Panettone , tortellino, verza, anguilla: possono essere anche parole scostumate:::

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Nemmeno i ” piatti ” del menù di Natale si sottraggono alle lascive analogie che la cultura popolare ha colto, nel tempo, tra forma e sostanza degli alimenti e le immagini sessuali. Forse nemmeno la lattuga si è salvata::

La cultura popolare percepì nel Natale la presenza dei valori precristiani dell’abbondanza protetta dagli occhi ” buoni ” del destino e degli dei – il parto felice, i doni dei Magi, il canto degli angeli – e perciò abbinò alla festa il rito del banchetto sontuoso, della grande abbuffata, che veniva celebrato, di solito, durante le cerimonie nuziali: per stornare dagli sposi e dai nascituri il malocchio dell’invidia. Il rito fu rispettato così rigorosamente che le tracce della sua origine pagana si perpetuano, inviolabili, nel presepe napoletano. La centralità del ruolo che il cibo ha in questa festa ha aperto le porte ai giochi linguistici che richiamano il piacere sessuale: e poichè la connessione appare blasfema, gli studiosi ( anche qualche teologo ) si illudono di purgarla attraverso il filtro del mito della Terra che, riposatasi durante il lungo inverno, si prepara ad aprirsi al soffio fecondatore dei venti primaverili, e a trasformarsi nella immagine della “Venere fisica”: quale si manifestò a Lucrezio e a Botticelli.

Del resto, il rapporto tra il piacere del cibo e quello del sesso è di tale evidenza che la questione, scriveva Folco Portinari trenta anni fa, è scaduta ai “livelli della banalità più ovvia.”. Non è facile stabilire se i cibi entrati per caso nei menù natalizi portarono con sè il corredo delle metafore del sesso, o se furono deliberatamente scelti proprio i cibi che più incisivamente evocavano quel tipo di immagini. Ma è probabile che anche in questo caso la verità stia in mezzo.

Il panettone può avere la testa divisa in due parti da un solco, come la riga divide in due i capelli. Era dunque fatale che l’ analogia evidente delle forme inducesse i milanesi a chiamare “panettone” il sedere voluminoso delle donne, soprattutto quando non viene in modo acconcio protetto -scrive, alludendo, Gadda – ” dalla vispa gonnella “. Diverso è il caso dell’anguilla. Che entrò di diritto nella cena della vigilia di Natale, quando era ancora una cena di penitenza, una sobria e salutare preparazione al simposio del giorno dopo. Vi entrò perchè era immagine del Serpente e dunque del Demonio: e la violenza truce con cui, ancora viva, il coltello la trancia in rocchi, in una frenesia di sangue e di imprecazioni, ha qualche tratto in comune con una pratica di esorcismo, e si presta a esser letta anche come un voto, ovviamente simbolico, di castità. Infatti l’anguilla è anche metafora dell’organo sessuale maschile in tutta la cultura popolare , e grazie a Poliziano, a Berni, a Fortini e a Ammanniti, anche in quella letteraria: vivace bestia che nell’acqua cresce / – poetava il Berni- e vive in terra e in acqua, e in acqua e in terra ,/ entra a sua posta ove la vole, et esce.

Al Serpente e ai suoi simboli fa riferimento la forma a “s” del susamiello napoletano, tipico dolce natalizio che trae la sua nobiltà dalle virtù che Greci e Latini attribuirono al “sesamo “, l’erba di cui avevano paura i dèmoni e che rappresentava simbolicamente la resurrezione e l’immortalità dell’anima. Anche le anime semplici sono costrette a notare che la forma a rombo dei mostaccioli è lo stesso segno che i movimenti femministi hanno scelto in questi anni a bandiera delle loro battaglie: un segno chiaramente allusivo, già presente nei culti mediterranei della Grande Madre e della fecondità. Il mosto da cui i mostaccioli prendono nome ,-e prendevano, un tempo, anche un po’ di sostanza-, è, per Boccaccio, metafora degli umori della natura femminile, e del seme maschile, per D’ Annunzio: con il ” mosto ” di Lazzaro vuole battagliare Mila di Codra, la figlia di Jorio, “bagascia di palo e di frasca” “, dopo aver pigiato con lui l’uva: il suo tino, il tino di Mila, è già pronto, ” acconciato “. Non c’è da meravigliarsi se i Romani concludevano i banchetti nuziali con dolci al mosto.

I giochi analogici sono dettati soprattutto dalla forma degli alimenti: Ippolito Cavalcanti faceva lo spiritoso raccontando che alle signore gli struffoli piacciono solo se sono dei “globuli” fatti ad arte, delle piccole e perfette sfere. Circolare è la forma del raffaiuolo, e un cerchio bucato è il roccocò: dipende, forse, dal fatto che questa forma rende più agevole la manipolazione del pasticciere. Ma non bisogna dimenticare che Lorenzo de’ Medici, profondo conoscitore degli argomenti qui discussi, e degli annessi e dei connessi, vide nell’impastare, nel “menar la pasta”, una metafora dell’azione sessuale : la pasta è fine quanto più si mena; / se sudi qualche goccia per la pena,/ rimena pur insin che fatto l’hai. Circolare è la forma dei tortellini e del “tortello”, di cui Gaspare Gozzi cantò l’allusiva bellezza: lasso! Che m’ha ferito / lo bel sembiante di questo tortello. / Nel vero sì è bello, / che fa nei denti miei sorger lo sputo”: che è immagine di volgare ruvidità: ma essa viene direttamente dai repertori della cultura popolare lombardo -veneta, capace di trovare una qualche corrispondenza tra la bocca che sputa e analoghe azioni di un altro organo del corpo.

Fu il modenese Francesco Maria Molza a trovar nella struttura dell’ “insalata” un riferimento alla forma dell’organo sessuale della donna: sotto il giudice ancor la lite pende, / qual debbia di ragione il pregio avere, / l’insalata o il popone; e chi si intende / di cotai cose, apertamente dice / che all’insalata il primo onor si rende. Credo che l’insalata del Molza sia il cavolo verza: la fresca e virginale lattuga non merita di essere brutalmente usata per indicare forme di un mondo che le è estraneo: perchè fin dai tempi antichi si sapeva che la sua ” frigidità – così la chiama Vincenzo Corrado – reprime ” ogni calore”: del vino, e di ogni altro cibo caldo. Ma gli scostumati inventori di analogie non hanno rispetto di niente: nemmeno la zampogna si è salvata dalla dissacrazione dei loro giochi. Qualcuno l’ha usata come immagine dell’apparato genitale maschile, a Alberto Bevilacqua la zampogna ricorda l’organo sessuale femminile, al poeta napoletano Giulio Cesare Cortese la mammella voluminosa.
Questo Natale, triste per tanti Italiani, sta dissacrando anche l’ultima dea: la Speranza.

 L’OFFICINA DEI SENSI