M.me De Scudèry disegnò, a metà del ‘600, una mappa della fantastica Terra della Gentilezza. Secondo la leggenda, la carne del pesce bandiera, “la signorina del mare”, ispira educazione e cortesia. Ma poiché non è giusto essere educati con tutti, anche con i maleducati, è necessario attenuare questa “virtù” del pesce con l’aspro vigore delle olive nere, che Biagio aggiunge alla ricetta di Ilaria Polito.
Ingredienti: gr.500 di mezzi paccheri di Gragnano; gr. 300 di pesce bandiera; 200 gr. di pomodori di Pachino; peperoncini verdi; olive nere; olio d’oliva; aglio.Si taglia a dadini il pesce bandiera precedentemente sfilettato e si fa scottare in padella con l’olio e l’aglio leggermente imbiondito. Si aggiungono poi i pomodorini tagliati anch’essi a pezzetti. Il tutto si fa cuocere per poco, giusto per scottare anche i pomodori. Intanto si cuoce la pasta ( mezzi paccheri di Gragnano ) e si aggiunge un po’ di acqua di cottura nel sughetto. Si scola la pasta al dente, si versa nella padella con il sughetto e si aggiungono i peperoncini verdi precedentemente tagliati a rondelle. Il tutto si “spadella” ed il piatto è pronto. ( La ricetta è di Ilaria Polito. Su mia richiesta, e per le ragioni della psicologia culinaria, lo chef Biagio aggiunge, con i peperoncini verdi, cinque olive nere snocciolate ).
Un argomento alla volta. A metà del sec.XVII M.me Madeleine De Scudèry disegnò una carta geografica “duTendre”, che Umberto Eco tradusse “della Tenerezza”, infilando nel vasto campo semantico della parola italiana la cortesia, la buona educazione, la delicatezza dei modi. La signora francese colloca sulla mappa tre città della Tenerezza, la Tenerezza per stima, quella per riconoscenza, e quella per inclinazione: ognuna di essa sorge su un fiume diverso. Le prime due sono precedute da villaggi che si chiamano Compiacenza, Amicizia, Bei Versi, Biglietti Galanti, Biglietti Dolci, Riconoscenza: solo la Tenerezza per Inclinazione non è preceduta da altri luoghi abitati, perché, per essere ciò che è, non ha bisogno di altro: l’inclinazione fa parte della natura dell’uomo, non dipende né dal mondo esterno, né dalle vicende della storia personale.
M.me De Scudèry non poteva sapere che esiste una quarta “tenerezza”, che l’uomo trae dal consumo della carne del pesce bandiera, o pesce spatola, o pesce sciabola, o “signorina del mare”: un pesce povero e misterioso. A questa sua leggendaria virtù, di ispirare, con le sue carni, gentilezza, cortesia e sovrana compostezza di modi allusero, nel mondo antico, uno scoliaste di Ateneo, e nell’Ottocento alcuni allievi del Pitré, che sostennero di averne sentito parlare dagli arabi e dai catalani. Non spiegano, i narratori della leggenda, se la “signorina del mare”, la cui tinta celeste attenua gli effetti poco piacevoli della “cera” del muso e dei denti, ispira gentilezza a tutti coloro che ne consumano le chiare carni venate di rosa, o solo a chi già dalla Natura è predisposto, in qualche modo, all’uso della cortesia.
Non è un caso che la ricetta mi sia stata fornita da Ilaria Polito, in cui cultura, bellezza e temperamento trovano uno splendido accordo nel segno di una raffinatezza naturale, mai affettata, e di una gentilezza di modi, di tratti e di voce che si sviluppa secondo i ritmi della musica. E ora le racconterò una stranezza. Non amo la pasta al sugo di pesce: mi fermo agli spaghetti a vongole e a quelli con le cozze e con i frutti di mare. Un paio di mesi fa mi feci convincere da alcuni amici ad affrontare, a pranzo, un piatto di linguine con pesce spatola: dovetti ammettere che il sapore era gradevole. La sera e nella prima metà del giorno successivo mi capitarono due “cose” assai strane. La sera, quando mi ritirai a casa, trovai un’auto parcheggiata davanti all’ ingresso del mio garage, su cui campeggia, in bella vista, il “divieto” di sosta “notte e giorno”. Aspettai con una calma che mi sorprese: dopo mezzora si presentò un tipo con in braccio un cagnolino, mi vide, notò la mia “500” ferma accanto alla sua automobile, mi domandò sorpreso e un poco anche infastidito: mica deve entrare? E io, calmissimo e con una voce che non riconoscevo: sì, dovrei. Lui intese male il senso del condizionale, perché consumò una decina di minuti nell’accarezzare il cucciolo, nel disporlo sul cuscino che riempiva una cesta, nel sistemare e nel risistemare la culletta, nel partire con una manovra lentissima. E io aspettavo, calmo.
La mattina dopo trovai su “fb” una scortese lezioncina di storia borbonica impartitami da un tale che conosceva la storia di Napoli borbonica come io conosco le regole del baseball, ma non mi smossi, mi dissi che anche lui aveva il diritto di andar fiero della sua ignoranza. Che, inoltre, non faceva male a nessuno. Ma già qualche ora dopo mi chiedevo, all’improvviso e con un fastidio che ben conoscevo, come avevo potuto sopportare, senza reagire, le due situazioni. “Allora è vera, questa storia del pesce bandiera” mi dissi: e per di più, c’era, nel piatto, anche una punta di timo, e il timo produce effetti simili.
Domani Biagio preparerà la pietanza secondo la ricetta di Ilaria. Ma poiché non è giusto essere educato e cortese con tutti, anche con i maleducati, il cuoco aggiungerà una manciata di olive nere snocciolate, il cui compito sarà quello di ridurre, con il loro aspro vigore, la morbida dolcezza del pesce bandiera e di riportare sotto il controllo della volontà il flusso magico della gentilezza che promana dalla “signorina del mare”. Non voglio che mi capiti di essere cortese, arrasso sia! con due tipi che sto aspettando, con pazienza, a uno dei varchi di “fb”…….