Nel libro “Terra degli Ottavi” Gennaro Barbato racconta la sua passione per l’archeologia della Campania Felice.

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Il libro “Terra degli Ottavi” di Gennaro Barbato è il racconto di un sogno che diventa prima passione, poi progetto culturale e, infine, vero e proprio percorso esistenziale. Gennaro Barbato è un “combattente” che non si ferma: non a caso il libro si apre con un sorprendente annuncio: “ora non resta altro che trovare la Villa dove il 19 agosto del 14 d. C. morì l’imperatore Augusto. ..Quella Villa forse l’ho trovata!:”.

 

La passione per l’archeologia del Vesuviano e della pianura che si stende tra Nola e Sarno si alimenta in Gennaro Barbato con la profonda conoscenza del territorio e con l’idea, trasformatasi nel tempo in certezza sempre più solida, che nel 79 d. C., quando il Vesuvio si svegliò, tra Pompei e Nola non c’erano solo vigneti, frutteti e selve, e qua e là le ruvide strutture di qualche masseria, ma si sviluppava, lungo ampie strade percorse da carri carichi di merci, un vasto e articolato sistema urbano, del quale ha scritto, sul nostro giornale, Carmine Cimmino.  Questo mondo pieno di vita Gennaro Barbato lo “vede” ancora e lo “sente”, grazie alla fascinosa forza di un prodigio: “sognavo spesso i pretoriani a scorta dell’imperatore Augusto transitare a pochi metri dalla mia abitazione invernale e estiva: non vi nascondo di sentire ancora il rumore dell’esercito e della cavalleria, di entrare nell’acquedotto che trasportava l’acqua del Serino a Bacoli…”.

Gennaro Barbato può giustamente vantarsi di essere stato il primo “a segnalare la presenza di qualche villa romana” e di aver scoperto “reperti importantissimi esposti in diversi Musei”. Ma il piacere del vanto presuppone un impegno costante, la partecipazione a polemiche, a campagne di sensibilizzazione, a battaglie di vario genere: non c’è gloria senza rischi e pericoli concreti. Barbato cita il caso di un suo amico “appassionato di archeologia, le cui iniziali sono P:D:R.”, che “si beccò una serie di pugni e calci perché quasi sicuramente un suo intervento aveva bloccato un lavoro”.  Se oggi si parla del “villaggio preistorico della Longola” “bisogna ringraziare la caparbietà di alcune persone nel seguire gli autocarri che trasportavano la terra prelevata durante i lavori per la realizzazione dei depuratori del fiume Sarno, terra nella quale sono stati trovati pezzi di legno e cocci del periodo del Bronzo antico, medio e finale”. E in una località prossima a Ottaviano il proprietario del fondo nel quale sono venuti alla luce i resti, assai importanti, di una villa romana “minacciava con il machete chiunque si avvicinasse, per paura di un esproprio.”.

Nelle sue battaglie a tutela del patrimonio archeologico del territorio Barbato è stato ed è sostenuto dagli amici del Comitato Civico e dall’attenzione dei giornalisti che, come Francesco Gravetti, storicamente si interessano delle vicende del Vesuviano e della “Campania Felix”. Questa capacità di Gennaro Barbato di muovere l’attenzione dell’opinione pubblica e l’interesse delle associazioni culturali e degli organi di informazione, e di costringere le istituzioni a svegliarsi dal sonno è ampiamente documentata dal capitolo, intitolato “Quando tutto sembra finito”, in cui si descrive il tormentato percorso che ha portato all’inaugurazione del “Parco archeologico e naturalistico della Longola”. Che però è un Parco archeologico “senza reperti”. Nel libro è trascritta (pag. 35) un’ampia parte dell’articolo che un giornale vesuviano dedicò alla paradossale vicenda: “Un parco giochi” ha detto l’attivista (Gennaro Barbato) che negli anni si è distinto per le sue battaglie contro l’interramento dei reperti.” Di archeologico non c’è nulla”. Eppure sono stati spesi 2,5 milioni di euro, uno spreco.”.

Ma lo spirito guerriero dell’ottavianese appassionato di archeologia si placa nel lungo racconto della vittoriosa battaglia combattuta a difesa delle ville di Terzigno: e correttamente Barbato divide i meriti del successo con le associazioni, con i politici locali e regionali sensibili alle questioni della cultura, con il giornalista Antonio Cangiano che racconta con magistrale acume la tormentata vita della civiltà archeologica campana.

Gennaro Barbato è un combattente che non si ferma: non a caso il libro si apre con una promessa, anzi con qualcosa di più che una promessa: con un annuncio fragoroso: “ora non resta altro che trovare la Villa dove il19 agosto del 14 d. C. morì l’imperatore Augusto. ..Quella Villa forse l’ho trovata!:”.

E’, come vedete, un libro da leggere: perché racconta, attraverso il passato, la storia del presente.