Ammiratori della zeppola di San Giuseppe furono i suoi storici, da I. Cavalcanti a N. Oliviero. E prima ancora, Bacco e Sileno…

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A metà del sec.XIX  Pasquale Pintauro creò una sua “versione” della zeppola napoletana, assegnando un ruolo importante alle creme. Il collegamento con la festa di San Giuseppe si può spiegare attraverso i “Liberalia”, la festa di primavera che i Romani celebravano il 17 marzo, in onore di Libero- Dioniso-Bacco, e della fertilità delle donne, degli uomini e della Natura. Durante la festa si consumavano, in abbondanza, dolci di ogni tipo, e, in particolare, le frittelle di frumento descritte da Catone il Censore e da Apicio.

 

Nella settima edizione della sua “Cucina teorico-pratica” – è l’edizione del 1852- per la festa del 19 marzo, San Giuseppe, Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, mette nel menù zuppa di vongole, maccheroni con parmigiano e burro, “canestrine di pane” con frutta di mare, lesso di spigola, “schiuma” di asparagi, baccalà con salsa di capperi, e zeppole. Sono, le zeppole del duca,  dei “tortanetti” fritti nell’olio, punti senza sosta con forchetta o con apposito strumento di legno perché non si gonfino di olio, e, quando diventano “color d’oro”, “accomodati nel piatto proprio a piramide, versandoci del giulebbe strettissimo, polverizzandole di zucchero”.  Il “giulebbe strettissimo” è un concentrato cremoso di sciroppi. La ricetta di Cavalcanti è citata da Emanuele Rocco nell’elogio della zeppola che egli scrisse, nel 1865, per l’opera di De Bourcard sugli “Usi e Costumi di Napoli e contorni”. Il Rocco non nasconde la sua calda ammirazione per questa “specialità tutta napolitana”: egli propone di dedicarle una colonna monumentale in una piazza della città e di scolpirvi questa iscrizione: Napoli inventò le zeppole / tutta Italia se ne leccò le dita. Anche il Rocco collega la dolce frittella alla festa di San Giuseppe: il 19 marzo “ogni donna che ha una padella e una fornacetta, frigge zeppole in mezzo alla strada, checché ne dicano i regolamenti municipali…” Non sa, il giornalista, quale sia la ragione di questo collegamento: si limita a dire che ora, nel 1865, nel giorno di San Giuseppe si celebra la festa “ di uno dei più famosi somministratori di zeppole”: e poiché in lingua napoletana “zeppole” sono anche le “mazzate”, è probabile che il Rocco si riferisca scherzosamente al più noto dei Giuseppe, a Peppino Garibaldi.

Rocco dice che è “ignoto il nome glorioso del primo inventore”, ma dichiara che il mezzo milione di napoletani e tutti i pasticcieri della città riconoscono che il primato nella manifattura delle zeppole di San Giuseppe spetta a Pintauro. Nello Oliviero ci racconta  la sua versione della storia. Dopo aver inventato, nel 1819, le sfogliatelle, don Pasquale Pintauro visse di rendita nella sua pasticceria di via Toledo per quasi venti anni. Ma il popolo ama le novità, e sul finire degli anni’30 il pasticciere notò che la folla dei clienti, la famosa “folla ‘e Pintauro”, incominciava a scemare. Colpito nell’orgoglio e angosciato dalla moglie donna Carmela, che non sopportava il ridursi degli incassi quotidiani, don Pasquale si concentrò sulla ricetta della zeppola tradizionale, “i cui natali si disperdono nelle foschie del basso Medio Evo”, ragionò, sperimentò e alla fine offrì al pubblico la “zeppola” di Pintauro, la “zeppola bigné”, “una ciambella soffice, dorata, leggiera come una brezza di primavera”. Era il 19 marzo 1840, giorno di San Giuseppe: fu un successo strepitoso, la notizia giunse fino a Corte e Ferdinando II si recò personalmente nel negozio di via Roma ad assaggiare la fragrante invenzione di don Pasquale, e a insignire l’inventore con una decorazione a forma di croce. Così racconta Oliviero.

Ovviamente, anche la zeppola come altre invenzioni della cucina napoletana viene dai forni, dai fornelli e dalla creatività dei monasteri di “donne monache”.. Più difficile è spiegare la relazione con la festa di San Giuseppe. Appare convincente l’ipotesi di chi crede che tutto derivi dai “Liberalia”, una festa che i Romani celebravano il 17 marzo in onore di “Liber”,  versione italica di Dioniso, e della moglie “Libera”.  In quella occasione i ragazzi che avessero compiuto sedici anni diventavano “viri”, adulti, a tutti gli effetti: e dunque i “Liberalia” celebravano, caricando di simboli il dato cronologico, l’arrivo della primavera e il ritorno della Natura allo stato di fecondità e di fertilità.  Nel riti cittadini, e ancora più intensamente in quelli celebrati in campagna, erano vistosamente presenti segni “fallici” e riferimenti alla “potenza” di Sileno, e non si può escludere che questi “segni”  influissero anche sulla forma dei dolci che venivano offerti a tutti i passanti, in particolare, delle frittelle di frumento, di cui parlano Catone il Censore e Apicio. Del resto, se la sfogliatella ha la forma della “conchiglia di Venere”, anche la “rotonda ed anulare circonvoluzione” ( E.Rocco) della zeppola  può essere considerata un omaggio alla dea della Bellezza.