Nella scultura di G. Pilon risorge il Cristo guerriero che combatte per l’Umanità

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La “Resurrezione” di Germain Pilon (1537 – 1590), portata a termine tra il 1583 e il 1585 e oggi conservata al Louvre, indica concretamente che negli ultimi anni della sua attività lo scultore adottò moduli di percezione e tecniche che annunciavano il Barocco. Non si può escludere, tuttavia, che il Pilon abbia voluto “citare” il Gesù risorto del polittico Averoldi, opera di Tiziano.

 

Charles Terrasse, che nel 1930 scrisse la biografia di Germain Pilon, sosteneva che due erano gli scultori più importanti del Cinquecento francese: il Pilon e Jean Gujon. In vita meritarono gloria e onori uguali, nei secoli successivi la fama di Gujon non subì flessioni, mentre Pilon venne quasi dimenticato. Pesava su di lui la persuasione di alcuni studiosi che egli non fosse un “creatore”, e che confidasse esclusivamente nella sua abilità tecnica. In realtà egli dedicò tutta la sua vita alla lavorazione, dice il Terrasse, della “materia dura”: figlio di uno scalpellino, trascorse l’adolescenza nella bottega del padre, poi lavorò come modellatore presso gli orefici, infine entrò, come scultore, nelle “officine reali”. Alla morte del re Enrico II, la regina Caterina de’ Medici gli affidò l’incarico di scolpire il gruppo delle tre Grazie, sormontato dall’urna in cui era conservato il cuore di Enrico. Ma tutti gli studiosi ritengono che il disegno del “gruppo” sia stato fatto dal Primaticcio, l’artista che Caterina aveva scelto come suo consigliere nelle cose dell’arte. E quasi sicuramente il Primaticcio “guidò” il Pilon nella realizzazione delle statue che egli scolpì nella Chiesa di Saint Denis. Caterina de’ Medici era la zia di Giulia de’ Medici che con il marito Bernardetto comprò nel 1567 il feudo di Ottajano. E Giulia fece costruire, a Ottajano, la Chiesa del SS. Rosario e il convento dei Domenicani con la cospicua “dote” che le venne assegnata dalla zia.

Il Medioevo e il Quattrocento scelsero come iconografia privilegiata del tema della “Resurrezione” quella delineata da Giotto e codificata da Piero della Francesca in cui Cristo esce dal sepolcro con la luminosa serenità del Dio che ha sconfitto la morte e i malvagi e si appresta a ritornare al Suo trono celeste. Ma Tiziano nel polittico Averoldi (1520-22) (vedi immagine in appendice) modificò sostanzialmente l’impostazione della figura di Cristo per ricordarci che il Salvatore aveva dovuto combattere per vincere il male e il buio della morte: non era stata una vittoria facile, e non era una vittoria definitiva.

Nel “gruppo” di Pilon i piedi di Cristo sono saldamente piantati a terra e a terra Egli volge lo sguardo: questi elementi, e la torsione dei muscoli, sottolineata dalle pieghe del mantello, e il movimento delle braccia, e l’impostazione già barocca della figura – si noti il movimento dei capelli – ci dicono che il Salvatore continua a combattere per l’Umanità contro il male e che la guerra è solo all’inizio. Le figure dei soldati romani stesi a terra creano un vuoto che ha funzione tecnica perché conduce il nostro sguardo sulla figura del Risorto e non lo distrae; ma quel vuoto può avere anche una funzione metaforica, perché può ricordarci che troppo spesso noi non rispondiamo alla chiamata del Salvatore e Lo lasciamo solo nella battaglia contro il male. Dobbiamo farla, questa riflessione, soprattutto in questi giorni in cui si incrociano stormi di “Auguri a te e ai tuoi, auguri di una Pasqua serena” e forse, nella realtà, ciascuno pensa solo alla sua serenità e al sapore della pastiera.