Obama ci chiede scusa per l’italiano ucciso dal drone, e l’Italia si aspetta l’aiuto degli Stati Uniti nella questione dei migranti: ricordiamo, di corsa, cosa americani importanti dissero del Duce all’alba e poi al tramonto del fascismo.
A settanta anni dalla Liberazione, gli Stati Uniti non sappiamo ancora da che verso prenderli. Obama ha pronunciato parole di miele per il sig. Renzi, qualche giorno fa, ma ha aspettato che se ne tornasse in Italia, e poi ha rivelato ciò che già sapeva, che l’italiano Lo Porto è stato ucciso non dai talebani, ma da un drone americano “intelligente”. Il sig. Renzi era andato a Washington a chiedere che gli americani ci dessero una mano ad affrontare il problema dei migranti, e Obama gli ha rivelato che in Libia c’è il caos. Il sig. Renzi lo sapeva già: si suppone. Talvolta è più facile trovare, al primo colpo, l’uscita di un labirinto che una logica all’interno della politica estera americana.
Quando Mussolini prese il potere, Kenneth Roberts, commentando e giudicando l’evento nel libro “Magia nera”, interpretò fedelmente spiriti e umori del “ventre” e di una parte importante della “testa” della nazione americana, insomma dei numerosi e consistenti gruppi sociali che si riconoscevano nella cultura del nativismo, e perciò erano apertamente ostili agli immigrati italiani, soprattutto ai contadini meridionali, e irridevano chi osava sostenere che con l’innato culto del bello gli italiani avrebbero arricchito la cultura americana. Per Roberts, invece, gli italiani potevano essere solo “stolidi lavoratori manuali” e il loro presunto senso del bello non andava oltre l’ immagine di una “ragazzona in un campo di margherite: immagine usata nella pubblicità di una ditta di maccheroni”.
John P. Diggins, che ha studiato con profondità il tema, sottolinea il fatto che i nativisti americani videro nel fascismo quella cultura dell’ “ordine, del patriottismo e del buon senso” che avrebbe smacchiato lo spirito italiano liberandolo dai suoi vizi archetipi: “sregolatezza, arbitrio, viltà, tradimento, delitto” e da un vizio recente, ma non meno pericoloso, l’inclinazione verso l’anarchia socialista e comunista.
Diggins ricorda che Anne O’ Hare McCormick, corrispondente da Roma del “New York Times” durante gli anni di Mussolini, dedicò quasi tutti i suoi articoli alla descrizione delle bellezze dell’Italia e del fascino del fascismo. Quando il fascismo cadde, ella fu molto severa con gli “apatici” italiani che avevano tradito il Duce. Ancora nel 1944 George Santayana spiegava a un giornalista che gli Italiani non potevano essere buoni fascisti perché “si tratta di gente indisciplinata..Si può dire che il loro livello sociale non è tale da farne dei buoni fascisti.” E un giudizio ancora più aspro sull’anarchia degli Italiani egli espresse nelle lettere sul fascismo che G.Prezzolini pubblicò nel 1955. Il Presidente Franklin Roosevelt, pur ritenendo che Mussolini e Stalin fossero, in quanto dittatori, “fratelli di sangue”, nutriva simpatia per il primo, da lui giudicato un “vero galantuomo” e che ringraziò con una lettera calorosa, quando il capo del fascismo gli inviò in dono due pregevoli edizioni di Virgilio e di Orazio.
La simpatia di Roosevelt rimase quasi intatta anche quando l’opinione pubblica americana, turbata dall’invasione dell’Etiopia, incominciò a orientarsi verso atteggiamenti e giudizi chiaramente anti italiani e antifascisti: ma il vento aveva iniziato a cambiar direzione già nel 1931, quando gli americani appresero che teppisti fascisti avevano aggredito Toscanini, poiché si era rifiutato di eseguire “Giovinezza”.
Bisogna anche dire che mentre le truppe italiane invadevano l’Etiopia, Henry Miller dichiarava che non approvava il programma del fascismo, ma preferiva mille volte Mussolini a tutto l’impero britannico: la politica del Duce è “realpolitik. In un mondo di astuti bastardi, di sornioni felini e di fetidi ipocriti, questo è qualcosa.” Ma Diggins riporta anche ciò che Hemingway disse nel 1923: “ Mussolini è il più grande bluff dell’Europa..C’è qualcosa che non quadra, anche dal punto di vista della messa in scena, in un uomo che porta le ghette bianche con la camicia nera”.
Nel luglio del ’43, quando si diffuse la notizia che Mussolini era stato deposto, si vide, dai titoli dei giornali, che l’opinione pubblica americana era ormai tutta contro di lui. Un giornalista parlò della “fuga dello sciacallo”, il “Washington Post” bollò l’ex Duce come “Cesare di segatura”, e “ La segatura esce di scena” fu il titolo dell’articolo di fondo dell’ “Herald Tribune”. Secondo Diggins “il simbolo della segatura, porosa, volatile, invertebrata, era necessario agli americani per uscire dall’intera faccenda con la coscienza intatta.”. Molti videro in Mussolini, nei suoi modi, nella sua stessa vicenda, la sintesi di tutti i vizi italiani, che Roberts aveva elencato venti anni prima e che gli americani “liberatori” cercarono e trovarono, dissero di aver trovato, in tutti gli italiani “liberati”.
Nelle prime pagine di “Napoli ‘44” Norman Lewis racconta che non appena gli americani entrano in Napoli, molti funzionari italiani corrono a mettersi a loro “completa disposizione” e i più veloci sono i fedelissimi del fascismo. Negli uffici del consolato tedesco Lewis e i suoi trovano le copie delle lettere che i “notabili” di Napoli, e tra questi anche un Presidente di Corte d’Appello, avevano inviato a Hitler, per dirgli, “con profonda e devota osservanza”, che ammiravano intensamente i soldati tedeschi.
Non so quanto interessi ai giovani questa ricorrenza del 25 aprile. L’intatta ipocrisia italiana fa sì che in televisione si suonino trombe e grancasse e “sfilino” in onda film e documentari, mentre nella scuola italiana lo studio della storia va svaporando. Forse serve un’altra Liberazione: forse dovremmo liberarci da noi stessi, dalla nostra voluttà di ignorare, di non sapere, di non vedere.
(Fonte foto: Rete internet)