‘O vino fa sanco e ssalute (vinum reficit homines et recreat vires). Letteralmente: “Il vino produce sangue e salute”.
La Campania si caratterizza per tantissime varietà di vitigni autoctoni, scopriamone alcuni: Pallagrello bianco, Casavecchia, ma anche Forestera, Fenile e Ginestra che sono i vitigni presenti nella costiera Amalfitana. Un patrimonio unico e inestimabile sempre più apprezzato nel mondo.
La Campania è uno spaccato produttivo di tipicità autoctone veramente ricco e vanta zone dove ancora esistono viti antichissime, a piede franco, sono sopravvissute alla fillossera, è il caso del Tintore di Tramonti; inoltre la grande biodiversità e quantità dei vitigni presenti coltivati, spiega come mai, vini come Merlot, Chardonnay, Sauvignon, Syrah, hanno una produzione veramente marginale, di conseguenza un panorama amplissimo di varietà (sono diverse decine), nomi di zone ed espressioni organolettiche diverse, richiede una grande conoscenza specifica. Esiste un panorama molto ampio fra i vini prodotti nella zona costiera, nella zona vulcanica e in quella più interna, che ci fa apprezzare come le diverse stratificazioni della superficie di coltivazione, influenza il vino prodotto. Ciò che si evidenzia, in questo caso, è che questi vini, una volta usati solo come “vino ingrediente” (da taglio), oggi sono vinificati in purezza diventando di fatto vini completi. Le produzioni non sono elevate, i vini vanno consumati giovani e comunque entro 4/5 anni e questi sono i tratti didattici essenziali. La Campania ha oltre cento varietà di uva, più dell’intera Francia, i suoi 180 produttori sfornano ogni anno circa 1500 etichette utilizzando una dozzina di vitigni autoctoni. Il grande mondo da scoprire è proprio nel divario tra ciò che si pianta nel terreno e quello che finisce in botte, una potenzialità enorme, una ricchezza assoluta di tipicità in un mondo sempre più piccolo e uguale. Alcuni produttori sono stati i pionieri ed hanno aperto la principale direttrice di marcia verso i vitigni minori. Sono queste persone ad aver imposto la scelta culturale e produttiva di puntare sui vitigni autoctoni invece di affidarsi ad uve nazionali e internazionali. Quando all’inizio degli anni ’90 questa scelta si è rivelata premiante allora molti hanno puntato su altri vitigni autoctoni sinora sconosciuti quale il Casavecchia, il Pallagrello Nero e il Pallagrello Bianco a Caiazzo, risuscitando tre vitigni di cui ormai si aveva notizia solo nei libri. Immediato è scattato il processo di imitazione ed ora nel casertano si contano molte aziende che vinificano questi vitigni minori. Basta viaggiare tra Caiazzo, Castel Campagnano e Castelvenere, il paese più vitato della Campania per trovare uve autoctone locali. Famosa è divenuta anche la barbetta del Sannio, di recente classificata scientificamente dalla regione. Ci dobbiamo spostare nella Terra delle Sirene per trovare vitigni misteriosi dai nomi strani, forse suggeriti ai contadini dalle streghe nascoste nei boschi. A Vico Equense tutti producono vino con uva Sabato, ma nessuna azienda ancora lo propone, così per trovare in bottiglia qualcosa bisogna spostarsi a Tramonti dove si trova A’Scippata, un rosso fatto con aglianico tintore le cui radici sono saldamente piantate a piedefranco da decine di anni. La Terra delle Sirene è davero un luogo ampelgrafico straordinario, ritroviamo vitigni quali biancazita e biancatenera. Sui terrazzamenti della costiera amalfitana a Furore, sono impiantati il fenile e la ginestra. Sul Vesuvio spiccano caprettone, sciascinoso, olivella, coda di volpe mentre nei Campi Flegrei è interamente vocata alla falanghina e al piedirosso ormai divenuti dei classici. Gli uvaggi vesuviani invece regalano le diverse tonalità e interpretazioni del Lacryma Christi, uno dei vini italiani più conosciuti e venduti all’estero. Il grande pubblico non la conosce ancora, fuori dalla Campania è sconosciuta, ma la Coda di Volpe non è più un vitigno minore dopo le grandi vinificazioni fatte da alcune importanti aziende vinicole. Oggi sono innumerevoli gli esempi di valorizzazione di una uva che serviva solo a tagliare fiano e greco, ma le scoperte non finiscono qui: da un anno c’è anche il Sommarello, un rosso sannita ottenuto dalla omonima uva. In definitiva la biodiversità viticola ed ampelografica che esiste in Campania è un patrimonio enorme che si deve conservare ma principalmente valorizzare affinchè i vini prodotti siano conosciuti non soltanto nella nostra amata Regione ma anche e soprattutto al di la dei confini regionali.