“FUGA DALLA GELMINI:PER LA VITTORIA:”

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Il terremoto d”Abruzzo ha assorbito il dibattito di questi giorni, com”era giusto che fosse. In quel disastro c”entra sì la natura, ma ci sono anche colpevoli. Intanto, qualcuno fugge dalla Scuola italiana:Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
ora è venuto fuori che i palazzi dell”Aquila sono crollati, perchè gonfiati, in gran parte, di sabbie salmastre o di sabbie di cava non lavate bene e, quindi, di difficile presa col calcestruzzo! Se si fossero rispettate le regole (pilastri, travi, ancoraggi, armature, carico e posa in opera etc.), molto probabilmente, le scosse di terremoto sarebbero state meglio assorbite dalle strutture edilizie e, comunque, non ci sarebbero stati tanti morti. Sòrte uguale a quelle dell”Abruzzo subirono le abitazioni durante il sisma dell”Irpinia, nel 1980. Allora, il ferro impastato nei pilastri antisismici si torse, perchè non era a norma, perchè qualcuno aveva voluto risparmiare (meglio, aveva voluto guadagnare) sulla quantità, sulla qualità, sul peso, sul prezzo.

C”era stato qualcosa di simile anche a San Giuliano ed in altri sfortunati luoghi dove la terra si è scossa –quasi a voler disarcionare un improvvido cavalcante- per il passato. Alla fine sembra che la colpa sia sempre e soltanto degli agenti atmosferici, delle calamità naturali e via discorrendo. Ricordo sempre un proverbio (ma i proverbi continuano sempre ad essere la sapienza dei popoli?) che imparai da bambino: “L”uomo a sè stesso i mali fabbrica e la stoltezza sua chiama destino”.

Direttore, ma tu ti guardi intorno? Vedi quanti delitti commette l”uomo nei confronti della natura? Hai visto alcuni alvei del Somma-Vesuvio, i regi lagni (ma i Borbone si erano lasciati guidare da una scienza idrogeologica o no?): sono diventati –specie in punti dove più alta è stata la speculazione edilizia selvaggia e sono nati vasti agglomerati, senza servizi, senza sottoservizi- delle vere autostrade. Per forza, come si fa ad arrivare con le auto nelle tante case (condonate o non condonate ma tutte in sfregio alla natura) sparse lungo i crinali? Ed hai mai fatto caso, per esempio, allo spessore dei manti stradali?

Pensa che per assegnarne la direzioni a più tecnici –con operazione meramente clientelare- un chilometro di strada è suddiviso anche in quattro o cinque tronconi ed il manto diventa sempre più sottile, altro che asfalto antipioggia! E i materiali usati per le costruzioni, i luoghi prescelti per le stesse costruzioni (quando c”è un piano!)? Sembra di avere a che fare sempre con un Eduardo Nottola (Rod Steiger), un povero De Vita (Carlo Fermariello), uno scialbo sindaco ed un immancabile arcivescovo, giunto a benedire la posa di una prima pietra. Non chiedere chi sono questi signori, li conosci bene: vivono nel film di Francesco Rosi, “Le mani sulla città”, vincitore del Leone d”oro a Venezia, nel 1963. E vivono anche, con nomi diversi, in tanti luoghi della nostra realtà.

Caro direttore, a ben pensarci, poi, non è sempre vero che i corrotti sono sempre e soltanto gli uomini di vertice. Diciamo che essi sono corruttibili (o incorruttibili), come tutti gli esseri umani fino a prova contraria. I corruttori sono quelli che tentano, che ammaliamo, che propongono, che fanno profferte, che venderebbero anche l”anima (o ne comprerebbero ad libitum) pur di ottenere qualcosa di legalmente inottenibile. Si cerca di corrompere per una costruzione incostruibile, per superare un esame a scuola, per vincere un concorso (senza merito), per fruire dei benefici riservati ai portatori di handicap e per altro ancora.

Il finale è sempre quello, come un ritornello, bisogna che cambino gli uomini, le loro teste, i loro valori. In una delle tante trasmissioni televisive seguite al dramma del terremoto del 6 aprile scorso, un intervistato, bene informato dei fatti, ha detto fuori dai denti: “Bisogna pensare prima, piuttosto che piangere dopo”.
Insisto, direttore, più che le parole servono i modelli. In questi giorni di relativo riposo, stavo rileggendo un libro di Alberto Granado, “Un gitano sedentario” (l”autobiografia del ragazzo che viaggiò in moto con Che Guevara) [Sperling & Kupfer Editori, 2004], da cui è stato tratto anche il film “I diari della motocicletta”.

No, non farmi il solito pistolotto; non dirmi che il Che è un simbolo della sinistra, che bisogna essere bipartisan ed altre fandonie tue solite. Le persone perbene stanno dappertutto –come quelle permale, d”altra parte- e se si ha la fortuna di incontrarle bisogna assumerne ogni goccia, ogni alito. Ebbene, nella prefazione, a firma di Gianni Minà, Alberto Granado, ricordando il suo amico, dice: “Ernesto aveva diverse qualità oggi fuori moda, non sapeva mentire mai, non accettava nulla che fosse contrario ai suoi principi e, inoltre, diceva sempre quello che pensava e faceva quello che aveva detto, un atteggiamento raro in un”epoca dove, come dice Eduardo Galeano (scrittore e giornalista uruguaiano, n.d.r.), le parole e i fatti non si incontrano mai e se si incontrano non si salutano perchè non si conoscono.

Mi sembra dunque logico che, in un contesto ostaggio del mercato, delle menzogne di chi ha il potere, del rifiuto dell”utopia, il suo pensiero torni d”attualità frantumando il tentativo del mercato stesso di trasformarlo in un gadget, nell”immagine stereotipata del guerrigliero sconfitto o in un simbolo fuori tempo”.
Non credo ci sia bisogno di altri commenti.

Caro direttore, per finire, il solito riferimento alla scuola. Non so se ti è capitato di leggere una notizia riportata da pochi giornali. I genitori di sette bambini di Muggia (Ts), un paesino attaccato alla Slovenia, preoccupati dalle nebbie prossime della didattica italiana, hanno iscritto i loro figli alla scuola slovena con lingua di insegnamento italiano. Bel colpo! Dopo Fuga da “Alcatraz”, “Fuga per la vittoria”, “Fuga da Los Angeles”, perchè non pensare anche a “Fuga dalla Gelmini”?

GLI APPUNTAMENTI PRECEDENTI

LA CHIESA E I PROBLEMI REALI DELLA GENTE

Spesso, di fronte a Istituzioni assenti, la comunità cristiana svolge ruoli di denuncia sociale e di supplenza. In altri casi, invece, finisce per essere succube dei poteri forti. Bisogna ripensare ad un “nuovo” ruolo dei cattolici in politica, dando …

“Le chiese del Sud devono diventare sempre di più luoghi di profezia e sorgente di speranza”.
A me sembra questa la bella sintesi del Convegno “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud”, cui ho partecipato insieme ad altri tre delegati della nostra Diocesi, svoltosi il 12 e 13 febbraio scorsi, presso l”Hotel Tiberio a Napoli.

Convocati dal cardinale Crescenzio Sepe insieme a più di ottanta Vescovi e circa trecento tra laici religiosi e preti, provenienti dalle cinque regioni del Sud (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia) abbiamo riflettuto, a vent”anni dal documento del 1989 della Cei “Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno“, sulla forte responsabilità della Chiesa e particolarmente delle Chiese del Sud nella società meridionale.
È stato un bel convegno, con relazioni forti e coraggiose. Ho ammirato, attraverso i quotati interventi
(anche in sala) che c”è un Sud non più rassegnato e piagnone, ma forte e libero di essere protagonista del proprio sviluppo.

Davanti ai tanti problemi sociali –mancanza di lavoro, delinquenza organizzata (camorra, mafia, n”drangheta), disimpegno etico– come si pone la Chiesa? – ci si è chiesto. Come coniugare la profonda tradizione cristiana o religiosità popolare con i problemi reali della gente?
Già nel 1948 i vescovi di molte diocesi del sud intervennero sulla “questione meridionale”.
Nel 40^ anniversario della lettera collettiva i vescovi italiani, stavolta tutti, la Cei, riprendendo molti interventi di Giovanni Paolo II , indicò nella solidarietà tra Nord-Sud e nello sviluppo vero la via maestra della crescita meridionale.

Al Convegno di Napoli ricchissime sono state le relazioni tenute da Piero Barucci, Giuseppe Savagnone, Sandro Pajno e Carlo Greco.
Particolarmente applaudite quelle di Savagnone e di Pajno. Il Progetto Policoro (l”attenzione della Chiesa ai giovani disoccupati) è stato molto citato e indicato come esempio da imitare per una pastorale integrata e di speranza concreta.

Savagnone, con il suo solito pathos siciliano ha fatto un”analisi spietata e coraggiosa sulla presenza della chiesa meridionale nella società. Dopo aver analizzato gli indubbi aspetti positivi, ha messo in risalto quelli negativi: una religiosità poco attenta al sociale, poco progettuale e spesso lontana dal coniugare la fede con la vita. Ha parlato del “piano nobile” della chiesa (convegni, documenti, messaggi della gerarchia, seminari di studi, dibattiti tra esperti:.) e del “piano-terra” , quello cioè della pastorale ordinaria, delle parrocchie, dei gruppi, della vita quotidiana, che va in tutt”altra direzione e che “condiziona” al novanta per cento la pastorale. Il Prof. Savagnone ha esortato tutta la chiesa, ma in modo particolare il clero meridionale, ad essere attenta alle dinamiche sociali, far crescere i laici e testimoniare concretamente il Vangelo della povertà, della solidarietà, della denuncia e della profezia. Insieme, soprattutto.

Il Prof. Pajno, con estremo rigore scientifico, ha analizzato l”attuale momento politico e messo in risalto i pericoli del federalismo fiscale. Aumento delle disuguaglianze sociali, emergenza criminalità, assistenzialismo, crisi della famiglia tradizionale: questo potrebbe andare ad aggiungersi alle tante e già note difficoltà. L”unità nazionale –hanno detto all”unisono i pastori delle diocesi meridionali– va salvaguardata ad ogni modo. Anche la reciprocità tra le chiese del nord e quelle del sud contribuisce allo sviluppo e al cambiamento.

A me pare che alcune sfide ci attendono, anche come chiesa:
Come colmare la distanza tra il culto e la vita? Come evangelizzare una religiosità popolare che cede al miracolismo e alla superstizione? Come curare la schizofrenia tra coscienza religiosa e coscienza civile? Come aiutare i nostri parroci nell”opera di evangelizzazione che spesso vuol dire ricominciare dall”abc della fede e della dottrina sociale della chiesa? Quale contributo possono dare le comunità ecclesiali per combattere il racket del pizzo, l”inquinamento della finanza mafiosa, il condizionamento della politica? Come far ri-partire il motore dello sviluppo?

Talvolta la comunità cristiana svolge ruoli di denuncia sociale e di supplenza di fronte a istituzioni assenti. In altri casi cede a logiche clientelari, finendo per essere succube dei poteri forti. Come ri-pensare ad un “nuovo” ruolo dei cattolici in politica, dando fiducia ai laici più impegnati?
A questo convegno di Napoli bisogna assolutamente dare seguito.
Ma è stato, hanno detto gli organizzatori, solo l”inizio di un esaltante cammino.


PER APPROFONDIMENTI

UN VULCANO RIBOLLENTE DI :CAMORRA!

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Il punto di questa settimana riguarda il Comune di Boscoreale, sciolto per infiltrazioni camorristiche per ben due volte. 6/a tappa.
Di Amato Lamberti

Ha sempre destato meraviglia, anche in sede di Commissione parlamentare antimafia, il fatto che l”area vesuviana, in tutti i versanti del vulcano, fosse caratterizzata da una presenza diffusa e massiccia di organizzazioni camorriste. Quindi, non solo organizzazioni criminali dedite alle estorsioni e al controllo di traffici illegali, ma organizzazioni malavitose che si presentavano più come consorzi di cooperative ed imprese con forti collegamenti, anche familiari e parentali, con dipendenti pubblici, amministratori comunali e provinciali, sindaci, consiglieri regionali, parlamentari della Repubblica.

La prova migliore di questa situazione tutta particolare, che ha fatto pensare, al sottoscritto, ad una sorta di Principato Ultra della Camorra, diviso in tante baronie quanti erano i clan camorristici: gli Alfieri a Nola, i Russo a S.Paolo Belsito; i Cesarano a Pompei e Santa Maria la Carità; i Gionta a Torre Annunziata; i D”Alessandro a Castellammare; i Vollaro a Portici; i Galasso a Poggiomarino; i Moccia ad Afragola; i Fabbrocino a S.Gennaro Vesuviano; sono i Comuni sciolti per infiltrazioni ( dentro) e condizionamenti (interni ed esterni) della camorra. Praticamente sono stati sciolti tutti, una volta; qualcuno anche due volte; uno, Poggiomarino, addirittura, tre volte.

In tutti i casi, lo scioglimento è motivato da:
1) i rapporti di parentela, di stretta amicizia e di relazioni d”affari che legano alcuni componenti del Consiglio Comunale e alcuni Assessori -quando non lo stesso Sindaco- ad esponenti delle locali organizzazioni criminali;
2) il fatto che la malavita organizzata si era attivata, durante la campagna elettorale, a favore di alcuni candidati, poi risultati eletti;
3) l”uso distorto da parte di alcuni amministratori della cosa pubblica, utilizzata per il perseguimento di fini contrari al pubblico interesse al fine di favorire illecitamente soggetti collegati direttamente o indirettamente con la criminalità organizzata.

Ad esempio, nel decreto di scioglimento del Comune di Boscoreale, 15 dicembre 1998, si legge che: “i settori in cui emergono segnatamente l”utilizzo della pubblica amministrazione per personali tornaconti affaristici sono quelli degli appalti pubblici, della gestione finanziaria e dell”edilizia in relazione al fenomeno dell”abusivismo.” La presenza della camorra appare evidente anche per il clima di intimidazioni e di minacce che accompagna l”affidamento degli appalti pubblici. Per quanto riguarda, ad esempio, l”appalto per il servizio di nettezza urbana, nel capitolato erano state inserite clausole che favorivano una ditta già aggiudicataria dell”appalto e praticamente escludevano ogni concorrenza da parte di altre ditte.

Inoltre, il consigliere comunale che aveva fatto dei rilievi sullo stesso capitolato veniva selvaggiamente aggredito; altri due consiglieri comunali venivano costretti alle dimissioni; il funzionario comunale che ricopriva la carica di presidente della commissione di gara per gli appalti veniva prima minacciato e poi aggredito. Tutti gli appalti, da quello per l”adeguamento della rete idrica, a quello relativo ai servizi cimiteriali e a quello per la riscossione di alcuni tributi locali, vedevano come destinatarie ditte ricollegabili a soggetti gravitanti nell”ambito della criminalità organizzata locale.

Lo scioglimento del Comune non provoca sostanziali modificazioni, tanto è vero che il 26 gennaio 2006, si procede ad un nuovo scioglimento, perchè vengono accertate contiguità tra amministratori ed esponenti del crimine organizzato. Alcuni degli amministratori facevano parte del Consiglio Comunale sciolto nel 1998 e, nonostante fossero stati sottoposti a misure cautelari, erano stati nuovamente eletti, grazie all”aiuto dei clan criminali del territorio, interessati ad avere una sponda politica.

Il rapporto, che accompagna il secondo scioglimento del Comune di Boscoreale, mostra una situazione dove le organizzazioni criminali facevano praticamente quello che volevano in deroga ad ogni norma e sempre in combutta con amministratori che apparivano in condizione di totale subalternità, tanto da procedere a riunioni ad horas della Giunta per sanare, anche in modo retroattivo, e in deroga ad ogni vincolo paesaggistico, abusi edilizi, carenze di autorizzazioni, violazioni di sigilli, ordinanze di demolizione.

Persino l”erogazione di contributi in favore di associazioni socio-culturali vedeva come beneficiari personaggi legati alla criminalità organizzata, che, normalmente, mettevano a disposizione le loro sedi per la campagna elettorale degli stessi amministratori comunali di riferimento.

LE PUNTATE PRECEDENTI

IL DISAGIO DEGLI ADOLESCENTI

La scuola è l”universo in cui si incontrano i più diversi “tipi” di adolescenti: da quello “a rischio”, portatore di un disagio evidente, a quello che manifesta un disagio latente.
Di Annamaria Franzoni

La volontà di partecipare al dibattito sul disagio adolescenziale, fornendo un apporto concreto alla tanto discussa e complessa questione, nasce dal desiderio di uscire dalle astratte discussioni sull”argomento ed invitare il lettore ad un confronto sulle osservazioni e sulle quotidiane esperienze che la mia professione mi consente e mi ha consentito di fare a costante contatto con i più variegati “tipi” di adolescenti che si possono incontrare nelle scuole di frontiera, in quelle del centro storico, in quelle dell”hinterland cittadino o della provincia.

Si parte dall”adolescente cosiddetto “a rischio”, quello che si presenta ai nostri occhi senza veli, portatore di un disagio evidente e che manifesta tutto il suo bagaglio affettivo, sociale, familiare: egli ci sfida in maniera aperta e diretta, presentatoci la sua vita troppo spesso caratterizzata da tappe saltate o anticipate e che lo ha costretto ad instaurare forme comunicative con il mondo dell”adulto e del coetaneo fatte di espedienti e all”interno dei quali ha dovuto assumersi in prima persona i rischi della “sopravvivenza” conquistando a fatica uno spazio d”azione.

L”evidenza di tale disagio è netta ed è stata definita da un ampio lessico che nel tempo è andato assumendo sfumature sempre più puntuali e caratterizzanti quali: mortalità scolastica, abbandono, ritiro formalizzato, insuccesso, inadempienza, interruzione provvisoria o definitiva della frequenza scolastica.
L”adolescenza, però, essendo il momento della vita a più alto livello di criticità, presenta, in una società sempre più articolata e complessa , “nuove forme di disagio latente” e per di più apparentemente ingiustificato, che colpiscono categorie sociali diverse. La riflessione più immediata , ma tuttavia superficiale e disattenta, consiste nel sottolineare che l”adolescente medio di oggi ha tutto, dal cellulare al motorino, dal lettore MP3 alla miniauto, dal giubbotto griffato al televisore al plasma.

Allora dove risiede il suo disagio, la sua sofferenza, il suo dolore?
Siamo, pertanto, chiamati ad osservare, analizzare e studiare queste nuove forme di disagio, intervenendo nell”intricato mondo delle emozioni per riconoscere ed individuare le strategie vincenti .
Un buon punto di partenza potrebbe essere di assumere il punto di vista del nostro adolescente sofferente, cercando di individuare le difficili relazioni tra emozioni e sentimenti che lo attraversano assumendo talvolta significati opposti.

Soltanto così possiamo aprire la strada ad un incontro tra mondi contrastanti.
La nostra sicurezza, il nostro mostrarci saldi ci consentirà di offrire il nostro appoggio sicuro, non con le nostre “dichiarazioni” ma con il nostro “comportamento” che dà loro sicurezza e fiducia.
Noi siamo il porto, loro la navi; noi siamo la roccia saldamente ancorata alla costa e loro possono veleggiare sicuri perchè sanno che il porto è lì, sicuro da ogni bufera, pronto ad accogliere la nave sbattuta dalla tempesta.

LA RUBRICA

“LA GRANDE GUERRA. UNA CARNEFICINA!”

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La fine della Prima guerra mondiale fa registrare un bilancio tragico per tutti i Paesi in conflitto. Ma soprattutto, lascia irrisolti molti problemi che saranno alla base del Secondo conflitto mondiale.
Di Ciro Raia

Le sorti della guerra hanno fasi alterne, procurando, spesso, enormi malcontenti. È messo in discussione finanche il capo di stato maggiore, generale Cadorna, accusato di aver eccessivamente sparpagliato l”esercito sul fronte italiano. E, poi, si registra la grande riscossa dell”Austria, che attacca con inaudita violenza le truppe italiane attestate in Trentino, per punirle del tradimento nei confronti della Triplice.

Gli interventisti di sinistra, frattanto, premono per un governo di unità nazionale. Così, quando la guerra sembra svolgersi a tutto vantaggio dell”Austria, il primo ministro Salandra si dimette. A sostituirlo è chiamato un liberale di destra, uno dei più accesi interventisti, l”onorevole Paolo Boselli, di anni 78. La compagine governativa si compone di nomi di grande prestigio: Sidney Sonnino agli Esteri, Vittorio Emanuele Orlando agli Interni, Filippo Meda alle Finanze, Paolo Morrone alla Guerra, Ivanoe Bonomi ai Lavori Pubblici ed il socialista (cacciato dal partito nel 1912) Leonida Bissolati ministro senza portafogli.

Le notizie dal fronte continuano, però, ad essere scoraggianti. Sulle pietraie del Trentino sono già caduti 140.000 soldati! Fra le truppe si segnalano numerosi casi di diserzione. Il generale Cadorna, nell”intento di arginare la paura che attanaglia i soldati, assume un atteggiamento durissimo ed ordina di fucilare tutti quelli che si danno alla fuga di fronte al nemico. Le cosiddette decimazioni portano la condanna all”ergastolo di 15.000 uomini; altri 4.028 soldati sono condannati a morte: di essi ben 750 affrontano il plotone di esecuzione. È una delle pagine più brutte della storia patria!

Ci sono, però, anche episodi di fulgido patriottismo, che sono scritte dal sacrificio di Cesare Battisti e Fabio Filzi (entrambi sudditi austriaci, impiccati da questi ultimi con l”accusa di aver appoggiato il movimento irredentista e di essersi arruolati con gli alpini italiani), Nazario Sauro (comandante istriano di un sommergibile, mandato al patibolo con la stessa accusa di irredentismo), Enrico Toti, protagonista di un episodio di eroismo. Egli, infatti, è un soldato invalido, che muore scagliando le sue stampelle contro il nemico austriaco. Sulle trincee del Carso, intanto, Giuseppe Ungaretti scrive le sue più belle poesie. In quest”anno di guerra pubblica “Il porto sepolto”, una raccolta di liriche sulla tragica vita dei soldati al fronte: “Si sta come d”autunno sugli alberi le foglie”.

L”anno nero è, però, il 1917, quando le truppe tedesche ed austriache, al comando del generale Otto von Below disperdono i delusi soldati italiani. La battaglia di Caporetto, nella valle dell”Isonzo, del 24 ottobre è una vera disfatta. In un niente l”Italia perde i territori delle province di Udine e Belluno, parte di quelli di Vicenza, Treviso e Venezia: circa 14.000 chilometri quadrati con 1.000.000 di abitanti! Ma Caporetto significa soprattutto 10.000 morti italiani, 30.000 feriti, 293.000 prigionieri, 350.000 tra sbandati e disertori. Oltre alla perdita di più di 300.000 armi, 73.000 quadrupedi e 115 ospedali da campo.

Il primo a pagare è Cadorna, al quale viene tolto il comando delle operazioni di guerra, che viene affidato al generale Armando Diaz. Alla Camera, poi, il governo Boselli è battuto ed il primo ministro è costretto a dimettersi. Gli succede Vittorio Emanuele Orlando, un energico parlamentare siciliano.
La Grande Guerra si conclude nel 1918, quando il generale Diaz guida magistralmente le truppe italiane alla vittoria. Nel mese di ottobre l”esercito nemico è allo sbando. Il 4 novembre è firmato l”armistizio con l”Austria a Villa Giusti, nei pressi di Padova. L”ultima vittima italiana è il giovane Alberto Riva da Villasanta; si è appena affacciato da una trincea per gridare la sua gioia per la fine della guerra. Un cecchino austriaco non lo manca: è un bersaglio troppo facile.


ALCUNE POESIE DI UNGARETTI

“VIETATO PENSARE!”

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Il disinteresse alle cose della Politica fa comodo al potente di turno. Chi non pensa non sa di restare fregato. E chi smantella la Scuola vuole proprio questo. È sicuro!
Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
Si è in pieno periodo pasquale. La preoccupazione, più che alla drammatica situazione nazionale (scuola, politica, cultura, disoccupazione, sottoccupazione, immigrazione etc.), pare che sia per le condizioni del tempo. Pioverà o ci sarà il sole? Mi pare di aver letto che –per queste vacanze pasquali- si prevede un flusso turistico in aumento di circa il 7% rispetto all”anno scorso. Tu che dici, stante al tuo personale barometro, come si evolverà la situazione atmosferica (ma anche quella della scuola, della politica, della disoccupazione, della sottoccupazione, dell”immigrazione etc.)?

Io credo che ci stiamo avviando verso una forbice della società: i ricchi-ricchi ed i poveri-poveri. Non molto numerosi i primi, molto numerosi i secondi. In mezzo, una moltitudine che galleggia, si arrangia, fa sacrifici, chiede mutui, firma cambiali, vota sperando nel condono edilizio ed in quello fiscale, compra capi d”abbigliamento al mercato: Però non rinuncia alla televisione al plasma, al telefonino di ultima generazione ed alla programmazione delle vacanze (estive, invernali, pasquali e natalizie). Se, per caso, direttore, ti venisse in mente –così come ho fatto io più di una volta- di chiedere il perchè di questa sfrenata mania del divertimento, avresti di rimando sintetiche ma motivate risposte:

“La vita è breve e va vissuta intensamente:Voglio godermi ogni occasione (variante del dotto “carpe diem” o del più popolare “tutt””o lassato è perduto”):Bisogna essere egoisti e non curarsi degli altri, perchè nessuno si curerebbe di te (variante del detto popolare “nisciuno te dice: lavat””a faccia che pare chiù bello!”)”.

Caro direttore, riprendendo un ragionamento avviato circa un mese fa, io penso che se i giovani sono tutti proiettati all”edonismo, al miraggio di un eden o di un paese di bengodi, al godimento massimo di ogni occasione offerta dalla vita:beh! la colpa è solo di noi adulti. Tu pensa che, già alcuni anni fa, a me personalmente (non mi è stato raccontato da nessuno) capitò di leggere in alcuni temi di scuola media che il sogno delle mie alunne, adolescenti, era quello di sposare un camorrista, così avrebbero potuto godere di ricchezze, agiatezze e conseguente felicità. È duro, vero? Come fare, per cambiare. Ma, forse (o senza forse), dobbiamo cambiare innanzitutto noi adulti, costruire nuovi modelli, offrire nuovi esempi!

Il presidente degli USA, Barack Obama, l”altro giorno, parlando agli studenti a Strasburgo, ha, tra l”altro, detto: “Se si passa la vita a pensare a se stessi, allo shopping, alla lunga ci si annoia. Per vivere una vita piena bisogna pensare: cosa posso fare per gli altri? Lasciatevi coinvolgere: a volte rimarrete delusi, ma vivrete una grande avventura”. Caro direttore, l”imperativo è questo: “lasciatevi coinvolgere”. Ma tu capisci che il lasciarsi coinvolgere è esattamente l”opposto di tutto quanto, per anni, la nostra società ha sostenuto? Partecipare (“Preferisco dedicarmi ai miei hobby, alla mia famiglia, allo sport:”. Dove sono finiti gli anni di Gaber: “Libertà è partecipazione”)? Fare politica (“La politica è una cosa sporca!”, Ma via! Anche il pizzaiolo si sporca le mani con la farina; necessario che sia un pizzaiolo onesto!)? Interessarsi a qualunque cosa (Don Lorenzo Milani lo aveva scritto sulla porta della scuola di Barbiana, “I care [Mi interessa, mi riguarda!]”)?

Ma, caro direttore, bisogna anche dire che necessita riprendere l”abitudine a pensare; questa è la preoccupazione più grande, quella di cui nessuno sembra preoccuparsi. E, come tu ben sai, chi educa al pensiero sono i buoni maestri e la scuola. E chi ci governa vuole, purtroppo, una scuola in cui non si educhi a pensare; una scuola in cui si insegni a dire sempre sì; una scuola che bandisca parole in dissenso, in eresia, in autonomia, in pensiero divergente.

Una quindicina d”anni fa, nel 1994, la casa editrice Bompiani pubblicò, nei tascabili, un racconto, di appena settanta pagine, di un protagonista della nuova letteratura cinese, Acheng. Il piccolo libro (allora costava 10mila lire!), “Il re dei bambini”, riportava l”esperienza di un giovane maestro di scuola, che, invece di insegnare ai suoi bambini a leggere ed a riassumere i racconti dei sussidiari, pensò, in contraddizione con quanto stabilivano i programmi, di cambiare metodo, chiedendo agli stessi bambini di raccontare, con parole proprie, la vita di ogni giorno. Dopo pochissimo tempo il maestro venne sollevato dall”incarico ed avviato ad un nuovo lavoro (ma diverso da quello “ministeriale” del maestro di scuola!).

Direttore, sai pure cosa mi veniva in mente in questi giorni? Alcuni versi di Martin Niemolver, oppositore del nazismo, arrestato nel 1937: “Quando i nazisti hanno portato via i comunisti,/ ho taciuto,/ perchè io non ero comunista./ quando hanno messo in galera/ i socialdemocratici,/ ho taciuto,/ perchè io non ero socialdemocratico./ Quando hanno portato via me,/ non c”era più nessuno che potesse protestare”.
Buona Pasqua, direttore.

SANT”ANASTASIA. “RIORGANIZZIAMO INSIEME IL TERRITORIO”

A Sant”Anastasia l”associazionismo fa davvero sul serio. NeAnastasis, ancora una volta, chiama a raccolta i cittadini per discutere dello sviluppo della città. Avviamo il dibattito sul PUC.

Di recente, febbraio 2009, il Consiglio Comunale di Sant”Anastasia ha deliberato la redazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale (PUC), in ottemperanza alla legge regionale 21/2003.
È intenzione dell”associazione neAnastasis di chiamare la Società Anastasiana a partecipare ad un ampio confronto sulla redazione di questo Piano, per giungere ad un effettivo Piano partecipato.
Affinchè tale confronto sia fecondo e produttivo, neAnastasis produrrà una serie d”articoli, a partire da questo, con cui esporrà le sue idee e fornirà indicazioni.

OBIETTIVI DEL PUC
I due strumenti urbanistici che hanno operato sul territorio di Sant”Anastasia sin ad ora, il Piano di Fabbricazione prima e l”attuale Piano Regolatore Generale poi, sono stati improntati a soddisfare essenzialmente le esigenze di sviluppo dell”edilizia residenziale, trascurando tutte le altre necessità connesse ad un ordinato sviluppo dell”organizzazione sociale.

Per il nuovo Piano riteniamo che gli obiettivi da perseguire siano in sintesi i seguenti:
mettere ordine a tutto l”edificato sin ad ora realizzato;
dare autosufficienza funzionale ai nuovi nuclei residenziali sorti in periferia;
realizzare le attrezzature e le infrastrutture necessarie alla piena fruibilità del territorio;
potenziare l”attuale rete viaria per adeguarla alle esigenze del traffico cittadino;
recuperare le volumetrie dismesse sia residenziali sia vetero-industriali;
tutelare e valorizzare le zone agricole più produttive;
dimensionare le aree necessarie agli insediamenti produttivi;
realizzare le opere necessarie alla fruizione del Parco Vesuvio;
realizzare idonee misure per ridurre i rischi che incombono sul territorio.

SVILUPPO DEMOGRAFICO DI SANT”ANASTASIA
L”organizzazione del territorio va rapportata alla popolazione che v”insiste ed al suo prevedibile sviluppo futuro per adeguarne gli strumenti urbanistici. L”esame dei dati anagrafici indica chiaramente che la popolazione di Sant”Anastasia è in fase di decrescita, per effetto sia della bassa natalità sia della tendenza a migrare verso altre località. Oggi si può stimare a 27.500 abitanti.
Tale tendenza è in linea con le indicazioni di decompressione abitativa per i Comuni della cosiddetta Zona Rossa, sancite dai Piani Regionali e Provinciali.
(Continua al prossimo articolo)

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MAGGIORI INFORMAZIONI

L’UOMO É CIÃ’ CHE SPERA

I profondi cambiamenti del mondo in cui viviamo possono farci sentire inadeguati. La risposta a questo disagio è semplice e grande: ascolto, attenzione e dialogo, per organizzare la speranza.
Di don Aniello Tortora

Il mondo nel quale viviamo è in rapidissima trasformazione. Anche il nostro Paese e, con esso il nostro Sud, è profondamente cambiato sul piano economico, sociale, lavorativo e istituzionale. E queste mutazioni hanno avuto rilevanti ripercussioni sulla vita delle persone, sul loro modo di pensare, sulla famiglia, sulla rappresentanza e sulle relazioni personali e sociali.

Indubbiamente, insieme a tanti fattori positivi, c”è bisogno di una nuova e forte attenzione ai cambiamenti e alle contraddizioni che questa crescita ha generato: la società post-industriale o post-fordista (dal lavoro ai lavori), la finanziarizzazione dell”economia, i forti divari territoriali (vedi NORD-SUD), le presenza di nuove povertà (scatenate da questa crisi economica), la presenza di nuove povertà, di nuove emarginazioni, dei senza lavoro e dei disoccupati giovani o in età matura, dei precari sul lavoro e nella vita, le difficoltà delle famiglie nel far quadrare il bilancio economico e sociale (soprattutto quelle a mono-reddito con figli), il crescente numero d”anziani non autosufficienti, il permanere di fasce di giovani ed adolescenti in difficoltà o costretti alla solitudine, e il fenomeno, anche culturale, dell”immigrazione.

Di fronte a questi problemi potremmo sentirci tutti inadeguati.
Ma non mancano segni di speranza, la quale non è solo un desiderio o un sogno o una promessa e non riguarda unicamente il domani, ma è una realtà molto concreta ed attuale, che non abbandona mai la nostra terra: le persone, le famiglie, le comunità, l”intera umanità, soprattutto la Chiesa. Chi ha occhi e cuore evangelici vede e gode del numero incalcolabile di semi e germi e frutti e opere concrete di speranza che sono in atto nei più diversi ambiti della Chiesa e della società. Ci sono tantissime persone e gruppi che continuano, ogni giorno, con coraggio e perseveranza, a scrivere il “Vangelo della speranza” nelle realtà e nelle vicende più disagiate e sofferte della vita quotidiana.

Tantissimi uomini e donne, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore e della società, artefici grandi e umili “della” e “nella” storia. Mi ha sempre colpito una frase di Indira Gandhi: “Mio padre una volta mi disse che esistono due tipi di persone: quelli che lavorano e quelli che si prendono il merito. Mi disse di cercare di stare nel primo gruppo. C”è meno concorrenza“.
Tutti, ma particolarmente i cristiani, sono chiamati, ancora di più, a rendere attuale, con il loro comportamento, con l”impegno e i fatti, il messaggio della Speranza cristiana attraverso l”ascolto, l”attenzione, l”incontro e il dialogo con le speranze delle donne e degli uomini del nostro tempo.

Martin Luther King, il promotore della difesa dei diritti civili della popolazione nera dell”America diceva: “Anche se avrò aiutato una sola persona a sperare, non sarò vissuto invano“.
Il mondo apparterrà domani a chi gli avrà offerto una speranza grande” – assentiva Teilhard de Chardin.
Il presente non basta a nessuno: abbiamo tutti bisogno di un po” di futuro” – affermava Albert Camus.
Don Tonino Bello: “Non possiamo limitarci a sperare; dobbiamo organizzare la speranza“.

E anch”io, indegnamente e umilmente, posso dire che “l”uomo è ciò che spera“.
Un pensiero specialissimo di solidarietà, in questo momento di dolore immenso, agli uomini e alle donne dell”Abruzzo: insieme ce la faremo!
Auguro alla redazione e ai lettori de “ilmediano.it” tanta Speranza.

“LA POLITICA APRE LE STRADE ALLA CAMORRA”

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Visto che tutto passa per il Comune, la camorra se ne impadronisce con suoi uomini, controllando le elezioni. In tal caso, non spara ma fa politica e compra un po” tutti. Di Amato Lamberti

Troppa gente mi confessa di restare esterrefatta di fronte alle motivazioni dei provvedimenti di scioglimento dei Comuni per infiltrazioni e condizionamenti da parte della camorra. L”impressione è che molte persone sembrano non accorgersi neppure di ciò che gli succede attorno.

La verità è, però, che tutti si sono abituati ad un certo andazzo per cui può anche apparire normale che per ottenere un diritto, come può essere una pensione di vecchiaia, il riconoscimento di una invalidità certa, una autorizzazione sanitaria all”esercizio di una attività, ecc., ecc., sia necessario chiedere il favore a qualcuno – l”interposta persona, come la chiamava il senatore Saredo, che sciolse, nel 1901, il Comune e la Provincia di Napoli per accertati condizionamenti camorristici – che possa intervenire sugli amministratori dell”Ente delegato al rilascio dell”autorizzazione o del beneficio.

Sembra anche naturale che tale prestazione dell”amministratore venga ricompensata, oltre che con la gratitudine eterna del voto durante le elezioni, anche con regali adeguati all”importanza della persona. Questa è camorra, ma pochi sembrano accorgersene, tanto normali sono diventati certi comportamenti. Il risultato di questi atteggiamenti e di questa mentalità è lo stravolgimento di tutte le regole che dovrebbero far funzionare una comunità. L”amministratore diventa “il padrone delle regole”, nel senso che le osserva, le disattende, le piega alle diverse esigenze a suo piacimento, sensibile solo ai rapporti di forza, alla capacità di pressione e di intimidazione dell”interlocutore, ma anche alle ricompense economiche e politiche che può ricavare dalle sue decisioni. Il fatto di essere “il padrone delle regole” lo mette al centro di tutti gli interessi che si agitano nella comunità, a partire da quelli che si poggiano proprio sullo stravolgimento delle regole.

Un imprenditore pulito chiede regole chiare e trasparenti per l”assegnazione di un appalto pubblico: l”imprenditore-camorrista chiede solo che le regole vengano modificate a suo vantaggio e, per ottenere il risultato, è disposto a pagare, a corrompere, a minacciare e financo ad uccidere. In genere si ferma alla intimidazione e alla corruzione, ma l”appalto è suo, con buona pace dell”imprenditore che non ha potere di intimidazione e di violenza. Così la camorra, in combutta con gli amministratori conniventi, mette le mani su tutti gli appalti, su tutte le forniture, su tutti i fondi agevolati, persino sui fondi per le iniziative sociali e “culturali”. Ma la camorra non si accontenta mai.

Visto che tutto passa per il Comune, la cosa più semplice per impadronirsene è quella di mettere uomini suoi, magari “pezzi da 90”, nell”amministrazione comunale. Il controllo delle elezioni, a qualsiasi livello, è l”attività principale delle organizzazioni criminali importanti, come quelle dei Fabbrocino, dei Russo, dei Cesarano, dei “casalesi”, tanto per fare degli esempi, perchè solo attraverso la politica si posson mettere le mani sui fondi pubblici locali, ma anche su quelli nazionali ed europei.
Come si fa ad avere subappalti e noli a caldo e a freddo nei cantieri dell”Alta Velocità, della linea ferroviaria a monte del Vesuvio, della autostrada Salerno-Reggio Calabria, ma anche di quella Napoli-Salerno? Non certo con le pistole!

Come si fa ad ottenere una variante urbanistica per rendere edificabili suoli ceduti a basso costo da proprietari terrorizzati con intimidazioni e minacce di morte? Non certo con le pistole! Come si fa ad ottenere appalti e forniture nelle ASL? Non certo con le pistole! È la politica che apre tutte le strade alle organizzazioni criminali e alle loro imprese! Per questo la camorra è così presente in tutte le consultazioni elettorali. Il problema vero non sono quelli che di tutta questa attività della camorra non si rendono neppure conto, ma tutti coloro che sanno e capiscono, ma sperano anche loro di ricavare dei vantaggi da una situazione in cui tutte le regole diventano “negoziabili” e possono essere piegate agli interessi personali, senza alcun rispetto per il benessere della comunità e i diritti delle generazioni future.

LA RUBRICA

LINGUA IN LABORATORIO

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La miniera semantica.

Il prof. Carlo A. prosegue nella sua “tarlesca” esplorazione nel corpo segreto delle parole, e, sollecitato e solleticato, oggi, dalle domande e vieppiù dagli occhi attenti e interessati di un suo allievo, un professorino, più esattamente un dottorino fresco di laurea in lettere, desideroso (“rara avis”) di apprendere quanto più possibile e, comunque, almeno il necessario, prima di sedersi in cattedra, ritorna sull”argomento “ambiguità”.

L”ambiguità è, come si sa, la caratteristica della maggior parte delle parole e di numerose frasi di avere una pluralità di significati (polisemia). È come se in esse fosse nascosta una piccola miniera semantica, che il locutore (o lo scrittore) decide talvolta, per vari motivi, di tenere chiusa e quindi inaccessibile all”uditore (o lettore). Quasi sempre però basta inserire la parola o la frase in questione in un contesto linguistico più ampio perchè si produca il “disambiguamento”, ossia l”individuazione del significato preciso e pertinente a quella occasione.

Un bell”esempio ci è offerto dalla parola “pizzo”, che abbiamo nominata la volta scorsa. Si consideri la frase seguente: “Il malavitoso, il volto semicoperto da occhiali scuri, da coppola a mezza fronte, da pizzo (barba tagliata a punta) al mento, si reca in un negozio di pizzo (trine e merletti) ad esigere il pizzo (tangente) al malcapitato proprietario che, anche lui provvisto di un grazioso pizzo al mento, diciamo di un pizzetto (non un pizzino, per carità!), se ne sta beato, seduto in pizzo di sedia (dialettale = in punta di sedia. Chissà perchè, poi? forse per un suo vezzo), ad ammirare una veduta del Pizzo Bernina (vetta), sognando di trascorrervi una bella vacanza. E, pregustando, fa ” “o pizzo a riso”(dialettale = risolino agli angoli della bocca):.”.

Un altro esempio di ambiguità ce lo offre Stefano Bartezzaghi nella sua rubrichetta sul “Venerdì”, supplemento settimanale di “La Repubblica”, “essico&nuvole” “L”esempio più noto, in italiano, è: “La vecchia porta la sbarra”. Vuol dire che c”è una signora anziana che reca con sè una spranga? Oppure che un uscio annoso impedisce di percorrere un passaggio che non viene menzionato?”.
Ma già nell”antichità: “Ibis redibis non morieris in bello” (Andrai ritornerai non morirai in guerra). Ambiguità indotta dalla mancanza di segni di interpunzione e disambiguamento possibile mediante l”introduzione nella frase di una semplice e però decisiva virgola, prima o dopo il “non”.

Per non parlare, sempre nell”antica Roma, la vox ambigua per eccellenza: “fortuna” che il dotto Cicerone disambiguava con “fortuna adversa e secunda fortuna”.
Ma torniamo ai nostri tempi e alla nostra quotidianità: per gustarci quest”ultima ambiguità:disambiguata. “L”elettricista filosofo (sic!) mollò la presa di ciò che aveva preso:poi, presa la presa (di corrente) la sistemò nell”apposito foro:scongiurò l”ennesima presa in giro e dopo una presa d”atto e una salutare e necessaria presa di coscienza, si concesse una gratificante presa di tabacco”.

Interviene il prof. Eligio Ligio, che ha ascoltato e, come suo solito, rispolvera, a suggello e chiosa poetica del discorso del collega e amico, alcuni versi di un poeta ingiustamente dimenticato. Recita con enfasi, tentennando la sua veneranda canizie:

“La viola del pensier messa a seccare
in un libro di versi e di cultura,
ha tutte le ragioni per gridare
– Com”è seccante la letteratura!” (Luciano Folgore)

N.d.A. – Prossimamente sarà risposto ai lettori che ci hanno scritto.

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