Somma Vesuviana. Tenuta San Sossio: “Le vie del gusto” tornano con una serata di pura poesia

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La serena bellezza della “Tenuta San Sossio”, i magistrali piatti dello “chef” Ciro Molaro, il vino  Catalanesca dell’ “Azienda Francesco Mosca”, i pomodorini dell’ “Azienda Agricola Don Camillo”, l’attenzione e la letizia dei convitati, la conduzione sapiente di Carmela D’ Avino, di Sonia Sodano e di Giovanni Sodano, la voce avvolgente di Gianni Conte e quella appassionata di Lino Sabella: da questi “ingredienti” è nata la “poesia” di una splendida serata dedicata alla meditazione.

 

Se come sostenevano Isabel Allende e Alfredo Panzini un “piatto” è come un libro, allora la serata del ritorno delle “Vie del gusto” è un libro di canti e di poesie. Nella raffinata e serena luce della sala della “Tenuta San Sossio” Carmela D’Avino, direttrice del nostro giornale, e Sonia Sodano, presentatrice esperta nella modulazione dei tempi, hanno saputo coordinare i momenti della serata con quel senso di serena armonia che permetteva a Virginia Woolf di descrivere in modo mirabile un pranzo in cui i commensali non sentivano “nessun bisogno di affrettarsi, nessun bisogno di mandare scintille, nessun bisogno di essere altri che sé stessi”. Lo chef Ciro Molaro ha dato a questa “atmosfera” un contributo essenziale: penso all’accordo di colori e di sapori dell’antipasto e al riso del primo piatto, il riso capace di coniugare nella propria sostanza il sapore della zucca e la presenza mistica delle castagne, e di far sì che la succosa morbidezza dell’insieme non diventasse mai, in nessun punto del “piatto”, una stanca mollezza. I profumi del sottobosco che ingentilivano l’arista del secondo piatto intessevano un tenero racconto di antiche memorie vesuviane con la catalanesca dell’Azienda “Francesco Mosca” e pareva che ci esortassero a ricordare a chi l’ha dimenticato che il vino “catalanesca” è un affascinante capitolo della storia del Vesuviano. Giustamente, Carmela D’ Avino e la signora Rosalinda Perna, assessore del Comune di Somma, hanno consegnato i diplomi di eccellenza all’azienda agricola  Francesco Mosca per il vino Catalanesca del monte Somma igt e all’ Azienda Agricola Don Camillo, produttrice di un altro prezioso “protagonista” dell’ agricoltura del Vesuviano, “i pomodorini del piennolo”. Perché dietro la poesia del “piatto” e dietro l’arte degli “chef” c’è la prosa di chi coltiva vigne e orti, e combatte non solo contro gli umori della volubile Natura, ma anche contro l’assenza di chi, per gli obblighi connessi al ruolo e alla “poltrona” su cui siede, dovrebbe essere presente e sostenere in ogni modo il lavoro degli agricoltori. Dietro la poesia della tavola c’è la fatica: ce lo ricordava il padre di Renato Guttuso dalla riproduzione del quadro in cui il figlio lo ritrasse mentre mangiava spaghetti: ce lo ricordava con le sue mani di lavoratore. Quando sono arrivate in tavola le castagne, mi sono permesso di sottolineare qualche aspetto della complicata simbologia del frutto, che molti scrittori collegano alla meditazione: era la meditazione il tema della serata. Avrei voluto raccontare quello che scrisse Emmanuele Rocco, che a Napoli il “castagnaro” ambulante passava “per un dato luogo, sempre alla stessa ora, sicché è una parte principale dell’orologio popolare. “Spesso udrete dire da una donna del volgo: sono le due, perché adesso è passato il castagnaro”. Ma ho preferito leggere “L’ allesse”, la poesia in cui Titina De Filippo svela che l’odore delle “allesse” cotte “’mpont’’o vico” la rattristava, la metteva in uno stato di “apprecundia”, di implacabile tristezza, perché le ricordava che era inverno, che un altro anno stava per finire, e che lei, già vecchia, diventava ancora più vecchia. Su questa serata del “ritorno” i commensali hanno impresso il segno prezioso di una gioia sincera: si riprendeva un cammino interrotto, e dunque la vita quotidiana ritrovava i suoi ritmi e i suoi tempi abituali, e dunque le canzoni di Gianni Conte e di Lino Sabella erano non solo straordinari intermezzi, sfavillanti “condimenti” della serata, ma un inno alla speranza, allo stare insieme, un inno in lingua napoletana: la musica e il canto riannodavano, in noi, i fili di quella trama di propositi e di idee che la pandemia ha spezzato. La luce della serata continua a risplendere anche nelle foto e nei video pubblicati sui “social”: Giovanni Sodano dice che è la parte tecnica quella che lui ha curato. Ma Giovanni è troppo modesto: “fotografare” i personaggi e i momenti di una serata di poesia non è solo un esercizio tecnico, ma è un “gesto” di arte pura. E Giovanni Sodano è un artista.