Ricette di Biagio: la granita di gelse. Il “miracolo antico” di Piramo e Tisbe

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La granita di gelse fu a lungo presente sulla tavola degli Ottaianesi e dei Vesuviani, e fu il vanto di alcune pasticcerie, la cui arte è oggi custodita da Raffaele Avino Trinchetto. Il gelso veniva coltivato in non pochi luoghi del territorio e alimentava, tra l’altro, l’allevamento del baco da seta. I particolari bachi da seta di “Ceuze”, quartiere napoletano di cui parla G.B. Basile La “favola” antichissima di Piramo e Tisbe ci spiega che da sempre questo frutto, nella complicata simbologia popolare, è legato all’eros.

 

Ingredienti (per 4 persone): gr.200 di gelse, gr. 140 di zucchero, 500 ml di acqua, 1 cucchiaio di succo di limone. Pulite le gelse e frullatele in un mixer con lo zucchero; aggiungete l’acqua e il succo di limone e mescolate. Eliminate i semini con un cucchiaio e versate il succo in un contenitore rettangolare, che riporrete nel freezer per almeno 5 ore, provvedendo ogni mezzora a rompere i cristalli di ghiaccio che si sono formati. Trascorso il tempo necessario, grattate con un cucchiaio la superficie della granita. Così la granita è pronta per la tavola (Immagine e testo vengono dal sito “Misya”. In appendice c’è l’immagine del quadro in cui, nel 1909, Waterhouse dipinse Tisbe che, accostata al muro, cerca di parlare con Piramo, che sta al di là della parete).

 

Secondo la novella babilonese che ispirò una delle “metamorfosi” più raffinate di Ovidio Piramo e Tisbe erano due splendidi giovani, che abitavano in appartamenti contigui e che si amavano fin dalla fanciullezza: ma il loro amore non era approvato dalle famiglie che li tenevano reclusi nelle loro stanze, per impedire che si incontrassero. Ma i giovani riuscivano a comunicare attraverso una crepa aperta nella parete che separava le stanze: è la “situazione” che ispira il quadro “romantico” di John William Waterhouse. A un certo punto Piramo e Tisbe decidono di fuggire, e si danno appuntamento, di notte, presso un albero di gelso, sul confine del deserto mesopotamico. Tisbe raggiunge per prima il luogo fissato per l’incontro: l’impazienza della ragazza ispirò la penna di Ovidio e il pennello di Waterhouse. Ma all’improvviso arriva una leonessa, ancora rossa di strage, e costringe la ragazza a rifugiarsi in un antro, ma nel fuggire le cade a terra il velo, che la belva macchia di sangue. Dissetatasi alla sorgente, la leonessa ritorna nel deserto. Sopraggiunge Piramo che subito vede il velo di Tisbe macchiato di sangue, crede, disperato, che la sua Tisbe sia stata uccisa, se ne addossa la colpa e si uccide con la spada proprio presso il gelso: e il suo sangue schizza sull’albero, bagna i frutti bianchi e li tinge di quel particolare colore che contiene in modo armonioso alcune preziose gradazioni del nero e del rosso. Quando Tisbe esce dall’antro, vede il velo e trova il corpo del suo amato, capisce che è venuta anche la sua ora, e si uccide con la stessa spada con cui si era ucciso Piramo. Ispirati dagli dei, i loro genitori decidono che i corpi dei due giovani risposino nella stessa urna: Ovidio garantisce che essi stanno insieme anche nei Campi Elisi. E gli dei dell’amore dispongono che gli alberi di gelso producano per sempre frutti con il colore congiunto della morte e dell’amore. Questi frutti il Devoto mi consente di chiamarli, in lingua italiana, “gelsa “ al singolare e al plurale “gelse”, ma mi avverte che sono termini poco usati. La lingua napoletana li chiama “ceuza” e “ceuze” e carica il termine con una simbologia connessa all’ eros in un certo modo, un modo tutto napoletano.  Riprenderò l’argomento: per ora faccio un solo esempio. Cienzo, il personaggio del “Cunto de li Cunti” di G.B. Basile, nell’allontanarsi da Napoli, vinto dalla malinconia, si gira a guardare la sua città che sta lasciando, e si chiede dove troverà un’altra Napoli, e “ n’autre Ceuze, dove l’agnolille d’ammore  fanno continue follore de contentizze”. “Ceuze” era un quartiere frequentato da donne di cattiva fama, dove “i bachi da seta fanno senza sosta i bozzoli del piacere”. Mi pare che il senso sia chiaro.