GUERRA!”

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Nella primavera del 1915 l”Italia entra in guerra. Il Paese è lacerato e diviso ma la scelta ormai è compiuta. “Un”inutile strage ed orrenda carneficina”, la definisce Papa Benedetto XV. Di Ciro Raia

La guerra, che si sta combattendo sul fronte europeo sin dal 1914, mette il popolo italiano di fronte ad una scelta tra neutralisti ed interventisti. Neutralista è la posizione del primo ministro Salandra, come quella dei cattolici; neutralisti sono i socialisti, che dichiarano di non essere disponibili a dare “nè un uomo nè un soldo per la guerra”, quella stessa guerra che accresce gli utili degli industriali e mette contro gli operai dei vari paesi.

Decisamente interventisti sono il re, gli industriali e gli irredentisti. Interventista è Mussolini, che dalle colonne dell”Avanti! contro la linea di neutralità dei socialisti, auspica il coinvolgimento dell”Italia nella guerra. Egli è passato dall”antimilitarismo del 1912 all”interventismo del 1914. Proprio per questa sua posizione è, perciò, espulso dal partito socialista. Il segretario politico, Costantino Lazzari, durante l”assemblea di partito del 24 novembre, dice: “Formulo qui l”atto di accusa di indegnità morale e politica contro Benito Mussolini. Se voi siete solidali con la guerra dei re , allora mantenete fra voi Mussolini. Se a questa guerra siete contrari, espelletelo e farete opera buona”.

Nella primavera avanzata dell”anno 1915 anche l”Italia entra in guerra al fianco delle potenze della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia). La decisione desta sorpresa in quanto l”Italia è legata alla Germania dal patto –di natura difensiva- della Triplice Alleanza (1882), che vincola i firmatari a prestarsi reciproco soccorso in caso di un attacco armato da parte di altre nazioni. Però, visto che ad attaccare la Serbia sono state l”Austria e la Germania, questa volta l”Italia non ritiene di doversi schierare a fianco degli alleati. Anzi, Vittorio Emanuele III dichiara: “l”Italia è intenzionata a rimanere in pace e in amicizia con tutti”.

Ma le ragioni della scelta italiana sono ben altre. Il Paese ha patteggiato la sua entrata in guerra, al fianco dell”Intesa, sin dal mese di aprile, a Londra. Il “tradimento” italiano, in caso di vittoria, sarà ricompensato con l”annessione di Trento, del Tirolo, di Trieste, di Gorizia, dell”Istria, di parte della Dalmazia, con un protettorato sull”Albania ed il possesso della città di Valona, con alcuni possedimenti coloniali nell”Africa tedesca.
Il giorno dell”entrata in guerra dell”Italia, il 24 maggio 1915, il Corriere della Sera scrive: “La parola formidabile tuona da un capo all”altro dell”Italia e si avventa alla frontiera orientale, dove i cannoni la ripeteranno agli echi delle terre che aspettano la liberazione: guerra! È l”ultima guerra dell”indipendenza [:]”.

L”esercito italiano si compone di 23.000 ufficiali, 852.000 soldati, 9.160 civili, 144.522 animali. Il comando delle operazioni militari è affidato al generale Luigi Cadorna. Il fronte di guerra si estende per oltre 600 chilometri, dallo Stelvio al mare; la sua difesa è nel coraggio e nel sacrificio di migliaia di giovani; è negli oggetti di morte costruiti dalla Breda di Milano o dall”Ansaldo di Genova: 1.600 cannoni, 100.000 bombe a mano, 700 motori per aerei!

I giudizi sulla guerra sono contrastanti. Giovanni Papini la definisce “risvegliatrice di infiacchiti”; Benedetto Croce parla, invece, di “religiosa ecatombe”; Gaetano Salvemini parla di uno “strumento doloroso ma necessario di più larga pace”. In netto contrasto, poi, i giudizi di Filippo Tommaso Marinetti, che parla della guerra come “igiene del mondo e sola morale educatrice”, e di Benedetto XV, che la definisce “un”inutile strage ed orrenda carneficina”.

ANTOLOGIA

Dal Patto di Londra del 1915

Manifesto del Partito Socialista

I redattori di “Lacerba”

La leggenda del Piave

LA SCUOLA. ROVINATA DALL’ATTUALE POLITICA

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L”anno scolastico che sta per chiudersi è stato all”insegna dell”incertezza e dei proclami. Quello prossimo ci affiderà una Scuola di Stato più o meno cancellata. Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
Spero che il trattamento riservatomi la settimana scorsa sia stato del tutto casuale. La mia rubrica, come ben sai, non solo non è stata inserita in “Pensare italiano” ma è stata anche tolta dalla prima pagina del “Mediano.it” in meno di 24 ore. Ti sei offeso perchè ti ho chiamato cancherone, ho pestato i piedi a qualcuno, ho divagato troppo, ho infilato troppi errori o che altro?

Ad ogni modo riprendo con rinnovato entusiasmo, salvo, poi, a non dovermene pentire. Dunque, nonostante tutte le cronache abbiano messo in primo piano il battesimo del Pdl e le esternazioni del suo mentore e padrone, credo che l”argomento su cui tornare a riflettere sia sempre quello riguardante la scuola. Tu che dici che siamo ancora un po” troppo lontano dal prossimo settembre? Secondo me, invece, conviene parlarne sempre più ad alta voce e, possibilmente, con quante più voci insieme. La scuola di Stato è irrimediabilmente cancellata. Con l”inizio del nuovo anno scolastico i posti in meno (meglio, i posti immolati alla logica del risparmio, non certo per il miglioramento dell”offerta) dei lavoratori della scuola saranno circa 40.000.

Ad ogni nuova conta, facci caso direttore, sembra di ascoltare un bollettino di guerra. Una guerra che falcidia posti di lavoro, sradica ogni speranza di futuro, non fa manco uno sconto ad un progetto di società che si regge solo sul consenso acritico e mediatico, con la rivisitazione (in peggio) delle regole democratiche e di tutto quanto (poco o molto) di buono o di decente è stato costruito negli anni passati ed anche più oltre.

Il 50% dei tagli interessa il Sud, le scuole del Mezzogiorno. E, poi, l”aumento del numero di alunni per classe (fino a un massimo di 29 per le materne, 27 per le elementari, 28 per le medie e 30 per le superiori), l”abbandono del tanto sbandierato potenziamento della lingua inglese (alle elementari circa 2000 insegnanti di inglese in meno!), una sforbiciata notevole di ore di insegnamento in ogni ordine di scuola, un tetto (con quale percentuale? Lo stabilisce la Lega nord!) per l”ingresso nelle classi degli alunni stranieri, la discriminazione nella valutazione per quanti non si avvalgono dell”insegnamento della religione (chi insegna attività alternative è escluso dal consiglio di classe) e -ma non per ultimo- la riduzione degli insegnanti di sostegno per gli alunni disabili. Insomma, un”ecatombe!

Caro direttore, come ben sai, al Festival del cinema di Cannes, nel 2008, la Palma d”Oro è stata assegnata al film di Laurent Cantet “La classe”. La pellicola è tratta dall”omonimo romanzo di François Bègaudeau (pubblicato in Francia, nel 2006, col titolo “Entre les murs” ed in Italia, nel 2008, con il titolo come il film, “La classe”), che racconta di un anno di scuola in una media francese. Gli avvenimenti raccontati sono simili a quelli riscontrati nelle scuole italiane: i banchi sono affollati di alunni provenienti dall”Asia e dall”Africa che, perciò, sono portatori di un disagio forte, tipico di tutte le società migranti. Bègaudeau racconta, all”incontrario, del suo disagio e di quello dei suoi colleghi: “che bello sarebbe avere una classe di genietti, di persone che sanno parlare e capiscono il francese, invece di questi energumeni”.

Che bello sarebbe avere una scuola senza indisciplinati, fannulloni: solo alunni bravi e meritevoli. Sai, caro direttore, quel romanzo sembra scritto per l”attuale scuola italiana, per il disegno politico pensato dal nostro attuale governo. Un governo che parla di riforme a vanvera, non mette mano al portafogli e si inventa piccoli artifici come il cinque in condotta, il grembiulino e, forse, anche il cappello d”asino. Direttore, il problema a me sembra di altra natura: la scuola è solo per i meritevoli e per i capaci o anche –e sempre di più- per quelli che non hanno mezzi, non hanno capacità e meriti particolari? Non c”è bisogno di dare una risposta.

C”è bisogno di non rendere catastrofica una situazione già drammatica, che non diverte, che preoccupa, che rischia di escludere masse enormi di cittadini dai processi di trasformazione (ci sarà ancora?) della società. Così potremo trovarci anche in una situazione assurda: l”Italia, il paese che trent”anni fa, primo in Europa, eliminò le classi differenziali, oggi, grazie alla politica scolastica del governo, potrebbe farvi ritorno col suono delle fanfare!

Sto rileggendo le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar. Volevo riproportene un passo: “Che cos”è l”insonnia se non la maniaca ostinazione della nostra mente a fabbricare pensieri, ragionamenti, sillogismi e definizioni tutte sue, il suo rifiuto di abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi o alla saggia follia dei sogni? L”uomo che non dorme si rifiuta più o meno consapevolmente di affidarsi al flusso delle cose”.
Bello, vero, direttore? Perchè non proviamo a dormire un po” di meno tutti?

COMUNI SCIOLTI PER CAMORRA-5/A TAPPA

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Comune di S.Antimo. Nonostante lo scioglimento, non vi è stato nè rinnovamento nè rottura dei rapporti tra politici e clan. Gli elettori fanno a gara per salire sul carro dei vincitori. Di Amato Lamberti

Il fatto che la Campania detenga il record dei Comuni sciolti per camorra colpisce tutti gli osservatori per così dire “esterni”, giornalisti di testate nazionali e internazionali, studiosi dei fenomeni mafiosi, opinionisti televisivi e della carta stampata. L”intreccio costante tra pubblici amministratori e soggetti criminali appare, infatti, incomprensibile a quanti hanno della pubblica amministrazione una visione “astratta” come se la stessa funzionasse sulla base di regole e procedure certe, trasparenti e verificabili. In realtà non è così, anzi essa è il regno della discrezionalità più sfrenata e spesso truffaldina che si traduce anche in alti livelli di corruzione.

Come notava qualche anno fa, nel 2006, l”Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione, la corruzione è diffusa in tutta Italia e viene facilitata da fattori quali l”entità e la natura dei rapporti tra pubblico e privato nella gestione degli affari economici, aggravate dalla farraginosità delle norme e dalla scarsa trasparenza delle regole, ma è, soprattutto, “la mancata condivisione di valori etici e di codici comportamentali, quali il senso civico, che alimenta la corruzione”.

La situazione si aggrava nelle regioni meridionali dove la pressione delle organizzazioni criminali si scarica fortemente sulle amministrazioni locali per conseguire l”obiettivo di appropriarsi e di governare tutte le opportunità economiche, ma anche occupazionali e di impresa, gestite dalle stesse amministrazioni. Questa pressione delle organizzazioni criminali arriva fino alla occupazione delle posizioni di comando e di governo amministrativo.

Il caso del Comune di S. Antimo è emblematico. Per molti anni, il territorio comunale è stato teatro di uno scontro violentissimo fra le cosche criminali dei Puca e dei Verde. Il Consiglio comunale di S.Antimo è stato sciolto, il 28 settembre 1991, per infiltrazioni e condizionamento da parte della malavita organizzata locale, “visto che il Consiglio comunale:presenta collegamenti diretti ed indiretti tra parte dei componenti del consesso e la criminalità organizzata:constatato che la chiara contiguità degli amministratori con la criminalità organizzata ha creato una perdurante situazione drammatica nella vita amministrativa e politica dell”ente.. “.

Nel decreto di scioglimento, firmato dal Ministro dell”Interno, si legge: “Proprio i rapporti della Legione Carabinieri gruppo Napoli II:.evidenziano che si è in presenza di una struttura pubblica che strumentalizza le proprie iniziative alle finalità dei nuclei delinquenziali operanti nel territorio.
I collegamenti di taluni degli amministratori con la malavita organizzata –clan Puca Pasquale e Verde- si estrinsecano attraverso rapporti di parentela e/o cointeressi in attività economiche e patrimoniali. Risultano legati da rapporti di parentela l”attuale assessore Raffaele Ronga, imparentato con il noto pregiudicato Francesco D”Agostino, tratto in arresto in flagranza di reato con Antimo Flagiello, in quanto ritenuti responsabili dell”omicidio di Salvatore Puca, pluripregiudicato.

Del sopracitato Salvatore Puca è inoltre nipote Francesco Ponticiello ( già sindaco e assessore). Tale ultima parentela avrebbe determinato la scelta del Ponticiello quale Sindaco di quel Comune (19 giugno 1990) contrariamente a quanto già concordato in sede politica intorno al nome di Antimo Tarantino e ciò “stranamente” in concomitanza con la concessione del beneficio della semilibertà in favore del ripetuto Salvatore Puca in data 15/6/1990, che il successivo giorno 20 giugno veniva ucciso.
La cointeressenza in attività economiche si coglie soffermandosi sugli accordi in materia di appalti tra il clan di Pasquale Puca e il clan dei Verde, che operano rispettivamente attraverso le Cooperative “La Paola” e “Raggio di Sole”, addivenendo in tal modo ad una spartizione dei settori dell”imprenditoria locale.

Della Cooperativa “Raggio di Sole” è socio il consigliere comunale Aniello Cesaro unitamente ai fratelli Raffaele –legale rappresentante- e Luigi.
Lo stesso consigliere Aniello Cesaro risulta citato a comparire dalla A.G. in ordine a molteplici attività estorsive messe in atto da Pasquale Puca, capo dell”omonimo clan camorristico operante in S.Antimo e Casandrino; risulta avere in atto anche procedimenti per truffa, interesse privato in atti di ufficio, omissione di atti di ufficio e peculato”.

C”è poco da aggiungere. Si resta semplicemente esterefatti. Giustamente nel decreto di scioglimento si conclude: “Le connessioni intercorrenti tra amministratori dell”Ente ed appartenenti ad organizzazioni criminose offrono una inequivocabile chiave di lettura che pone in risalto come capillarmente siano ormai distribuiti i loro rapporti e come gli interessi della malavita organizzata siano quasi del tutto finalizzati al controllo delle attività amministrative del Comune di S.Antimo, ormai vincolato nella sua libertà discrezionale, in quanto la mentalità mafiosa ne ha permeato la struttura, le modalità operative e la prassi amministrativa”.

Naturalmente, lo scioglimento non ha prodotto quel rinnovamento democratico che ci si poteva attendere. Non ha prodotto neppure la rottura dei rapporti tra pubblici amministratori e organizzazioni criminali. Anzi, i camorristi sono diventati imprenditori e girano a testa alta sempre con la stessa tracotanza; le carriere politiche e le fortune economiche degli amministratori indicati come collusi sono continuate con successo e qualcuna continua ancora oggi, sempre con successo; la gente, continua a spingere per salire sul carro del vincitore: spera sempre di raccogliere qualcosa, fossero anche solo briciole; subappalti, forniture, autorizzazioni, sussidi, raccomandazioni.

CITTÁ AL SETACCIO

LA CITTÁ, I CRISTIANI, L’IMPEGNO POLITICO

Da dove derivano i mali delle città? Politica e sociologia si interrogano. Certo è che il non-impegno, il ritrarsi nella propria sfera, non ha giovato alle relazioni e alla crescita civica della Comunità. Di Don Aniello Tortora

Mercoledì 18 Marzo a Pomigliano d”Arco è stato presentato l”Osservatorio cittadino “V. Bachelet”.
Promosso dalla locale Azione cattolica, aperto a tutte le Associazioni e all”intera comunità cittadina, vuole essere segno di una presenza di chiesa, che attraverso i suoi laici, è impegnata ad essere “sale” e “lievito” della società.
Colgo questa bellissima occasione per riflettere questa settimana sull”importanza dei cristiani nella città.
Dice la Gaudium et spes che “l”uomo per la sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere nè esplicare le sue doti“.

È talmente ovvia questa affermazione che non ha bisogno di essere dimostrata. Ogni individuo si costruisce e si realizza solo con i suoi simili che lo circondano. Nasce così, particolarmente nei pensatori cattolici del Novecento, il concetto di “persona“, contrapposto ad “individuo“. Ciascuno di noi è tale non in omaggio ad un”identità astratta, ma grazie ad un”identità che si costruisce, si consolida e si modifica nel tempo grazie anche alle relazioni sociali. In questa ottica ognuno di noi deve in un certo senso fare i conti con la storia nella quale è immerso e che determina le forme della sua educazione, mentalità, socialità e della stessa fede religiosa.

Da questo ragionamento deriva che la maturità di una persona e di un”intera collettività si misura anche dal grado di consapevolezza di queste condizioni e sulla capacità di rapporto critico con esse. Conoscere, allora, la storia della società cui si appartiene (nelle sue varie articolazioni) significa rendersi meglio conto delle complesse relazioni umane in cui ciascuno, lo voglia o no, si è venuto a trovare.
Deriva, da tutto ciò, la consapevolezza della propria responsabilità nel costruire relazioni sociali tali da costruire un arricchimento reciproco tra tutte le persone che le intessono.

La famiglia è il primo luogo di questi rapporti. Ma sono soprattutto i “rapporti” tra le persone che compongono il gruppo sociale e tra le diverse generazioni che rendono l”uomo un essere non chiuso in se stesso ma fondamentalmente “essere sociale“.
Gli altri sono tali anche in quanto io –con il mio comportamento– contribuisco a determinarli. In questa prospettiva un”autentica relazione implica un”educazione reciproca e paritaria: nel senso che ciascuno è impegnato a trarre fuori (e-ducere) dall”altro il meglio, favorendo l”avvicinamento di ciascuno alle proprie potenzialità. “Tutti siamo responsabili di tutti“, diceva Giovanni Paolo II.

Tutti, allora, siamo chiamati a “fare storia“. Essa non è, (ovviamente, “solamente”) il prodotto dell”attività di pochi individui chiamati a ruoli eminenti o di potere, bensì la risultante di una serie pressochè infinita di relazioni umane, familiari e sociali. “La storia siamo noi“, cantava anni fa De Gregori.
Entro un tale sistema di relazioni personali, la dimensione politica risulta –alla prova dei fatti– ineludibile. Politica non è altro che la sfera nella quale si confrontano le esigenze concrete che emergono dall”incontro-scontro delle relazioni sociali.

Attività politica” –potremmo dire– è dunque tutto ciò che tende al miglioramento delle relazioni tra le persone, imponendo anche delle decisioni a cui tutti devono attenersi e riguarda ogni società. Non dobbiamo peraltro dimenticare che l”etimologia di “politica” rimanda al termine greco “polis“, “città“. Fare politica è qualcosa che attiene dunque alla città, da intendersi sia nel senso specifico di realtà urbana delimitata nello spazio, sia nel senso più ampio di “civitas“, di realtà entro cui esistono legami di comunanza e di relazioni da far progredire insieme. È a questo che si riferiva Giuseppe Lazzati parlando di “città dell”uomo da costruire a misura d”uomo“.

Diceva Giorgio La Pira, il sindaco santo di Firenze: “La città, per noi credenti, è soprattutto il luogo dove la storia degli uomini si intreccia con la storia della salvezza e sappiamo che entrambe si muovono verso la stessa direzione e la stessa meta: il regno di Dio, Regno di Pace, di amore, di fratellanza e di giustizia“.
E allora sarebbe bello che ogni città avesse il suo Osservatorio cittadino, animato da laici cristiani che vogliono nella città essere “sale” e “lievito” e in essa e per essa essere testimoni di annuncio, di denuncia e di rinuncia, a servizio del bene comune.

LA RUBRICA

OSSERVATORIO SUL DISAGIO ADOLESCENZIALE

Il disagio che i nostri giovani esprimono merita pensieri e riflessioni; le loro attese aspettano risposte dalla società. Ne parliamo a partire da oggi con una nuova rubrica.

Con questo articolo si avvia la collaborazione con la prof.ssa Annamaria Franzoni. L”argomento che sarà trattato riguarda gli adolescenti, e la nuova rubrica nasce allo scopo di creare un vero e proprio Osservatorio capace di affrontare la problematica del disagio adolescenziale su basi reali.

Ciò significa che saranno considerate certamente le problematiche esistenziali, ma senza farne il focus centrale delle varie analisi. Piuttosto, saranno passati in rassegna una serie di fattori (socio-ambientali; psicologici e relazionali; educativo-affettivi) che danno corpo al disagio creando marginalità, solitudini, disadattamento.
L.P.


Chi si chiede quali siano i motivi intrinseci ed estrinseci, le cause profonde recenti e remote di quella che può essere definita la vera Waterloo dell”educazione in riferimento al disagio sempre più diffuso dei nostri giovani, potrà provare a riflettere, attraverso questa rubrica che, a partire da questo numero accompagnerà il lettore quindicinalmente, sulla complessità della tematica, sulla diversità comportamentale che assume, sulla multiforme possibilità di interpretazione e sui numerosi livelli d”espressione in riferimento al punto di osservazione che assumiamo.

Tale situazione che, invero oggi si manifesta in modo variegato e fortemente evidente, affonda le sue radici nel complesso terreno di base del pirandelliano conflitto tra nuove e vecchie generazioni sul quale hanno, però, agito con virulenza una serie di aspettative socio-relazionali complesse per lo più disattese o improponibili in un ambito già delicato di per sè e compromesso da una serie di inefficienze e tali da richiedere oggi un intervento radicale di diversa attenzione e di più generale e complessa ramificazione sociale.

È facile , naturalmente, a questo punto rifugiarsi nel solito ben noto angolo dell” abusato ricorrere all”attuale assenza dei valori “di una volta”, esaltando il ruolo di un moralizzatore esterno che ristabilisca qualcosa che sotto questo profilo forse non c”è mai stato, evitando di affrontare su basi reali la problematica, senza chiamare direttamente in causa i soggetti della catena di distribuzione del bene -istruzione e del bene- formazione del soggetto educando.

Continuiamo spesso, così come la generazione precedente con noi, a sostenere che “il futuro sono loro” e che molto ci aspettiamo da loro in termini di impegno sociale in una realtà che diviene sempre più complessa anche grazie al contributo di nuovi soggetti provenienti da aree etniche polimorfe e portatori di ordini psico-sociali variegati e che richiedono un assetto nuovo, interessante, ma non sempre riconducibile ad una casistica collaudata e sperimentata.

Al contempo, però, con sempre maggiore veemenza, il boomerang torna sul nostro ruolo, e ce lo rammentano i protagonisti di questa nostra indagine, in quanto gli adulti siamo noi e questo mondo, ci dicono, glielo abbiamo consegnato noi così com”è. Pertanto, consapevoli che il nostro adolescente vive un momento in cui la sua personalità è in fieri, che, tuttavia, egli si pone nei nostri confronti su un piano di uguaglianza, ma anche di diversità per la nuova linfa vitale che lo agita facciamo sì che possa superarci e sbalordirci e sosteniamolo in quella che Piaget definisce il “desiderio di trasformare il mondo”. Infatti i piani di vita che esprime sono ricchi di sentimenti esaltanti, altruistici, di fervido misticismo e di messianico egocentrismo orientato alla salvezza dell”umanità.

Si va così definendo il ruolo di chi, da adulto facilitatore e animatore di questa tempestosa e confusa megalomania egocentrica, può e deve porsi come ascoltatore di questi fremiti, può e deve interpretare tempestivamente le richieste di aiuto silenti e non dilazionarle nel tempo per evitare l”aggravarsi di tali difficoltà, può e deve favorire la riorganizzazione positiva del grande entusiasmo proveniente dalla sorgente vitale della nostra società!

L”autrice è docente di materie letterarie presso il Liceo “Mercalli” di Napoli. Ha una lunga esperienza come docente-formatore in corsi le cui tematiche riguardano le Scuole situate in zone a rischio, l”Educazione alla legalità, il lavoro dei docenti impegnati con adolescenti in condizioni difficili.

È stata docente nel “Progetto Chance” e tutt”ora collabora con il maestro di strada Cesare Moreno, nel quale il progetto si identifica.
Il “Progetto Chance” è un percorso formativo di inclusione sociale che da anni impegna i maestri di strada a recuperare i giovani che evadono l”obbligo scolastico, per offrire una prospettiva di cultura e legalità, alternativa alla violenza e alla sopraffazione.

“LA BORGHESIA CHIEDE ORDINE E DISCIPLINA!”

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Alla vigilia della I guerra mondiale l”Italia è attraversata da moti di protesta. Il Paese però è in crescita, lo dimostra lo sviluppo dell”industria. Ma il Sud è sempre più indietro. Di Ciro Raia

Antonio Salandra, uno dei leader della destra liberale, nel 1914, succede a Giolitti; il governo dello statista di Dronero, tranne una breve parentesi in cui ha retto le sorti del paese Luigi Luzzati, ha avuto una vita abbastanza lunga.
Salandra si trova, come prima urgenza, a dover fronteggiare lo scontro tra lo Stato e la popolazione nella settimana rossa, un moto sociale e politico simile ad una pericolosa rivoluzione. Egli aveva vietato le manifestazioni antimilitaristiche che si sarebbero potute verificare in occasione delle sfilate per l”anniversario dello statuto albertino.

Ad Ancona, dove era prevista una manifestazione con corteo dei dimostranti, si registrano degli scontri tra coloro che avevano organizzato un comizio per protestare contro le “compagnie di disciplina” (reparti in cui sono sottoposti a dura vita i militari sovversivi) e le forze dell”ordine. Sul suolo restano tre morti e molti feriti. Mussolini sulle colonne dell”Avanti! scrive: “L”eccidio di Ancona è stato un assassinio premeditato”. È la squilla per la rivolta popolare. La protesta si allarga subito a molte città. A Roma una folla inferocita tenta di assaltare il palazzo del Quirinale; in Emilia Romagna si paralizza il traffico ferroviario; a Napoli e Bari si contano altri morti. Milano, Firenze, Genova e Torino insorgono in armi. I borghesi chiedono allo Stato di intervenire con forza.

Oltre 100.000 soldati sono inviati sulle piazze più calde; i socialisti ed i repubblicani sperano di provocare la caduta del governo Salandra; i giornali non arrivano nelle edicole per lo sciopero dei distributori; addirittura circolano voci che il re è in fuga e che si è insediato un governo del popolo. Rinaldo Rigola, leader della Camera del Lavoro, chiede ai suoi iscritti di cessare gli scioperi. Continuano poche schermaglie; poi, la situazione torna sotto controllo. La settimana rossa, la più grande agitazione di popolo avvenuta in Italia, si esaurisce. Il drammatico bilancio è di 16 morti e 660 feriti tra gli scioperanti; un morto e 400 feriti tra le forze dell”ordine.

Si è alla vigilia della prima guerra mondiale e l”Italia è un paese in crescita e in movimento. La popolazione, nel 1913, è di 36 milioni di abitanti. Un dato, però, è spaventoso: oltre 11 milioni di persone, di età superiore ai 6 anni, sono analfabeti!
La vita media dell”uomo è cresciuta e ciò grazie alle migliorate condizioni igienico-sanitarie. Il chinino argina la malaria ed i malarici scendono, in pochi anni, dal 31% al 2% della popolazione.
I 6 milioni di emigrati, se costituiscono una vergogna dal punto di vista del sentimento nazionale, contribuiscono, tuttavia, con i loro risparmi –le rimesse– a far lievitare l”economia del paese. Ogni anno circola –grazie appunto alle rimesse inviate in patria- oltre mezzo miliardo di lire (circa 200 milioni di euro dei nostri giorni).

L”industria fa passi da gigante nel settore siderurgico, meccanico, chimico e farmaceutico. Con il neo dell”esclusione del meridione e delle isole e con la conseguente economia differenziata tra nord e sud. Gli altiforni a coke trasformano in ghisa e in profilati i materiali ferrosi dell”isola d”Elba. Si ampliano gli stabilimenti esistenti e se ne creano anche di nuovi. I complessi produttivi della FIAT e dell”Ansaldo si impongono a livello delle migliori imprese europee. L”industria elettrica sostituisce l”uso del vapore; nascono la Società Alta Italia e la Società Idroelettrica Piemontese (SIP), la Edison e la Meridionale.

La regione più progredita e ricca di industrie è la Lombardia: da sola assorbe più del 25% dell”intero apparato industriale. Subito segue il Piemonte e, poi, altre regioni del nord. L”unica regione meridionale presente è la Campania col suo centro siderurgico di Bagnoli.

QUESTI POLITICI “CANCHERONI”

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I partiti, i governanti, non sentono più i rantoli di un Paese in agonia. Sta scomparendo di tutto: la coerenza e le tradizioni; il lavoro e la speranza. E quelli ancora parlano:Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
più volte avrei voluto chiederti: “ma tu sei di destra o di sinistra?”. Poi non te l”ho mai chiesto, perchè ho cominciato ad avere difficoltà nel comprendere che cosa possa essere la destra e cosa la sinistra. Se, oggi, ti immaginassi di destra non saprei perchè tu lo dovresti essere. A livello nazionale Forza Italia -con le sue successive mutazioni- non mi sembra possa raccogliere le tue aspirazioni politiche: i militanti italoforzuti sono tutti ex (ex socialisti, ex democristiani, ex socialdemocratici, ex repubblicani, ex ex). Tu che ex potresti essere? Ti vedrei, perciò, molto più vicino ad Alleanza Nazionale (come si chiama, oggi, dopo il congresso di chiusura di Roma?).

Ma tu, maestro, avresti sostenuto la tesi del suo leader (1998) che “un maestro dichiaratamente omosessuale non può fare il maestro” o quella dello stesso leader (2003) che “sosteneva il bisogno di tutelare anche i diritti delle coppie di fatto e dei gay”? E, poi, sempre secondo quel leader maximo, avresti sostenuto la tesi moderna (2008) in base alla quale “i partigiani stavano dalla parte giusta, per cui anche la destra si deve riconoscere nell”antifascismo”? o ti saresti riconosciuto in quella un po” più antica (1994) per la quale “Mussolini è stato il più grande statista del Novecento”?
Se, poi, fossi portato ad immaginarti di sinistra (quale fra quelle sopravvissute?), allora dovrei pensare che domenica scorsa avresti potuto partecipare alle primarie del PD per la scelta del candidato presidente alla Provincia di Napoli.

La cosa non mi convincerebbe, perchè conosco un po” i tuoi contorti ragionamenti: “quello è un partito che raccoglie tutti gli ex; le primarie sono un po” un flop ed un po” un bluff; una volta dicono di essere figli di Marx, altre volte sostengono di essere figli di Togliatti, poi, di Kennedy, infine, solo di buone donne!”.
Direttore, il problema è che questi partiti –sia di destra che di sinistra- sono autoreferenziali, fungibili ed intercambiabili. Ed anche gli uomini che ne determinano le linee politiche. Anzi le linee politiche dettate da questi uomini cambiano in nome del potere e del consenso. Però gli uomini che hanno il potere e chiedono il consenso sono sempre gli stessi. E tu, per come ti conosco, non mi sembri la persona pronta ad esser prona o, quanto meno, disponibile a cambiare maglietta, percorso, idea ogni qualvolta qualcuno te lo chieda (o, meglio, te lo imponga).

Così, caro Direttore, passano i giorni ed i nostri politici e governanti –non solo quelli di Roma, anche quelli di Napoli e provincia (ma anche del resto d”Italia)- perdono di vista la realtà, non riescono a sentire i rantoli dell”agonia di un paese. A fronte di un capo del governo, infatti, che dichiara di non preoccuparsi dei dati sulla disoccupazione (in verità, dice di più; sostiene che siano i migliori del contesto europeo), sono scomparsi migliaia di botteghe e di piccole attività commerciali; la disoccupazione, specie femminile, è aumentata a livelli esponenziali; gli extracomunitari sono considerati sempre più la causa di ogni male del nostro paese; a breve, potrebbero contarsi un numero esorbitanti di sfratti (si dice oltre centomila!) per morosità, col conseguente dramma di innumerevoli famiglie senza casa.

Ma a chi le racconto queste cose, a te, Direttore? E tu a chi le racconti? A quei pochi lettori che ancora cliccano il tuo sito?
Devo confessarti di un particolare fatto che mi ha colpito. Ho letto che, nella lotta alle violenze sessuali, qualche intelligentissimo parlamentare ha proposto di condannare gli autori delle violenze stesse ad una sorta di gogna. Come? Facendo affiggere sui muri delle città e dei paesi (della provincia di appartenenza) la foto dei violentatori con l”infamante reato commesso. Insomma, una sorta di Far West: tu arrivi nella cittadina di frontiera, e, proprio sulla porta del saloon trovi affissa la foto del fuorilegge con la scritta wanted (ricercato) e la taglia in dollari. E da quel momento partono i bounty killer ovvero i cacciatori di taglia!

Pensa che bello, Direttore, un manifesto a guisa dei violentatori anche per i governanti! Ma non perchè abbiano violentato un paese, intere generazioni, le loro passioni, i loro ideali. Un manifesto con la foto di un sindaco e la scritta nano patologico; quella di un ministro con la scritta concusso; quella di un assessore con la scritta colluso; quella di un religioso o di un vicino di casa con la scritta pedofilo.
Come, la devo smettere! Direttore, mi togli la parola e mi accusi di eresia. Vinci tu perchè hai il potere in mano. L”informazione è potere. Però, giuro che, se quei manifesti si potranno fare, ne farò stampare alcuni con la tua foto e la scritta cancheròne (non è una butta parola, vuol dire seccante, noioso).

“LA MAFIA É QUESTIONE POLITICA”

La manifestazione di Napoli per dire NO a tutte le mafie non ha toccato le vere questioni: la mala pianta cresce perchè ci sono connivenze, complicità, interessi, istituzioni deboli. Di Amato Lamberti.

Quella del 21 marzo 2009 è stata una grande manifestazione. A Napoli sono arrivati decine di migliaia di ragazze e ragazzi, forse più di centomila, da tutta Italia e, in particolare, da tutto il Mezzogiorno, per dire NO alla mafia, a tutte le mafie che avvelenano il nostro Paese e stringono come in una morsa il Mezzogiorno, condizionandone lo sviluppo, la pratica della democrazia, la trasparenza delle amministrazioni, la qualità della vita, gli stessi rapporti tra le persone.

Naturalmente c”erano anche politici di tutti gli schieramenti, sindaci accompagnati dai labari dei loro Comuni, amministratori di ogni livello, comunali, provinciali, regionali, ma anche quelli di comunità montane, di ASL, di Parchi nazionali e regionali, delle Agenzie di protezione ambientale: insomma, tutti i livelli di governo politico del territorio erano ampiamente rappresentati. Naturalmente erano in prima fila, reggendo anche lunghi striscioni, quasi a significare che quella manifestazione, quella folla strabocchevole di ragazze e ragazzi, con i loro cartelli e le parole d”ordine cantate ed urlate, fosse lì per loro, per sostenere la dura battaglia quotidiana delle istituzioni e delle amministrazioni contro i poteri criminali.

Naturalmente sappiamo bene che non è così: sappiamo bene che la forza dei poteri criminali dipende dalla debolezza delle istituzioni; dalla permeabilità delle amministrazioni pubbliche; dalle connivenze e dalle complicità, anche solo silenziose, di quanti avrebbero il compito di fare argine all”espansione e alla penetrazione degli interessi mafiosi nella amministrazione come nella gestione della spesa pubblica; dalla corruttibilità di quelli che dovrebbero essere i servitori dello Stato e che, invece, sono gli infiltrati della mafia nei gangli vitali delle amministrazioni e delle istituzioni pubbliche. Naturalmente, come sempre, di queste cose la manifestazione, bellissima, partecipata, ricca di tensione emotiva, non ha parlato.

Centinaia erano gli striscioni, migliaia erano i cartelli, innalzati per dire NO ai poteri criminali, NO alla mafia, per testimoniare la forza della memoria dei martiri della lotta alle mafie, ma, mentre l”interminabile e coloratissimo corteo mi sfilava davanti, mi sono reso conto che la mafia sembrava non avesse un volto, anzi aveva solo il volto dei criminali assassini: il volto del male, il volto del demonio, che fa il male perchè quella è la sua essenza. Ma la mafia uccide, corrompe, intimidisce, per denaro e per potere. Il suo scopo non è il male per il male, ma il governo del territorio e di tutte le opportunità di sviluppo e di vita presenti e future, insieme, ma non prima, all”accumulazione della ricchezza.

La mafia non potrebbe mai raggiungere i suoi veri obiettivi senza la complicità partecipe, l”arruolamento nelle sue fila, di coloro che dovrebbero essere i servitori dello Stato, dal senatore, al deputato, al sindaco, ai consiglieri e assessori di ogni livello, al dirigente, al funzionario, come pure ai professionisti di ogni settore, dall”avvocato al commercialista. Senza innervamento nella società e nelle stesse articolazioni dello Stato la mafia non esisterebbe neppure. Sarebbe ridotta, come purtroppo alcuni continuano a pensarla, a una o più bande di delinquenti che fanno lavori criminali, come il traffico di droga, solo per procurarsi denaro da spendere a piene mani, e per ottenerlo sono disposti ad uccidere chiunque tenti di fermarli.

In questo caso sì, sarebbe solo problema di Forze dell”ordine e Magistratura. Ma non è così. La mafia è una questione politica; chiama in causa l”assetto e l”organizzazione dello Stato italiano nel Mezzogiorno, in particolare, ma non solo. Far finta che il problema sia altrove, significa solo fare un favore alla Mafia, come dimostra l”allegra partecipazione alla manifestazione del 21 marzo a Napoli di tanti amministratori di Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose.

CITTÁ AL SETACCIO

LA CHIESA, L’INCENERITORE E IL TRIANGOLO DELLA MORTE

Il termovalorizzatore di Acerra rende sempre più inquieti. Ci chiediamo perchè la salute della gente debba essere sacrificata a vantaggio di persone e politici senza scrupoli. Di don Aniello Tortora

Leggo dai giornali che giovedì 26 marzo sarà inaugurato l”inceneritore di Acerra. Sarà il secondo in Italia (su 50) e, in progress, quando arriverà a pieno regime, sarà capace di smaltire 200/300 tonnellate di rifiuti al giorno. Non tocca certo a me, nè alla Chiesa, dare soluzioni o indicazioni tecniche ai problemi. Tocca alla politica e agli esperti. Ma quando è in gioco la salvaguardia dell”ambiente, la salute della gente, la dignità delle persone, il pericolo del saccheggio di un territorio svenduto per speculazioni economiche, in una parola, quando non si persegue il “Bene Comune”, la Chiesa ha il diritto-dovere di intervenire sul piano etico-valoriale.

La Chiesa di Nola ha continuamente “gridato”, attraverso il Vescovo e l”Ufficio diocesano problemi sociali e lavoro, giustizia e pace, salvaguardia del creato, contro le ingiustizie. Ha partecipato, sin dall”inizio dell”emergenza rifiuti alle sofferenze della nostra gente causate anche dalla questione ambientale. Penso qui ai tanti interventi a favore della chiusura delle discariche a Paenzano 1 e 2 (Schiava di Tufino), a Boscofangone, a Marigliano:.

Qui è in pericolo la nostra salute, bene preziosissimo donatoci dal buon Dio. Tra le province di Napoli e Caserta (nel cosiddetto “triangolo della morte Acerra-Marigliano-Nola”), dove vivono oltre mezzo milione di persone, si muore di più per determinati tipi di cancro. Nel 2004 fu realizzato uno studio sull”argomento per The Lancet Oncology , una delle prime riviste scientifiche al mondo, dal ricercatore nolano del Cnr di Pisa Alfredo Mazza. È stato dimostrato che l”aumento del cancro è conseguenza diretta dello smaltimento illegale dei rifiuti nelle discariche abusive della zona.

Sostanze cancerogene e radioattive dopo decenni sottoterra riemergono nella catena alimentare sottoforma di sali di ammonio, alluminio, piombo, mercurio e diossina. Questi dati confermano quello che la gente comune dice , da anni, ogni giorno: “In ogni famiglia abbiamo un malato, se non addirittura un morto, di tumore”. Anch”io, come parroco, posso confermare questo dato. Anche un”indagine dell”Istituto superiore della Sanità ha confermato che l”asse Aversa, Acerra, Giugliano, dove vengono sversati illegalmente rifiuti tossici e urbani, riconferma un significativo eccesso di tumori al polmone, fegato, vescica, rene e stomaco.

Esiste, è così dimostrato, una relazione accertata tra l”emergenza rifiuti campana e il rischio salute per i cittadini.
La Chiesa, insieme ai comitati per la salute, ha sempre denunciato con coraggio le scelte scellerate, piovute dall”alto, che mortificano continuamente il nostro territorio, che, non a caso, è stato definito “la pattumiera ufficiale della Campania e la discarica abusiva dell”Italia ricca e industriale“.
Questa nostra terra, un tempo “Campania felix“, è diventata lo sversatoio privato delle ecomafie nazionali: una camorra feroce e senza scrupoli ha pilotato indisturbata un mostruoso traffico di rifiuti tossici dal Nord al Sud.
Ma, per questo stato di cose, ci sono delle responsabilità ben precise: prima le autorità regionali e poi i vari Commissariamenti governativi straordinari hanno reso, con le loro scelte “politiche” ancora più drammatica una situazione ambientale già altamente compromessa.

Anche il silenzio o la complicità delle amministrazioni locali (che qualche volta si sono svendute per il classico piatto di lenticchie), hanno creato sfiducia tra la popolazione e reso le nostre zone sempre più a rischio diossina, con la costante crescita delle patologie tumorali e delle vie respiratorie.
Ancora oggi, dopo tantissimi anni di emergenza infinita continuiamo a chiederci perchè la salute della gente debba essere sacrificata al totem del dio denaro e del profitto economico, che sarà solo a beneficio di gente senza scrupoli, della criminalità organizzata, dei soliti “colletti bianchi” che lavorano dietro le quinte e di politici che da questa situazione traggono solo vantaggi elettorali.

Ci chiediamo, ancora, perchè non si favorisca sempre di più la raccolta differenziata, che potrebbe risolvere più del 50% del problema e perchè a pagare debbano essere sempre le stesse zone, salvaguardando le zone “ricche e turistiche” della nostra regione che, paradossalmente, poco si impegnano a riciclare i rifiuti.
A pagare, se si continua così, sarà sempre e solo la povera gente e il futuro dei nostri ragazzi sarà ancora di più in serio pericolo.

Alla vigilia dell”apertura dell”inceneritore mi faccio alcune domande:
perchè è stato scelto proprio il “triangolo della morte” per localizzare l”inceneritore, quando tutta la zona andava bonificata? Perchè le discariche non sono messe in sicurezza? Perchè non si fa un monitoraggio serio sulla situazione ambientale reale del nostro territorio? Dove saranno smaltite le scorie e le ceneri sottili dell”incenerimento dei rifiuti? Quale sarà l”impatto ambientale? Quanta altra diossina in più dovremo ancora sopportare sulle nostre terre? L”inceneritore, che deve produrre energia elettrica, brucerà solo CDR (combustibile derivato rifiuti) o anche il “tal quale” e i rifiuti tossici? Chi controllerà il controllore? Quali rischi camorra nella gestione dell”impianto?

Al Giubileo dei lavoratori della terra Giovanni Paolo II così diceva: “Se il mondo della tecnica più raffinata non si riconcilia con il linguaggio semplice della natura in un salutare equilibrio, la vita dell”uomo correrà rischi sempre maggiori di cui già ora vediamo avvisaglie preoccupanti“.

Insieme, vincendo la rassegnazione ed esercitando la cittadinanza attiva, vogliamo continuare a difendere a denti stretti questa nostra terra, con forza denunciare le “strutture di peccato” che impediscono il vero sviluppo di uno dei territori più belli e fertili della Campania. Insieme vogliamo assicurare a noi e, particolarmente alle nuove generazioni, solo una vita “normale”.
E la Chiesa, come sempre, sarà in prima linea.

LA RUBRICA

L’AMBIGUITA” DEL LINGUAGGIO

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Iniziano i laboratori sulle curiosità linguistiche. Di Giovanni Ariola

Benvenuti nel nostro laboratorio!
A quest”ora (sono le nove del mattino) nella grande sala lettura, seduto al suo tavolo abituale, c”è solo il prof. Carlo A., chiamato di solito “don Carlo”, soprannominato “il Tarlo”, per la sua ormai arcinota capacità di penetrare, anzi di intrufolarsi, proprio come il tarlo fa con il legno, nel corpo di un testo, nonchè delle singole parole per scoprire e carpire il loro significato nascosto e quindi il senso vero dietro quello apparente della lettera esterna.

Veramente ad affibbiargli questo soprannome fu, tempo addietro, il suo amico e collega, il prof. Geremia B., altro assiduo frequentatore del Laboratorio, il quale ha una vera e propria mania di appioppare appunto soprannomi e nomignoli scherzosi, ai suoi conoscenti, con il criterio di evidenziare la nota caratteriale dominante, come dice lui, del personaggio, attraverso la creazione di un rapporto di senso tra i termini rimanti, le parole “compagne di rima” (dice sempre lui, citando sussiegoso il Jakobson), disdegnando di lasciarsi guidare nei suoi atti creativi dal puro gioco di iterazione fonica della rima stessa.

Ha assegnato perfino a se stesso un soprannome: essendo (= ritenendosi e sedicendosi) poeta, dice a tutti “Non mi chiamate Geremia, chiamatemi Fantasia”. E tutti lo accontentano, anzi lo mandano in sollucchero, chiamandolo con enfasi prof. Fantasia, e, quando le sue orecchie sono lontane e non possono udire, lo indicano scherzosamente ma anche con il tono di un affettuoso sfottò, Geremia Fantasia.

Per il soprannome di “tarlo”, il prof. Fantasia era stato sollecitato anche da altra motivazione. Il prof. Carlo aveva avuto fra i suoi avi, bisnonno o forse trisnonno, un suo omonimo che era un ispettore di polizia, un vero e proprio segugio, che soleva ripetere all”indirizzo dell”ancora ignoto malfattore, autore d”un delitto, “Damme tiempo ca te spertoso /dicette “o pappece “nfaccia a noce” (“Dammi il tempo sufficiente e io ti bucherò/ disse il tonchio alla noce”).
Lo soprannominarono ” “o pappece” e il nome si estese alla famiglia e ai discendenti. Ragion per cui il prof. Carlo aveva già ereditato, anche lui, il soprannome di famiglia, “”o pappece”, che nella mente del prof. Fantasia fu italianizzato in “tarlo”, impropriamente in verità, trattandosi di due insetti diversi, come si sa.

Il prof. Carlo si sta occupando dell”ambiguità del linguaggio, con la manifesta intenzione di scrivere un saggio in proposito.

“L”ambiguità –precisa a chi glielo chiede– non è una caratteristica negativa del linguaggio. O meglio non è nè positiva nè negativa. Può però diventare l”una cosa o l”altra, dipende dalle circostanze e da altri fattori. La frase, ad esempio, “Ti offro protezione” per se stessa ha un valore in genere positivo: significa che una persona o un Ente offre aiuto ad una più debole e la difende da eventuali nemici e pericoli. Ma che cosa diventa la stessa frase, se a pronunziarla è il malavitoso rivolgendosi al proprietario di un negozio al quale è andato ad esigere il “pizzo”? (continua).

LA PRESENTAZIONE