Viveva solo ed è morto solo, senza la possibilità di chiedere aiuto a nessuno. Francesco Coppola, meglio conosciuto da amici e conoscenti come Francuccio, aveva 50 anni e da qualche mese viveva in una stanza della struttura, abbandonata e mai completata, di fronte al bar Royal. Un giaciglio per la notte, qualche coperta e qualche suppellettile di fortuna. Tanto gli bastava di notte, mentre di giorno lavorava come parcheggiatore del supermercato Gennarì. Guadagnava, e viveva, alla giornata. Una pizza dagli amici della pizzeria accanto, un panino, un aperitivo al Royal.
Ma Francuccio non era un barbone, anzi. Era un ragazzone dal sorriso di eterno fanciullo, garbato, gentile, ultimo figlio di una famiglia di onesti lavoratori. Sposato e poi divorziato, Francesco aveva perso il lavoro e per qualche anno si era trasferito al nord insieme alla moglie per lavorare. Poi era tornato a Somma, da solo, e aveva cercato un lavoro e un tetto: non poteva e non voleva dipendere dai fratelli. Finché ci era riuscito aveva pagato l’affitto, poi non gli era stato più possibile e così, silenzioso e discreto, senza che nessuno se ne accorgesse, aveva trovato riparo in quella struttura. All’alba lo si incontrava al bar Royal, dove sentiva il calore dell’accoglienza e dell’amicizia dei proprietari e dei dipendenti. Qualche battuta, quattro chiacchiere e una buona colazione prima di andare a lavorare fuori dal supermercato dove, ormai, tutti avevano imparato ad apprezzare il suo garbo e la sua umiltà. A vederlo, sempre sorridente, nessuno avrebbe mai immaginato la vita di precarietà che conduceva, ma soprattutto nessuno avrebbe mai creduto che vivesse da solo in quella struttura, senza porte e senza finestre, al freddo e al buio.
Non lo si vedeva da un paio di giorni e così qualcuno è andato a controllare: lo hanno trovato senza vita, nel suo rifugio. Morte naturale, hanno stabilito i medici e i carabinieri della stazione di Somma Vesuviana intervenuti sul posto. Ieri pomeriggio nella chiesa di Santa Maria del Pozzo, nipoti, parenti e conoscenti ma soprattutto tutti gli amici che gli hanno reso la vita più bella con piccoli gesti di generosità gli hanno portato l’ultimo saluto.
A noi restano il rimpianto e l’amarezza, resta nel cuore il pungolo dell’angoscia per non aver capito il dramma dell’uomo che vedevamo ogni mattina, con cui parlavamo ogni giorno. E, mentre il corteo funebre accompagnava Francuccio all’ultima dimora, io mi dicevo che in questo nostro tempo chiassoso, rumoroso, in questa trama di relazioni false, di contatti vuoti, di fittizia socialità, non riusciamo più a vedere e a capire la solitudine vera e la sofferenza autentica che si dispiegano sotto i nostri occhi: non sappiamo vedere, forse non vogliamo vedere. Con la sua morte Francuccio ci ha avvertiti: dobbiamo riconsiderare dalle radici il nostro modo di stare con gli altri, tra gli altri, dobbiamo imparare di nuovo ad ascoltare, ad osservare, e a rispettare il valore assoluto di chi ci sta di fronte. Non ci resta molto tempo per tornare ad essere persone.