LA SOMMOSSA DI SOMMA IN NOME DELLA CATALANESCA

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Anno di Grazia 1913: a Napoli c”era la fame più nera e si pensò di far pagare dazio anche all”uva catalanesca e al vino che se ne produceva. Fu rivolta popolare! Di Carmine CimminoRinviando ad altro articolo l’esame delle carte con cui il catalanesca è stato inserito tra i vini a “indicazione geografica tipica“, raccontiamo un clamoroso episodio di “sedizione“ di cui i Sommesi furono protagonisti, in nome della catalanesca, nei primi giorni di febbraio del 1913. Per tutto l’Ottocento l’uva tardiva e il vino che se ne produceva, da sempre strettamente collegati al nome e alla storia di Somma Vesuviana, godettero di buona fama.

I termini di questa fama vennero codificati da Vincenzo Semmola nella relazione sui vitigni e sui vini vesuviani, che egli lesse ai membri del Reale Istituto di Incoraggiamento nella tornata del 3 febbraio 1848: l’uva catalanesca, da sola, dopo essere stata asciugata al sole per qualche giorno, produce un vino squisitissimo, e unita al greco, vi mette forza e sapore . Bisogna dire che Semmola indicava come “greco di Somma” il vino “che da Portici a Bosco chiamano lacrima bianca “e che si otteneva dalla “mistura delle uve bianche della seconda e terza zona del Somma-Vesuvio“, e cioè della fascia montana che dai 500 metri sale fino al Poggio del Salvatore.

Se Vincenzo Semmola sottolineò la “squisitezza“ del catalanesca, Francesco Briganti e Guglielmo Gasparini sostennero senza mezzi termini che il vino, pur “gustoso“, avesse troppo debole corpo, e che questo difetto di nerbo non fosse rimediabile. Nel 1851 i vigneti campani subirono il terribile attacco di una muffa parassita che il micologo Berkeley chiamò oidium Tuckeri. Le vigne di “moscadella“ e di “sanginella“ vennero devastate, mentre la catalanesca e la corniola, uve bianche “a fiocina tenace“ resistettero vittoriosamente all’insidioso nemico. Questa resistenza spinse molti vignaioli a ricostruire i vigneti con viti di catalanesca, tanto che la produzione del 1870 risultò quasi raddoppiata rispetto a quella del 1848.

Il successo venne favorito anche dalla buona riuscita dell’opera di irrobustimento del vino, a cui misero mano, con nuove tecniche di lavorazione, i produttori di Somma, di Pollena e di Massa, e da una certa evoluzione del gusto, che, a partire dal 1880, indusse i ristoratori di Portici, di Ercolano, di San Giorgio a Cremano, a proporre il catalanesca sulle fritture e sulle parmigiane. Oltre che all’uva, da tempo consacrata come squisitezza natalizia, fecero pubblicità anche al vino i nobili e i borghesi napoletani che tenevano palazzi, masserie e case di campagna in Somma, e casine per i bagni lungo il Miglio d’Oro. Nel 1910 la produzione e il commercio del vino costituivano la più importante attività economica di Somma, e la “trafica“ delle “vendemmie“ più preziose era in mano a Luigi Sersale, mediatore di Sant’Anastasia, e a Francesco Formicola e a Giovanni Principe, sensali di Portici.

Il 1913 fu un anno agitatissimo. L’esercito italiano incontrava impreviste, durissime difficoltà nel piegare la resistenza delle tribù della Cirenaica; i Balcani erano in ebollizione, Bulgari, Serbi, Turchi, Rumeni e Greci spezzavano a colpi di sciabola tutte le trame di tregua e di pace tessute dalle cancellerie di Parigi e di Londra, e l’Austria e la Germania procedevano baldanzose per la strada che avrebbe portato al conflitto mondiale. In Italia la crisi economica innescò dal Nord al Sud scioperi locali, uno sciopero generale e veri e propri moti di piazza: il più grave dei quali, il 5 e il 6 agosto, trasformò Milano in “un campo di battaglia“. A Napoli la miseria era così nera che l’on. Aliberti aprì, nella sezione Mercato, la “casa del pane“, in cui i “poveri e onesti disoccupati“ ricevevano ogni giorno un pezzo di “pane gratuito, per sé e per i miseri figli“.

Questa “casa“ venne aperta anche grazie alle 10.000 lire donate dal cav. Egidio Perrotti Gamba, che aveva fatto fortuna in Brasile ed era, ricordavano i manifesti, sincero amico dell’onorevole. Alla fine di gennaio venne adottato un decreto-catenaccio che allargava la cinta daziaria di Napoli e allungava la lista dei prodotti gravati dal dazio: in questa lista vennero inseriti anche l’uva catalanesca e il vino catalanesca, sia in bottiglia che in botte. La sera del 3 febbraio almeno mille sommesi irruppero nella Casa Comunale e costrinsero il sindaco a “telegrafare al deputato del collegio“; poi tornarono in strada ad abbattere i pali del telegrafo e a fracassare tutti i fanali della pubblica illuminazione. Il giorno dopo, una folla ancora più grossa e minacciosa bloccò con tronchi e con massi la linea ferroviaria, e quando arrivò in stazione il treno della Vesuviana, i rivoltosi lo presero d’assalto e costrinsero il macchinista a riportare il convoglio a Ottajano.

Vennero malmenati gli operai della Società del Serino, che si erano rifiutati di partecipare al “tumulto”. Che continuò nei giorni seguenti, e non riuscirono a placarlo nemmeno i drappelli di carabinieri inviati da tutte le caserme del territorio. Durante gli scontri alcuni carabinieri vennero feriti, e uno di essi, gravemente, da una coltellata alla gola. Le acque si calmarono solo quando i politici fecero, scrive il cronista del Mattino, “le laute promesse onde le autorità sogliono fare sfoggio in casi somiglianti“. Intanto, 79 sommesi erano stati tratti in arresto. Di essi, vennero rinviati a processo, per resistenza violenta alle forze dell’ordine e per “attentato alla sicurezza dei mezzi di trasporto e alla libertà di lavoro“, solo 5 contadini, Matteo De Monte, Vincenzo e Antonio Annunziata, difesi dagli avvocati Augusto De Martino e Gennaro Marciano, e Nicola Sorrentino e Giuseppe Polise, a cui l’ on. Gargiulo offrì lo scudo della sua eloquenza.

Ma il giudice fu severo: agli inizi di luglio condannò tutti al carcere, da 5 a 14 mesi, e il Polise, che aveva malmenato gli operai della Società del Serino, anche a una multa di 400 lire: per un contadino, il salario di un anno. O quasi. Le autorità avviarono con prevedibile lentezza il procedimento per togliere dalla lista nera almeno il vino: ma la Grande Guerra cambiò drammaticamente agenda e attori.
(Foto: Immagine di un pastello di Mario Borgoni, "Settembrina")

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