Si discute di riforma elettorale: e le donne?

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All’ordine del giorno della nostra classe politica in questi giorni c’è la riforma elettorale. Con poca o nulla attenzione per la questione della rappresentanza di genere.

Non sono mai stata particolarmente favorevole alle cosiddette “quote rosa”. Sarà anche per il nome che è stato creato per definire una percentuale di posti (seggi? sedie? poltrone?) da assegnare per legge alle donne, nome che fa sentire una donna una sorta di specie da proteggere, come il panda e l’elefante bianco,rinforzando l’idea di appartenenza a un genere di serie B, che va tutelato, incoraggiato, difeso.

Anche il colore rosa, attribuito alla quota, riproduce questa visione delle donne come genere debole, zuccheroso, che si circonda di confetti e tutù, e perchè mai fare loro del male? Perchè sottorappresentarle? Garantiamo una percentuale per il genere femminile nei consigli di amministrazione, negli organismi dei partiti, in quelli sindacali e in quelli politici. Un 30%, che dite va bene? No? Il 40% allora? Non vorrete mica il 50%? E non esageriamo! Insomma parità di genere sì, ma fino a un certo punto. Viene da ricordare Tomasi di Lampedusa: “bisogna che tutto cambi perchè tutto resti com’è”.

Non possiamo negare che negli ultimi anni qualche passo in avanti si sia fatto. Le grida lanciate da ogni parte nel paese su come la questione di genere fosse disastrosamente ignorata o trascurata in ogni campo hanno lasciato un segno. Negli ultimi anni i media hanno talmente insistito sulla questione della violenza di genere e sul femminicidio che il governo ha varato un decreto legge in piena estate, considerando il problema un’emergenza nazionale (grazie per il decreto e anche per la successiva legge, ma la violenza non è un’emergenza improvvisa come un terremoto, è endemica e va affrontata con altre misure). Certo dobbiamo sopportare trasmissioni orrende in cui viene studiata, con un compiacimento allarmante, l’anatomia dell’assassinio e dobbiamo spesso ascoltare e leggere notizie date in modo fuorviante in cui l’assassino appare preso da un raptus improvviso, causato da indicibili sofferenze d’amore (come se fossero i soli).

Per quanto riguarda il potere politico, però, siamo alle solite: il problema non si pone. Nel Porcellum non c’era niente, assolutamente niente, che facesse intravedere l’intenzione di favorire l’attuazione dell’art.51 della Costituzione, che recita “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.” E dove sono le condizioni di uguaglianza? Alle cariche elettive continua ad avere accesso, tutto sommato, un’elite appartenente ai ceti abbienti, cosa che si verifica in tutte le democrazie occidentali (in realtà si verifica ovunque e, per lo più, si è sempre verificato, solo che nelle democrazie occidentali tutti pensiamo che non dovrebbe essere così). Per cui se al Parlamento riesce a sbarcare anche qualche donna, e nelle ultime elezioni abbiamo raggiunto l’incredibile percentuale del 31%!, non si ha nessuna garanzia che raggiunta la posizione la parlamentare faccia qualcosa per le altre donne. Perchè si tratterebbe di favorire l’occupazione, incentivare i servizi e il welfare, garantire l’istruzione e la salute, e di questi tempi questi argomenti non sembrano interessare il nostro Parlamento.

E l’Italicum? Ad essere sinceri leannunciate grandi differenze col Porcellum non sono poi così chiare. La soglia di sbarramento è più alta, non sono state ripristinate le preferenze e il premio di maggioranza è sempre lì. Nessun miglioramento in senso democratico della rappresentanza parlamentare e niente di particolare è stato previsto per la parità di genere. Le parlamentari hanno protestato ed è stata una protesta trasversale: . Le senatrici Valeria Fedeli (Pd), Alessandra Mussolini (Forza Italia) e Laura Bianconi (Nuovo Centrodestra) hanno affermato che bisogna introdurre un vincolo di alternanza di genere nelle liste e nei capilista. Alle senatrici si sono aggiunte le deputate , Roberta Agostini (Pd), Dorina Bianchi (Ncd), Elena Centemero (Fi), Titti Di Salvo (Sel), Pia Locateli (Psi), Gea Schirò (Popolari per l’Italia) e Irene Tinagli (Sc).

Cose da fare ce ne sarebbero. Ad esempio si potrebbero inserire anche per il Parlamento regole simili a quelle che valgono per i comuni, dove il genere più rappresentato nella lista non può essere superiore ai due terzi, oppure il sistema della doppia preferenza (ma qui siamo nell’utopia!) per cui si possono dare due preferenze, purchè a candidati di sesso diverso. In questo modo si agirebbe sulle liste e sul meccanismo elettorale senza forzare il risultato. Ma anche con le liste bloccate si può fare qualcosa: chiedere l’obbligo di successione alternata per sesso, che potrebbe garantire la parità nelle candidature. Insomma basterebbe volerlo.
(Fonte foto: Rete internet)

 QUESTIONI DI GENERE