L’istrionico cantante ci racconta la nascita dello spettacolo che sarà in scena venerdì 7 dicembre alle 21.00 al Teatro Metropolitan di Sant’Anastasia.
Fabio Fiorillo è alla sua prima regia. Il confronto è con un’opera importante, una favola che seduce e affascina «La gatta Cenerentola» del Maestro De Simone.
L’abbiamo incontrato per farci raccontare questo incontro e le suggestioni di un’opera cara al pubblico e agli artisti napoletani e non solo.
Da dove nasce l’idea, l’esigenza di confrontarsi con quest’opera?
«Ricordo il primo incontro con «La gatta Cenerentola». Ero bambino, la vidi per la prima volta al Teatro San Ferdinando con i miei genitori. Ne rimasi affascinato. Dopo una settimana comprammo il vinile, così in pochi giorni la imparai tutta a memoria. Avevo nove anni, ma il canto era già la mia passione, cantavo nella Chiesa della Regina dei Gigli, a San Giorgio».
Cosa ricordi del tuo primo incontro con il Maestro De Simone?
«Lo incontrai la prima volta nel 2002, a casa del Maestro Virgilio Villani. Era una domenica pomeriggio. Feci un’audizione, il Maestro mi suggerì di studiare per entrare nei MediAetas… ma poi la cosa non si realizzò …».
Come è iniziato lo studio dell’opera?
Lo studio in realtà è iniziato già in quel periodo, nel 200. Si trattava poi solo di affrontare alcuni nodi più oscuri.
«La gatta» richiede una regia più esperta, io a 40 anni mi sento ancora un bambino di fronte a questo lavoro. Ma ho incontrato questa compagnia («La Cabala» ndr) che mi ha accompagnato in questa avventura favolistica.
Il tuo lavoro ha ricevuto l’autorizzazione da parte del Maestro De Simone, già questo un riconoscimento importante…
«La Gatta» è un’opera di ingegno molto tutelata dalla SIAE. Il Maestro difficilmente concede l’autorizzazione, solo in situazioni particolari. In questo caso abbiamo dei vincoli, siamo in assetto oratoriale con frammenti di recitato e con l’esecuzione di un numero ridotto di brani dell’opera originale. La trama narrativa è ricostruita attraverso il racconto, cercando di non perdere il filo di un opera complessa che dura circa tre ore e che nella mia versione dura un’ora e quaranta.
In questo caso abbiamo capito che la formula oratoriale con il racconto che lega i vari momenti ne danno una sintesi buona. Noi siamo felicissimi del risultato, tutti gli artisti napoletani che fanno una scelta artistica rigorosa si confrontano con «La gatta».
Quanto è durato il lavoro per la messa in scena?
«Mettere in scena il concerto è stato un lavoro molto impegnativo, abbiamo investito molto tempo anche nella nostra «formula ridotta», è stato un vero laboratorio durato circa un anno e mezzo.
Un’esperienza bella ma anche un po’ sofferta, perché la compagnia era sempre «nomade». Non sapevamo mai dove avremmo fatto la prossima prova. Poi con il tempo abbiamo iniziato ad avere altre esigenze, anche di un posto stabile in cui provare, questa esigenza è stata trasmessa ed accolta… Lo spettacolo è nato nel Casamale, è stato quello il vero teatro, non è un caso, questo borgo è il luogo in cui De Simone ha trovato molto materiale per l’opera. Abbiamo ripercorso gli stessi luoghi con intenti differenti, il Maestro per ricercare e comporre, noi per presentare l’opera. Il Casamale ci ha stregati ed accolti».
Un ultima domanda. Questo è il primo spettacolo che ti vede in veste di regista. Cosa ha guidato le tue scelte?
«Misurarmi con una «prima regia» non è stato facile soprattutto perchè ho scelto «La gatta Cenerentola» e su di essa tutto è stato già fatto con l’eccellenza dal maestro De Simone. Ho dovuto immaginare e capire una soluzione che non mortificasse l’opera ma nello stesso tempo rispondesse alla mia personalità. Ho lasciato che l’assetto oratoriale mi suggerisse i passi da fare di volta in volta tenendo conto che la compagnia è costituita da una piccola parte di professionisti che mi hanno garantito un’ossatura salda su cui incarnare l’opera e la rimanente parte della compagnia era tutta da modellare. Ho tenuto conto delle caratteristiche personali dei singoli al fine di far emergere ognuno all’interno di un risultato di gruppo. Ho cercato di rendere brillante e far emergere chi ha più versatilità nei recitati piuttosto che forzare chi magari eccelle nei cantati.
Non ho voluto scenografie ma solo elementi di scena che verranno adoperati facilmente dagli attori che di volta in volta assumeranno i ruoli assegnati durante lo spettacolo. Questo avverrà dal vivo, sotto gli occhi della platea che potrà riconoscere i passaggi degli attori da un personaggio all’altro, chi e quando sarà la matrigna o il cuccuruccù o il monacello. L’orchestra è quella classica napoletana, con chitarre, flauto e percussioni e per avere un suono colorato ho voluto un violoncello che in alcuni brani rende il dramma delle cose che vengono cantate. I ruoli sono diventati definitivi solo recentemente ma prima di riconoscere il «cosa a chi» c’è voluto del tempo, ho lasciato che fosse il personaggio a scegliere l’interprete … un po’ come dire che ogni ruolo ha scelto in maniera naturale il suo attore o cantante. Così facendo ho lasciato che l’opera mi suggerisse le cose evitando di prendere decisioni che potevano rivelarsi sbagliate.
Ho puntato molto sull’essenzialità: una sintesi del racconto, una scarna scenografia, un insieme di suoni asciutti e senza troppi barocchismi, una pulizia dei monologhi lasciando interi solo quelli scritti dal maestro che hanno il dono della ricettività verso tutti. Forse proprio l’essere essenziali è stata la più difficile delle scelte: raccontare una storia in circa 90 minuti dove durante il racconto accadono tante cose. Ecco quale è stata la vera scommessa».
(Fonte Foto:Rete Internet)

