Un nuovo comunicato stampa dalla Rete Civica per il Parco Nazionale del Vesuvio.
A sentire i corifei del nuovo corso e a leggere i post su Facebook del presidente Casillo, sembrerebbe che la risposta dell’ente Parco e delle altre istituzioni ai disastrosi incendi della scorsa estate (senza dimenticare gli incendi altrettanto disastrosi, anche se meno estesi, del 2016) sia stata pronta ed efficace, insomma che tutto sia sotto controllo e che si stia già operando alacremente per realizzare interventi per mitigare il rischio idrogeologico e ricostituire gli habitat andati distrutti. Purtroppo non è così.
“Il Grande progetto Vesuvio” (una delibera di un paio di paginette) altro non è che un atto di indirizzo che si ricollega ad un precedente atto del 2013 e lo modifica e lo aggiorna alla luce del mutato scenario post incendio (ahimè). In esso sono sinteticamente (molto sinteticamente) indicati degli obiettivi, tutti condivisibili, sia chiaro, ai quali dovrebbero seguire progetti ed atti esecutivi.
La copertura finanziaria per la realizzazione di questi interventi dovrebbe essere garantita dagli avanzi di amministrazione (ad oggi circa 7 milioni di euro) che l’ente Parco ha accumulato in questi anni stante la sua incapacità di progettazione, di gestione e quindi di spesa. Ma anche l’impiego degli avanzi di gestione non è una novità, nel senso che era stata già deliberata in precedenza.
Che dire: di nuovo c’è sicuramente il titolo, “Grande progetto Vesuvio”. Al presidente Casillo va oggettivamente riconosciuta una certa abilità nel marketing politico.
Veniamo ai fatti (pochi sinora). A parte alcuni interventi di somma urgenza per consentire il transito dei pullman e dei mezzi presunti ecologici rispettivamente sulla strada provinciale in Ercolano che porta al Gran Cono e sulla via Cifelli tra tra Trecase e Boscotrecase – strada Matrone che porta al piazzale di quota 1000, ad oggi, la risposta dell’ente Parco è stata quella di affidare alla Sogesid, società pubblica con nessuna esperienza pregressa nel campo degli interventi idraulico forestali e molto chiacchierata invece per quanto riguarda gli interventi nel campo delle bonifiche ambientali, la progettazione di massima per la sistemazione di numero tre sentieri del Parco nazionale del Vesuvio (e altre cosette). Spesa 450mila euro. Tempo previsto per la consegna dei progetti: 12 mesi. Alla progettazione di massima seguirà un secondo step per la progettazione esecutiva e la assistenza alla stazione appaltante per preparare il bando di gara (non è stata quantificata la spesa per questo secondo step). In poche parole passeranno quasi due anni prima di affidare i lavori ad una ditta che poi dovrà eseguirli. Tempi lunghi quindi per un intervento assolutamente parziale che certo non può, come è stato fatto, essere rappresentato come la risposta del Parco al problema del rischio idrogeologico.
E’ stata inoltre stipulata una convenzione con l’Area Metropolitana (sulla falsariga di quella stipulata mesi fa con la SMA Campania, società controllata dalla Regione Campania) con la quale l’Area Metropolitana mette a disposizione dell’ente Parco i propri operai forestali per la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete sentieristica, per interventi selvicolturali e di gestione naturalistica e per le attività di antincendio boschivo.
La definizione degli interventi è affidata ad un gruppo di lavoro “congiunto” (ma l’ente Parco non ha, ad oggi, nella propria pianta organica né agronomi, né dottori in scienze forestali, né architetti o ingegneri) ma la direzione delle squadre di operai viene affidata in campo al personale tecnico dell’Area Metropolitana. Ciò che desta preoccupazione e perplessità è la pessima prova di sé che queste maestranze e chi le ha dirette hanno dato nella realizzazione di alcuni interventi in area Parco antecedenti gli incendi del 2017 e previste dall’ultimo Piano Triennale di Forestazione ai sensi della legge Regionale n. 11/96. Si è potuto infatti costatare e segnalare, sia a mezzo stampa che direttamente agli organi competenti, lungo i margini dei sentieri interessati dai cantieri della Città Metropolitana, l’assenza delle previste linee spartifuoco e la presenza di grandi quantità di legna e frascame tagliato ed ivi lasciato e in più punti poi arso dagli incendi del luglio 2017.
La nostra opinione, più volte espressa, è che il personale forestale da impiegare nei boschi, che ha da essere altamente qualificato (ovvero ha da essere formato), debba essere diretto, senza equivoci di sorta, dal personale dell’ufficio tecnico dell’ente Parco, mentre l’ipotesi che sia l’ente Parco ad effettuare all’uopo assunzioni ex novo di operai forestali a tempo indeterminato, è assolutamente percorribile, in primo luogo ripartendo in maniera più equa i proventi dello sbigliettamento dell’ingresso al Gran Cono (attualmente su un biglietto di 10 euro, 5,70 euro vanno alla cooperativa delle Guide vulcanologiche che accompagna o dovrebbe accompagnare i turisti al Gran Cono e solo 4,30 euro vanno nelle casse del Parco cui resta da pagare il servizio di biglietteria, dato in convenzione e diverse altre spese di gestione), in secondo luogo chiedendo ai Comuni del Parco e alla Regione un contributo per sostenere questo costo. In alternativa alla assunzione di operai ex novo, stante la disponibilità di personale alle dipendenze dell’Area metropolitana, è di gran lunga preferibile procedere al distacco di tot operai alle dipendenze funzionali dell’ente Parco, mantenendo, come prevede la legge, l’onere del pagamento degli stipendi a carico dell’Area Metropolitana.
In una prospettiva diversa e condivisibile sembra invece muoversi l’ente Parco quando annuncia di stare predisponendo una convenzione con il Dipartimento di Agraria, con la quale l’ente Parco affida all’Università il compito di elaborare delle linee di intervento per la rinaturalizzazione degli habitat andati distrutti in tutto o in parte dagli incendi, previo naturalmente una analisi puntuale delle situazioni di dissesto e di rischio idrogeologico che si sono venute a verificare su tutto il territorio interessato dagli incendi e nelle aree a valle (o almeno così dovrebbe essere). Ma la convenzione non è stata ancora firmata. E sono passati già sei mesi dagli incendi. E’ quindi forse prematuro cantare vittoria, senza, tra l’altro, conoscere i contenuti della convenzione. Va tenuto però presente che anche qui ci troviamo di fronte ad una attività di studio, che, da nostre fonti, non vedrà il suo compimento prima della fine dell’anno. Alle linee guida fornite dalla Università dovranno poi seguire i progetti esecutivi, che non saranno affidati alla Università ma a terzi che l’ente Parco dovrà individuare (ancora Sogesid?), e quindi, infine, dopo un tempo imprecisato, si dovrà procedere ad affidare i lavori a qualche ditta (ma potrebbe anche essere incaricata la SMA regionale, già operante sul Vesuvio in azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dei sentieri, che ad oggi non ha dato buona prova di sé, vedi gli articoli di Ciro Teodonno al riguardo). Lavori e interventi che richiedono maestranze qualificate e una direzione tecnica all’altezza.
A scanso di equivoci, diciamo con chiarezza che noi facciamo il tifo perché questa convenzione con la Università si faccia al più presto e perché i risultati di questo lavoro siano considerati vincolanti dall’ente Parco e quindi lo siano per coloro i quali dovranno realizzare i progetti esecutivi. Facciamo il tifo perché l’Università abbia un ruolo se possibile ancora più incisivo nella gestione della “ricostruzione”, quantomeno con una funzione di supervisione dei lavori, una volta approvati i progetti esecutivi e individuati i soggetti attuatori. Facciamo il tifo perché coloro i quali dovranno realizzare gli interventi siano soggetti altamente qualificati, come la delicatezza e complessità dei lavori a farsi richiede. E facciamo il tifo perché, nella misura del possibile, si faccia presto.
Ma, stando così le cose, è chiaro che né per questo inverno né per il prossimo, nessun intervento di mitigazione del rischio idrogeologico sarà stato realizzato e nessuna bonifica dei boschi sarà stata avviata, stante la mancanza di personale qualificato in capo all’ente Parco.
Cosa dice la Protezione civile di tutto questo? Cosa dicono i Comuni? Qualcuno si è preso la briga di contattare i Consorzi di bonifica di Napoli e Volla e del Sarno (noi lo abbiamo fatto. La pulizia, non superficiale, degli alvei e dei canali di scorrimento delle acque a noi sembra una ovvia priorità, considerato il concreto rischio che in caso di piogge di intensità eccezionale, dalla montagna vengano giù a valle fango e materiali pietrosi in grande quantità)?
Tra le istituzioni che si sono particolarmente contraddistinte, all’indomani degli incendi, per attivismo e presenzialismo e di cui oggi si sono perdute le tracce, va menzionata su tutte l’Area Metropolitana. Ad ottobre fu convocato un tavolo in prefettura con i Sindaci, l’ente Parco, la Regione Campania, la Protezione civile, l’Autorità di Bacino, il Genio civile e tutte o quasi le istituzioni che per un verso o per l’altro, avevano ed hanno competenze e responsabilità in materia di incendi e di rischio idrogeologico. Furono, ci risulta, effettuati anche diversi sopralluoghi. Furono promessi fondi ai Comuni che avessero presentato progetti di ingegneria naturalistica (scelta che noi criticammo perché, in assenza di una analisi sistematica del territorio interessato agli incendi e di un quadro organico degli interventi da farsi, dare finanziamenti a pioggia era e sarebbe un modo certo di sprecare gli scarsi fondi a disposizione). Quel tavolo non è stato più riconvocato.
Ora, considerata la oggettiva sovrapposizione di competenze, noi crediamo che non solo ci sia bisogno di un maggior coordinamento, come è ovvio, ma anche e soprattutto che ci sia bisogno di individuare un soggetto attuatore dandogli gli strumenti, non solo finanziari, per operare.
E chi può essere, se non l’ente Parco, questo soggetto attuatore (detto da chi non nutre particolare fiducia nella attuale dirigenza)?
Rete civica per il Parco