Al Comune di Napoli un manifesto contro la guerra sotto il segno dei movimenti delle donne.
All’esterno di Palazzo San Giacomo, in via Verdi, da domani 7 agosto e per tutto il mese sarà esposta una gigantografia di Hagar Roublev come espressione di sostegno alla pace e opposizione alla guerra. Ma chi è Hagar Roublev? E cosa significa “Non mi riconosco nemica”, lo slogan che compare sul manifesto? Hagar: un nome direi “profetico”, visto che è il nome, secondo il racconto biblico, della schiava egiziana che diede ad Abramo il primo figlio maschio. Un personaggio che incarna una “volontà di Dio” non discriminatoria e anzi interculturale (una volta tanto!).
Hagar Roublev è la donna israeliana che nel 1988, a Gerusalemme, prese un’iniziativa destinata ad avere significativi sviluppi in tutto il mondo: per protestare contro l’occupazione israeliana del territorio palestinese insieme ad altre otto compagne si vestirono di nero e scesero in strada. L’idea dava voce e forma al principio di un femminismo pacifista da anni presente e vivo nei movimenti delle donne. Già nell’agosto dello stesso anno un nutrito gruppo di donne partì dall’Italia alla volta di Gerusalemme. Nel 1992 il manifesto redatto a conclusione di un convegno contò 1200 firme.
Nel manifesto si chiedeva agli uomini di ritirarsi dall’esercito e non fu pubblicato perchè illegale. Il movimento a cui Hagar Roublev aveva dato vita è il movimento delle “Donne in nero”, diffuso ormai in tutto il mondo, femminista e pacifista. Hagar ci ha lasciato nel 2000, a 46 anni, per un infarto. Sosteneva il superamento del nazionalismo sionista e la creazione di uno stato laico binazionale, israeliano e palestinese. Tutta la sua vita, tutte le sue energie, le ha spese per affermare con forza una verità semplice e difficile: “non mi riconosco nemica”. Non nemica dei palestinesi, non nemica di alcun essere umano sulla base di identificazioni calate dall’alto: stato nazionale, governo, religione, etnia.
E non basta dire “non in mio nome”. Le donne in nero manifestano col colore nero, non solo il lutto, che da millenni le donne portano per le guerre, ma la forza della creatività femminile, con il colore che le culture arcaiche pre-patriarcali identificavano con il principio vitale della rigenerazione e della fertilità. E manifestano con il silenzio, perchè la loro arma è l’ascolto delle differenze.
Naturalmente, ma questa è un’obiezione facile e banale, non basta essere donne per essere pacifiste. Non è dalla genetica che dipendono le posizioni e le scelte politiche. Ma è innegabile che negli ultimi millenni le culture patriarcali sono state dominanti e sono state culture aggressive, avide di una crescita economica incontrollata, e che hanno risolto i conflitti principalmente attraverso la guerra. Nelle guerre le donne hanno avuto raramente un ruolo direttamente partecipativo (nelle rivoluzioni sì, e forse non è un caso).
A loro la “cultura” ha sempre assegnato il ruolo di madri e mogli, in lutto, ma orgogliose del sacrificio. Abbiamo dovuto partorire, allevare e curare esseri umani troppo spesso destinati a diventare carne da macello. E di questo inconsolabile e irreversibile dolore, di questo orribile spreco, di questo disastro evolutivo, ci è stato chiesto di essere fiere. Ma le donne dei movimenti, a tutto questo, si sono ribellate, fino ad esprimere, coerentemente, un loro pacifismo, creativo, interculturale e internazionale.
Quale migliore immagine per affermare il ripudio della guerra e la condanna del mattatoio Gaza, generato in questi giorni dalla politica espansionistica di Israele, se non l’immagine di Hagar, israeliana e pacifista?
L’iniziativa, sostenuta dall’instancabile Elena Coccia e condivisa dalla consigliera Simona Marino delegata alle PO, porta la firma dell’UDI di Napoli, Donne in Nero Napoli, SNOQ Napoli.
Come afferma Stefania Cantatore (UDI), “la scommessa di Hagar è stata una scommessa vinta, e con lei l’hanno vinta migliaia di donne che ancora oggi nel mondo si interpongono alle guerre, affermando che l’autorevolezza delle madri non è quella che offre i figli alla patria, ma quella che offre ragioni all’abbandono delle armi.”
Piace concludere con le parole, ormai celebri, di Hagar Roublev: “Fuori la guerra dalla Storia”.
(>Fonte foto: Rete internet)