Il 10 agosto 1867 veniva ucciso, in un agguato, presso Savignano Ruggero Pascoli, il padre del poeta. Gli assassini non vennero mai scoperti, anche se il poeta, la polizia e l’opinione pubblica erano concordi nel ritenere che Ruggero fosse stato vittima innocente della prepotenza di affaristi, o di contrabbandieri, o di agitatori politici. Un romanzo, pubblicato nel 2019 e le dichiarazioni del discendente di un mezzadro che lavorava agli ordini di Ruggero forniscono una nuova versione della vicenda e conferiscono un significato imprevisto alla figura del padre del poeta. L’immagine è presa da “internet”.
L’uccisione del padre, e la morte della madre, che si spense l’anno dopo, di crepacuore, segnarono in maniera determinante la visione del mondo che Giovanni Pascoli elaborò senza mai allontanarsi dalla certezza espressa nell’ultimo verso di “X Agosto”, che il mondo è un “atomo opaco del Male”. E’ stato Barberi Squarotti a sottolineare alcuni aspetti particolari del tema del “fanciullino”, immagine concreta “del privilegio accordato a ciò che è prerazionale di fronte alla scienza: il sogno rispetto al vero, la distrazione rispetto alla logica, l’arbitrarietà del segno e della parola contro la normalità comunicativa”. In questa prospettiva la “poesia pura” pascoliana è “una rivelazione alogica nella quale si dissolve il reale per lasciare il posto all’impressione, al simbolo, al mistero.” Come ha scritto Salinari, Pascoli sviluppando i miti del nido e del fanciullino dalle linee già tracciate dal Romanticismo ha colto un tratto dell’uomo moderno, atterrito dal mondo che lo circonda e affascinato dall’idea di un paradiso perduto, in cui non ci siano violenza e lotta per la vita, ma solo amore, mitezza e bontà.
Questa complessità del mondo ideologico pascoliano, costruito su valori diversi e contraddittori, classicità, positivismo e decadentismo, rispecchia la struttura psicologica del poeta, incerta, stratificata, poco omogenea, forse minata da problemi a fatica nascosti e rimossi, e si riflette sulle contraddizioni dell’atteggiamento politico: da una parte il fascino esercitato sul poeta dal socialismo utopistico, con le velleitarie promesse di uguaglianza e di giustizia sociale, dall’altra l’avversione al socialismo scientifico e marxista, e soprattutto al programma della lotta di classe. La sera del 10 agosto 1867 Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta “La Torre” dei Torlonia, venne ucciso a colpi di fucile, in un agguato, mentre alla guida del suo calesse, trainato dalla “cavallina storna”, tornava a casa da Cesena. Le indagini non produssero risultati concreti: esecutori e mandanti restarono ignoti. I funzionari della prefettura pensarono che si trattasse di un omicidio politico: Ruggero sarebbe stato ucciso da estremisti del partito repubblicano, incapaci di accettare il fatto che egli aveva abbandonato il partito e, sollecitato dai Torlonia, si era schierato con i liberali monarchici: in quegli agitatissimi anni dell’Italia da poco “unita” poteva accadere anche questo. Gli investigatori non esclusero che gli assassini fossero briganti, o anche contrabbandieri: anche qualche colono della tenuta esercitava il contrabbando, e forse temeva di essere stato scoperto dall’amministratore.
In quegli anni, dalla Lombardia alla Calabria, non pochi rappresentanti della “casta” dei signori delle terre vennero uccisi da coloni e da contadini: e dobbiamo dire che molti contadini persero la vita nei moti di piazza, sotto l’urto delle forze di polizia. Giovanni Pascoli e i suoi famigliari si persuasero, negli anni, che il mandante dell’assassinio fosse Pietro Cacciaguerra, che voleva prendere il posto di Ruggero come amministratore della tenuta. La storia di Giovanni Pascoli, uomo, intellettuale e poeta, si svolge intorno alla certezza dell’ innocenza del padre, che era stato ucciso mentre “tornava al suo nido”, come la “rondine” che tornava al “tetto”: e il padre, mentre moriva, riuscì a dire “Perdòno”, ma l’ultimo grido lo affidò allo sguardo posato sulle due bambole che portava in dono alle figlie. La vita è stata strappata a quest’uomo innocente dal Male che domina la Terra: la Terra è un “atomo”, ma il Cielo infinito non riesce a trasmettere a questo atomo nemmeno un po’ della sua luce. L’ultima strofa della lirica “X Agosto” è un’immagine potente della “solitudine” a cui la morte del padre condannò il poeta.
Qualche anno fa, le dichiarazioni rilasciate dal signor Bruno Gobbi alla stampa hanno rovesciato totalmente la storia del delitto: il Gobbi disse di aver appreso, all’interno della sua famiglia, che Ruggero Pascoli era stato ucciso dal suo trisnonno Silvestro Gobbi, la cui moglie Ruggero avrebbe violentato. Il “Museo di Casa Pascoli” bollò questo racconto come maldestra e offensiva invenzione, e espresse giudizi pesanti anche sul romanzo di Maurizio Garuti “Il segreto della cavallina storna” costruito intorno alla storia di quel presunto delitto d’onore. Ma se la verità fosse proprio quella raccontata dal Gobbi e Pascoli l’avesse conosciuta, questa verità, quale sarebbe stata la visione del mondo del poeta, quali i temi della sua poesia?