Un caffè con…Mena Iovine

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L'architetto Mena Iovine

Architetto, è stata candidata alla carica di sindaco alle ultime amministrative di Marigliano dove oggi è consigliere di opposizione. É responsabile dei settori Urbanistica ed Ecologia al Comune di Somma Vesuviana che considera sua città «d’adozione».

Moglie, mamma, architetto. Mena Iovine è nata e vive a Marigliano. Venticinque anni fa ha sposato Giovanni La Marca, ingegnere meccanico, con il quale si era fidanzata giovanissima. Hanno tre figli: Michele, Paola e Rocco. Si è specializzata in Urbanistica e dal 2006 lavora al Comune di Somma Vesuviana dove è responsabile di posizione organizzativa per i servizi tecnici e la gestione del territorio, l’igiene urbana, l’ecologia e l’ambiente. La politica l’ha sfiorata fin da piccola perché suo padre, Rocco Iovine, è stato segretario cittadino della Democrazia Cristiana, consigliere comunale ed assessore ai tempi del sindaco Gaetano Napolitano. Mena però, la politica, l’aveva sempre tenuta ben distante fino alle ultime amministrative, quelle della primavera 2015, quando invece ha capitolato cedendo alle richieste della compagine di centro destra della sua città (Forza Italia, Udc, Fratelli d’Italia e la lista Iovine Sindaco) che l’ha voluta come guida e candidato sindaco. È arrivata in ballottaggio ma per pochi punti percentuale – poco più di mille voti –  non è riuscita a sconfiggere l’attuale primo cittadino, Antonio Carpino (Pd). Ora siede nell’assise mariglianese da consigliere comunale di opposizione ma, come aveva detto in campagna elettorale, non ha mai voluto prendere tessere di partito. Ha lavorato, prima di approdare nella pubblica amministrazione, da progettista e consulente, ricevendo incarichi da molti enti pubblici come i comuni di Carbonara di Nola, Mariglianella, Saviano, San Gennaro Vesuviano, Casoria, Casola di Napoli, Palma Campania, ma anche l’ex Provincia di Napoli e il Lupt, ossia il laboratorio di urbanistica della facoltà di Architettura dell’Università «Federico II», Università con la quale ha collaborato anche alle cattedre di Tecnologia e Urbanistica. Nel 2008, durante la gestione commissariale del Comune di Somma Vesuviana, ha ricevuto un encomio dal vicario Prefetto Maria Guia Federico «per un non comune spirito di servizio, uno straordinario attaccamento al dovere e un radicato senso delle istituzioni». Era invece il 2010 quando alla Iovine fu conferito il premio «Normalmente straordinari» dalla Fics (federazione italiana Città Sociale) per il servizio svolto nella pubblica amministrazione alla risoluzione dell’emergenza rifiuti. È stata relatrice per l’associazione «Libera» di don Ciotti di un progetto sul tema della legalità nel ciclo dei rifiuti e delle ecomafie e ha ideato e organizzato, per due edizioni, il concorso a premi rivolto a giovani e studenti «I want to be clean», dedicato alla sensibilizzazione sulle tematiche ambientali.

Mena, da candidato sindaco alle ultime amministrative di Marigliano hai spesso ricordato tuo padre Rocco.  Me ne parli?

«Era un professore, insegnava applicazioni tecniche alle scuole medie nella periferia napoletana, a Barra. Un uomo saggio, sempre sorridente ma con un carattere fermo, deciso, tant’è che sapeva farsi amare da tutti gli “scugnizzi” suoi allievi.  Ogni volta che c’era una gita scolastica mi portava con sé e   ricordo con piacere che tutti questi ragazzini, di cui molti ripetenti e per la maggior parte “difficili”, mi proteggevano, mi tutelavano come se fossi una perla rara perché ero la figlia del professore. Avevo dieci o dodici anni, loro pur essendo alle medie anche qualcuno in più.  Papà lavorava tanto, faceva sacrifici per crescerci e mandarci a scuola, la nostra era una famiglia non particolarmente agiata ma tranquilla».

Ed era impegnato in politica nella sua città, Marigliano.

«Sì, dedicava alla sua passione molto del poco tempo libero. Anche la domenica o la notte, quindi per certi aspetti lo vedevamo poco in casa. È stato consigliere comunale e assessore per due consiliature con il sindaco Gaetano Napolitano, nonché segretario della sezione della Democrazia Cristiana a Casaferro, proprio dove abito ancora oggi».

Tua madre, invece?

«Mamma si chiama Maria, è sempre stata in casa. Non usciva mai con papà, è schiva e poi, diciamola tutta, non aveva nemmeno la possibilità economica di vestirsi in modo adeguato per accompagnarlo nei luoghi che lui frequentava per la politica. Quindi, in ogni occasione in cui bisognava “apparire”, lui portava me, sono sempre stata con lui fin quando è mancato. Aveva solo 56 anni quando è morto».

Credi che sarebbe ancora in politica?

«Sì, certamente. La sua passione era fortissima ed era molto benvoluto. Ma soffriva di una grave patologia e fu operato a Parigi da una equipe internazionale, però non ci fu nulla da fare. Ricordo che stava male, doveva affrontare un intervento, era impaurito, spaventato, eppure si preoccupava di chiedere a mio fratello cosa stesse accadendo in consiglio comunale».

Cosa ricordi di lui politico?

«I congressi Dc ai quali mi portava. I musi duri, il piglio deciso di un uomo che a casa era invece dolcissimo. Gli scambi di idee anche forti con persone che all’epoca erano importanti, come l’onorevole Armato, padre di Teresa e fratello dell’allora Sottosegretario al Commercio, esponenti della sinistra democristiana. Ricordo che vennero a casa, quando papà morì, per dare conforto a mia madre e a noi. Non l’avrebbero fatto tutti, ecco perché ne ho un bel ricordo, quello di un’amicizia non legata soltanto alla politica».

Hai fratelli, sorelle?

«Due fratelli, Giovanni e Ciro. Il primo lavora in Provincia, il secondo all’Agenzia delle Entrate».

Com’è stata la tua infanzia?

«Sono stata una bimba felice, coccolata dal papà. Bastava che ci guardassimo negli occhi per capirci, non c’era alcun bisogno di parole anche se non sempre andavamo d’accordo. È stato molto severo, geloso, non voleva che uscissi, dunque non avevo la libertà di altre mie coetanee mentre consentiva tutto ai miei fratelli. Diciamo che rimanevo spesso sola fin quando, in terza media, ho stretto amicizia con la figlia del maresciallo dei carabinieri che comandava la stazione locale. Con lei mi faceva uscire, si sentiva più tranquillo».

Le figlie dei militari sono le più ribelli…

«È vero, infatti anche suo padre era contento della nostra amicizia, del fatto che fossi così mite e tranquilla anche se disposta a farmi uccidere per un ideale e non ho mai, fin da allora, guardato all’opportunità. Sono stata molto legata a quella famiglia, volevo bene a lui ed è ancora vivo l’affetto per sua figlia, anche se la vita ci ha separato».

Se ti chiedevano all’epoca cosa volevi fare da grande che rispondevi?

«La giornalista».

Hai scelto meglio, poi.

«Non so, però ho comunque avuto una vita piena e molto bella».

Ti sei fidanzata giovanissima.

«A quindici anni, ho conosciuto Giovanni e non ci siamo mai più separati. Io frequentavo il Liceo Classico a Pomigliano d’Arco, lui lo Scientifico a Marigliano. È capitato di incontrarci in stazione ma la scintilla è scoccata alla festa di compleanno di un amico comune, Roberto».

Liceo Classico, dunque. Poi Architettura, perché?

«La scelta delle superiori si deve a mio padre, lui veniva da una famiglia abbastanza modesta ed era affascinato da chi aveva potuto compiere studi umanistici, il sogno nel cassetto che lui non aveva realizzato. Sono certa che mi pensasse insegnante di Lettere. Infatti dopo il Liceo mi iscrissi a Lettere Classiche ma ero molto confusa. Mi ero diplomata con il massimo dei voti e studiavo molto, per un anno intero ho dato anche esami. Un giorno però ebbi un colloquio con un vecchio professore che cominciò a raccontarmi la sua vita. Era disperato perché sarebbe andato in pensione di lì a poco e non sopportava di dover lasciare la sua Università, la sua Biblioteca, i suoi studenti. Io ero invece annoiata, senza passione, mi accorsi che al contrario di lui non era lì che volevo stare. Perciò quel giorno tornai a casa e dissi a mio padre che all’Università non sarei più tornata. Mi stupì perché mi aspettavo fuoco e fiamme, invece mi disse di far quello che sentivo nonostante fossi la figlia in cui riponeva le aspettative più grandi rispetto agli studi».

Poi cosa è accaduto?

«Passò l’estate e mio marito, all’epoca eravamo fidanzati, arrivò in mio soccorso. Aveva scoperto in me una dote che non sapevo ancora di avere, la capacità di lavorare con il bello, una propensione all’estetica. Un giorno mi disse che saremmo andati a fare una passeggiata a Napoli e mi accompagnò senza dirmi nulla nel cortile della facoltà di Architettura. Ricordo benissimo quel giorno, confrontai il corso di Lettere, dove sembravamo un po’ tutti topi di biblioteca, con quella gioventù febbrile. Guardai una ragazza con un bacio tatuato sulla spalla, i colori nei capelli, gli abiti eccentrici e allegri. Mi sentii rinascere e capii che era proprio lì che volevo stare».

Tu però non sembri eccentrica.

«No, ma amo stare insieme a persone che hanno estro, inventiva, originalità. Così mi iscrissi ad Architettura e cominciò per me un’altra epoca, ero felice e stavolta la passione c’era. Ma ho avuto tanti problemi perché nel frattempo la malattia di mio padre si aggravava e dopo un anno dovetti ancora lasciare gli studi, nonostante avessi passato gli esami in tempo, tutti con 30 e lode. La morte di papà ci lasciò in condizioni economiche che non mi avrebbero consentito di studiare, a casa arrivarono le tasse universitarie e ad un certo punto mio zio, un fratello di mamma, me le restituì pagate senza dirmi nulla o mi accorgessi che le avesse prese. Mi disse: “Ora fai quel che vuoi”. Papà era morto a luglio, ad ottobre tornai all’Università e poi…mi sono ritrovata architetto».

Prima di approdare al Comune di Somma Vesuviana hai svolto per molti anni la professione libera, da consulente e progettista. Qual è il tuo progetto più bello?

«Ho l’impressione che debba ancora realizzarlo».

La politica. Come la vivevi ai tempi di tuo padre, te ne parlava?

«Sì, mi spiegava i concetti. Abbiamo per esempio molto argomentato – erano gli anni ’70 – sul divorzio. Io ero a favore e mio padre andò in crisi per questo. Ero piccola ma già ritenevo che se due non vanno più d’accordo non dovrebbero restare insieme. Fu spiacevolissimo per lui, uomo di grandi valori morali e che riteneva la famiglia un punto fermo da tutelare, sempre, a qualsiasi costo. Io ero in “Comunione e Liberazione” a quei tempi, frequentavo quel movimento sì ecclesiale ma ritenuto un po’ di sinistra a quei tempi. Però non mi ha mai ostacolato, mi sopportava».

Riteneva che avessi, diciamo così, «geni» comunisti?

«Comunisti no, un po’ di sinistra forse. Ma del resto lui apparteneva alla corrente Dc “Forze Nuove” che un po’ spostata verso la sinistra del partito lo era. Insomma, io vivevo tutte le sue traversie, le sue delusioni, lo accompagnavo ai congressi e ai ricevimenti. Mi consigliava letture, ma poi sceglievo io in una libreria cattolica che c’era allora a Marigliano. Non era un bigotto però, tentava di proteggermi dalle cattiverie della vita, era preoccupato per me».

Non ha avuto da ridire sul tuo fidanzamento così in giovane età?

«No, anzi. Fu lui a farci fidanzare in maniera ufficiale. Quando mamma venne a sapere di Giovanni si arrabbiò e io mi chiusi in camera a piangere. Papà invece venne da me e mi disse di non disperarmi, mi invitò a presentarglielo, a farlo venire a casa, ed è così che nacque l’idillio tra loro due. Erano simili, in fondo. Io sono passata dalla protezione di un papà innamorato di sua figlia ad un fidanzato altrettanto premuroso oltre che molto intelligente».

Siete cresciuti insieme, in pratica.

«Sì, Giovanni aveva peraltro già una strada tracciata, da piccolo genio qual era nelle materie scientifiche. È ingegnere meccanico e ha permesso che io trovassi la mia strada. Ci siamo sposati nel 1989».

La vostra casa chi l’ha progettata, pensata, arredata?

«Quella attuale, una villetta che abbiamo rimodernato come piaceva a me, l’ho pensata io naturalmente. Ma prima abbiamo vissuto in un appartamentino piccolo piccolo, ci siamo rimasti undici anni finché Giovanni non è diventato un imprenditore e le cose hanno cominciato ad andare meglio rispetto a quando eravamo molto giovani».

Avete tre figli.

«Michele, che ha finito gli studi in Economia Internazionale a Milano, Paola che sta frequentando la specialistica in Ingegneria Meccanica sulle orme del papà, sempre a Milano. E Rocco, il più piccolo, che ha tredici anni».

Al Comune di Somma Vesuviana quando sei stata assunta?

«Nel novembre 2006 con contratto, poi ho vinto un concorso nel 2011».

Hai perciò lavorato solo con due sindaci, Ferdinando Allocca e Pasquale Piccolo, l’attuale primo cittadino.

«Esattamente, oltre che con due commissari e con il vicesindaco Di Sarno nel periodo successivo alla morte di Allocca».

Un ricordo del sindaco Allocca?

«Ci legava un rispetto profondo. Ho memoria di lui come uomo perbene e grande professionista, una persona schietta che manteneva sempre la parola data. Dal pugno fermo con funzionari e dirigenti ma sempre garbato e beneducato. Nel periodo in cui è stato sindaco ha dato la vita per il Comune di Somma».

Il suo vice Salvatore Di Sarno che, per breve periodo, ne ha fatto le funzioni?

«Simpaticissimo, con tanta voglia di fare con la sua città, una persona buona che con tutti noi si è sempre comportato benissimo».

L’attuale sindaco, Pasquale Piccolo?

«Mi ha dato fiducia fin da quando si è insediato. Ha la mia stima, spero sia ricambiata».

Nella primavera 2015 sei stata candidata a sindaco nella tua città, Marigliano. Prima di allora ti eri interessata personalmente di politica o avevi mai avuto tessere di partito?

«Non sono certo un animale politico, anche perché ho subito per anni le campagne elettorali di mio padre prima e di mio fratello Giovanni che per un certo periodo ne ha seguito le orme, è stato infatti segretario della sezione Dc. Ma non si è candidato nemmeno una volta perché mio padre, in punto di morte, gli aveva chiesto di non farlo mai».

A te non aveva pensato…

«Evidentemente no, forse avrei dovuto ricordarlo io».

Dunque qual era il tuo rapporto con la politica prima della recente esperienza che ti ha visto protagonista?

«Io ho sempre letto molto, ho sempre avuto le mie opinioni sulle cose. Ma non riuscirei mai ad integrarmi in un partito perché devo avere la libertà di poterla pensare diversamente. Ci sono alcune questioni sulle quali posso sembrare tipicamente di sinistra, altre sulle quali sono più vicina alla destra. Sono io e basta».

Insomma, com’è nata questa candidatura a sindaco?

«Una sorpresa, un fulmine a ciel sereno. Un gruppo di persone che mi conoscevano fin da ragazza mi hanno proposto di mettere al servizio della mia città la competenza tecnica di cui dispongo e che avevo accumulato negli anni. Molti dei sindaci del nolano mi hanno conosciuto come consulente urbanista e anche dopo, quando già lavoravo al Comune, interpellato per altre attività. Nel frattempo Marigliano viveva da tempo uno stallo e hanno pensato, bontà loro, che io avessi la possibilità di far uscire la città da questo “imbuto”».

Fino a quel momento te ne eri interessata di questo “imbuto”?

«Fino al 2005 sì. Somma Vesuviana è stata per me una via di fuga, per scappare da un paese che non riconoscevo più come quello di quando ero bambina. Amo molto la mia città ma è come se un po’ me ne fossi sentita rifiutata dopo la morte di mio padre. È stato Giovanni, mio marito, a salvarmi da questo perché anche lui è ancorato ai valori che vanno al di là delle ideologie, ai principi dai quali non bisogna derogare: amore, onestà, rispetto tra le persone. Marigliano, tra l’altro, non mi ha mai consentito di potermi esprimere dal punto di vista professionale».

Perché?

«Avrò lavorato per la mia città una sola volta, caso sporadico. Perché dovremmo chiederlo ai politici dell’epoca, che ancora ci sono».

Chi è stato, a tuo parere, il miglior sindaco di Marigliano?

«Il professore Gaetano Napolitano. Sarà per affetto, ma ricordo che sotto il suo governo c’era un paese tranquillo, ordinato, una giunta di persone qualitativamente di spessore».

Il peggiore?

«Questa domanda è un colpo basso».

Per Somma Vesuviana te ne faccio grazia, vista la tua posizione, ma a Marigliano sei un consigliere comunale, puoi rispondere. O no?

«Non sono in grado di farlo, in verità. C’è stato un lungo periodo in cui i sindaci hanno abdicato al loro compito. Forse salverei la prima giunta Nappi, in quel periodo si ricominciò effettivamente a vedere un po’ d’ordine, per il resto il decadimento è stato inesorabile e sotto gli occhi di tutti».

Non hai risposto comunque.

«Non lo farò».

Hai detto che un «gruppo di persone» ti ha individuato come candidata. Ma a chiedertelo formalmente è stato uno solo, l’onorevole Paolo Russo, parlamentare di Forza Italia.

«Sì, è venuto a trovarmi e mi ha proposto questa cosa. Pensavo scherzasse, ho riso, gli ho anche chiesto quali numeri avrei dovuto giocare. Del resto fino a quel momento il nostro rapporto non era stato idilliaco, ad esclusione di quando eravamo entrambi ragazzi e vivevamo la piazza di Marigliano, ma ho sempre stimato la sua grande intelligenza».

Come hai capito che non scherzava?

«È tornato più volte, anche con persone a me care. Il problema a dire il vero me lo ha creato mio marito Giovanni: lui era convinto che io potessi incidere in qualche modo sulla situazione della nostra città, se non fosse stato per lui non avrei accettato mai. Accecato dall’amore che ci lega, sapendo quanto io sia stakanovista, ben conoscendo il mio impegno in ogni progetto per cui sono capace di dare tutta me stessa senza limiti, mi chiese di profondere un po’ delle energie per la nostra Marigliano. Ho impiegato dieci giorni a decidere, e l’onorevole Russo fu molto insistente. Ero preoccupata, principalmente perché so quanto la politica possa incidere, pesare, sulla vita familiare. Già conciliarla con il lavoro è arduo per una donna e la politica ha tempi, orari e ritmi pensati per i maschi. Una donna, dopo le sette di sera, ha già problemi e soprattutto se ha figli non è così semplice».

Poi hai comunque accettato, ti sei adeguata a ritmi e orari?

«Tutta la squadra si è adeguata. Ora, facendo il consigliere di opposizione, ho comunque la possibilità di prendere gli atti e lavorare a casa, studiarmeli con calma».

E se avessi fatto il sindaco?

«Sarebbe stato diverso, le riunioni le avrei fissate io, in orari adeguati anche per una donna».

La campagna elettorale è stata «accesa». La cosa più cattiva che ti abbiano detto riguarda proprio i tuoi rapporti con l’onorevole Russo. In pratica gli avversari si riferivano a lui come un «puparo» e a te come la «marionetta» di turno. Poi diciamola tutta, nessuno si aspettava che tu, pur conosciuta come cittadina di Marigliano e figlia di una persona che con la politica locale aveva avuto a che fare, fossi la candidata del centrodestra.

«Certo, nessuno se lo aspettava. Quell’accusa di cui parli era evidentemente strumentale da parte di chi ha voluto condurre una campagna elettorale non sui temi ma in maniera becera. Lo stesso attuale sindaco Antonio Carpino mi conosce da anni e tutti sanno bene che ho saputo tener testa a chiunque, anche alle persone come mio padre e mio marito che ho amato di più nella vita, figurarsi se potevo consentire a chicchessia di manovrarmi, compreso l’onorevole Russo. La verità è che Paolo Russo è persona intelligente, è stato in grado di compiere una scelta che ha spiazzato tutti e l’unico modo in cui potessero tentare di scardinare questa manovra era proprio con le calunnie. Una professionista della mia età che ha vissuto tutta la vita lontana dalla politica, che si è fatta da sola, non aveva certo bisogno di un “puparo” per poter governare. Un clima mistificatorio e calunnioso che non ha tenuto conto di una cosa: ho sempre pensato con la mia testa e continuerò a farlo».

Come te la aspettavi e come è stata quella campagna elettorale?

«Bellissima, ho ripreso i rapporti con la mia città che avevo volontariamente un po’ trascurato, è stato un momento di grande sogno per il quale devo ringraziare chiunque mi abbia supportato. Un’esperienza fantastica perché, per una donna che è arrivata a cinquantadue anni, vedere il proprio marito come fan sfegatato è meraviglioso, vale tantissimo, più di tutto».

Sembrate ancora fidanzati, no?

«Più o meno. Ci sono ancora le gelosie e i litigi di un tempo».

La cosa che ti ha invece più infastidito in quell’esperienza?

«Le calunnie, appunto. Attacchi personali sulla mia condizione professionale e finanziaria, oltre alla storia della “marionetta”».

Con sincerità, quanta ingerenza ha avuto nella maniera di condurre la campagna elettorale il partito – parlo di Forza Italia – e lo stesso onorevole Russo?

«Abbiamo fatto un patto fin dall’inizio. Lui ha accettato ogni cosa di me, ha accolto il mio programma e non ha mai tentato di modificare le mie idee. Ancora oggi è così, lo informo cortesemente di quelle che sono le idee che intendo portare in consiglio comunale».

Ti ha mai detto un «no»?

«No. Però devo essere sincera e dire quale è stata l’evoluzione del nostro rapporto. Riconosco la sua grande intelligenza politica, perciò oggi sono io che gli chiedo come si comporterebbe al mio posto in determinate situazioni. Ha esperienza ed è un vero stratega, lo ha dimostrato. Poi faccio comunque di testa mia, ovvio. Mi piace però chiedergli un parere perché è indubbio che ne riconosca la leadership».

Siete partiti in quattro candidati, ti aspettavi di arrivare in ballottaggio con Carpino?

«No, non c’erano i numeri. La più grande sorpresa è stata questa. Non gliel’ho mai chiesto ma credo che nemmeno l’onorevole Russo ne avesse certezza. Però abbiamo tutti dato il massimo, io per prima, e quando abbiamo spuntato il ballottaggio ho pensato davvero che potesse accadere. O meglio, notavo gli sguardi di chi mi era accanto e cominciavo ad autoconvincermene».

Circa mille voti di scarto tra te e l’attuale sindaco. C’è qualcosa, a tuo parere, che avresti potuto fare per vincere e che invece non hai fatto?

«No, di più non si poteva. Abbiamo fatto tutto il possibile e tutti insieme perché è stato davvero un viaggio bellissimo con tante persone e altrettante famiglie che mi hanno supportato. Tutto ciò che era umanamente possibile l’abbiamo tentato, con i limiti e i paletti che mio padre mi ha imposto nella vita e che condivido appieno. Prima del ballottaggio ho rifiutato proposte che mi avrebbero forse condotto alla vittoria sicura. E non le ho, non le abbiamo, accettate».

Per esempio?

«Accordi. Io sentivo comunque tutto il peso, la responsabilità di chi mi aveva sostenuto, volevamo una vittoria che potesse portare un governo stabile a Marigliano, perché è questo che manca alla mia città. Stabilità effettiva e non solo apparente, dunque avremmo dovuto vincere da soli. Se ce l’avessimo fatta avremmo dato un senso a quelle elezioni, in caso contrario sarebbe stato inutile, non avrei mai accettato di essere “tirata per la giacca”, nemmeno per assicurarmi una vittoria. E nonostante ciò eravamo lì lì, stavamo per farcela. Se così fosse andata, non saremmo di certo stati litigiosi, Marigliano avrebbe avuto un governo vero e duraturo».

Come hai vissuto i giorni dopo la sconfitta?

«Mi spiaceva per gli altri, ancora oggi sono delusa per loro, per tutti coloro che hanno dato il massimo e non siedono in consiglio, anche “storici”, persone di spessore».

Tu non hai aderito a Forza Italia, giusto?

«No, né a nessun altro partito. Sono un consigliere comunale senza alcun tipo di ruolo, nemmeno quello di capogruppo».

Il ruolo di consigliere di opposizione come lo vivi?

«Lo pensavo diverso. Nel senso che pensavo implicasse anche dare un contributo in termini operativi alla mia città, anche in considerazione del fatto che aver perso con il 47 per cento dei voti significa rappresentare in pratica circa la metà dell’elettorato. Come minimo il sindaco avrebbe dovuto avviare un tavolo di confronto. Invece fin dal primo giorno c’è stato un attacco mirato in particolare alla mia persona, nemmeno gli atti di consiglio comunale riusciamo ad avere in modo agevole. Una politica vecchia, direi».

In campagna elettorale hai più volte rivolto apprezzamenti all’aplomb del candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle, ora sedete in consiglio comunale entrambi all’opposizione, vi confrontate?

«Sono felice che Francesco Capasso sieda in Consiglio, abbiamo un ottimo rapporto. Le nostre idee spesso coincidono, anche se in più occasioni trovo che i pentastellati siano troppo estremisti. Io sono rimasta una moderata, alcuni temi ci trovano comunque vicini, dall’opposizione».

Hai detto di aver difficoltà ad avere gli atti, ad un consigliere comunale non dovrebbe accadere. Come mai?

«Il presidente del consiglio comunale, Vito Lombardi, si appella al regolamento dicendo che le interrogazioni vanno protocollate sette giorni prima della seduta».

Se è il regolamento…

«Il regolamento non prescrive però che il presidente non possa recepire un’interrogazione in sede di assise per poi discuterne alla seduta successiva, è assurdo che debba costringerci a recarci costantemente all’ufficio protocollo e, inoltre, farci prevenire gli atti del consiglio ventiquattr’ore prima. Lavoriamo tutti, il tempo materiale per approfondire manca, forse è proprio questo lo scopo: ostacolarci».

Premesso che l’operato di un sindaco credo non si possa, in generale, giudicare in pochi mesi: Carpino si è insediato a giugno scorso. Da allora, cosa ha prodotto?

«Non saprei, in Consiglio è arrivato un bilancio che per sua stessa ammissione non si può attribuire al suo governo perché non ne hanno avuto il tempo. Ora stanno cominciando a progettare, programmare, senza che la maggior parte dei provvedimenti passi nemmeno nelle commissioni consiliari. Io faccio parte di quella che si occupa di Ambiente e Urbanistica».

Prendi tempo per una valutazione dell’operato amministrativo?

«Non vorrei esprimere un giudizio affrettato, sinceramente. Anche se finora il sindaco non ha tenuto fede al suo slogan, “la volta buona”, dimostrando un agire da vecchia politica. Lascia i consiglieri comunali fuori dalle stanze del potere, decide dentro quelle stanze e poi, a fatto compiuto, porta gli atti in consiglio. Invece si dovrebbe ragionarne prima, dei temi importanti. Un esempio su tutti: nell’ultimo consiglio comunale è arrivata la convenzione per la centrale di committenza tra cinque comuni. La nota è stata inviata a casa dei consiglieri comunali di venerdì alle otto di sera quando il consiglio era convocato alle due del lunedì. Ovviamente di sabato e domenica gli uffici comunali sono chiusi perciò è impossibile chiedere atti, approfondire, valutare. Non voglio discutere di quel che ha prodotto, di quel che ancora non ha fatto, lasciamo perdere anche tutto ciò che ha promesso avrebbe realizzato nei primi cento giorni e che ancora invece non si vede. Io so come funziona la pubblica amministrazione, dunque riconosco che necessita di più tempo. Ma gli atteggiamenti suoi e di tutto il suo governo non sono certamente quelli della “volta buona”, ecco».

Non c’è nemmeno un assessore che ti faccia ben sperare?

«La giunta ha lo stesso atteggiamento della maggioranza consiliare. Come dire che loro governano, decidono, hanno i numeri per votarsi i provvedimenti. Spero per loro che li abbiano sempre giacché già oggi appaiono litigiosi. Se questo bel quadro dovesse incrinarsi e sugli argomenti si dovesse iniziare a dibattere sul serio, a quel punto aspetto il sindaco».

Ipotizziamo fosse andata diversamente. Qual è la prima cosa che avresti fatto da sindaco?

«Avrei voluto dare un po’ di speranza alla mia città. Aprendo il Comune e le stanze del potere ai cittadini. Oggi non vedo partecipazione nelle scelte e nelle decisioni importanti come la trasformazione urbana, il Puc. Sarei andata oltre le commissioni consiliari, avrei promosso tavole rotonde per discuterne con i cittadini».

Tutto ciò è molto bello, ma non credi che i cittadini eleggano un sindaco perché possa prendere decisioni, governare, scegliere?

«Un sindaco non deve lavorare sull’ordinario, se fa questo sta già sbagliando strada. La politica deve volare più alto, smetterla di parlare di certificati e concessioni, deve elevarsi, discutere di grandi temi e progetti. Questo, a mio parere, non si può farlo senza parlare con la città. Marigliano è in uno stato comatoso».

Di cosa avrebbe bisogno?

«Di partecipazione, appunto. La gente è rassegnata».

Come si stimola la partecipazione?

«Facendo capire al cittadino che il suo pensiero, quello di ciascuno, ha un valore. Oggi non si ascoltano nemmeno i consiglieri comunali, figurarsi».

Volare alto sarebbe auspicabile. Ma non credi che oggi i cittadini cerchino soprattutto un governo che abbassi le tasse, che renda le strade percorribili, che realizzi luoghi di aggregazione dove i ragazzi possa incontrarsi o fare sport? Tutto ciò lo vogliono naturalmente da un’amministrazione che hanno eletto e magari non pensano a tavole rotonde su grandi temi se l’ordinario non c’è…

«Un sindaco può lasciare l’ordinario a chi deve gestirlo, attivando gli opportuni controlli. Non dobbiamo inventarci nulla: il bilancio e la gestione partecipativa si fanno nei comuni del Nord Italia da anni, ormai. La gente risponde. Qui invece non partecipa nemmeno ai consigli comunali perché pensa sia un teatrino e che i veri affari avvengano nelle chiuse stanze. Io spero ancora che non sia così. Ma ad oggi il sindaco Carpino sta facendo l’esatto contrario di tutto quanto ha detto in campagna elettorale. Disse che non ci sarebbero state varianti alle opere pubbliche, e le ha fatte. Disse che tutte le gare dovevano passare soltanto per la stazione unica appaltante, poi ha permesso che si facesse, con una proroga votata d’urgenza in consiglio, una gara per le fogne dell’ammontare di tre milioni di euro. Gli avevamo chiesto di sottoscrivere un accordo di programma per gli alvei e la bonifica ma ancora oggi non vediamo il cantiere. La peggiore delle democrazie è quella in cui il cittadino non viene ascoltato».

C’è stato qualcuno che in campagna elettorale ti ha particolarmente supportato e che ancora ti ritrovi accanto?

«Per la verità vedo tutti vicino a me. Un po’ sconfortati, certo, ma siamo insieme. L’opposizione è compatta e prima dei consigli ci sentiamo, stiamo anche facendo un po’ di formazione ai più giovani, ancora poco avvezzi alla macchina amministrativa. Discutiamo, ci confrontiamo».

La politica, dopo questa esperienza, ti appassiona di più?

«No, ho un unico obiettivo: far aumentare la partecipazione attiva delle persone alla vita della città».

A me questa sembra politica, non credi?

«Io vorrei rivedere Marigliano come era negli anni ’80 prima del terremoto».

Migliore, magari.

«Anche per tornare a come eravamo ce ne vorrà di strada. Poi si vedrà. Ma all’epoca le persone discutevano dei temi, oggi si parla soltanto delle macchinazioni politiche».

Non hai pensato di promuoverli comunque convegni o tavole rotonde?

«L’anno prossimo lo faremo di certo, anche perché ci sono i giovani di Forza Italia che già provvedono, è recente un proficuo convegno sull’urbanistica tenutosi ad Ottaviano, le idee ci sono».

Ora che sei libera da lacciuoli e non sei diventata sindaco, mi dici in quel caso chi avresti voluto accanto a te in una ipotetica giunta?

«Non ci avevo nemmeno pensato. Non ho nomi specifici, ma sicuramente avrei voluto esperti per ogni singola delega. All’urbanistica occorre un urbanista, agli affari legali un avvocato e così via. Non certo attivisti dell’ultima ora bensì persone competenti per ogni singolo ruolo».

C’è un politico, anche del passato, che ammiri profondamente?

«Se ora ti faccio qualche nome, scommetto, manderò ancora più in confusione chi leggerà circa la mia identità politica».

Proviamo?

«Sicuramente Aldo Moro, ma anche Antonio Gramsci».

Immaginavo. Parlando invece del presente, Beppe Grillo?

«No».

Silvio Berlusconi?             

«Non l’ho mai particolarmente amato, ma devo riconoscere che con il suo modo di fare è stato più lungimirante di tanti altri politici di oggi. Lui ha una mentalità imprenditoriale e spesso, soprattutto in politica estera, è riuscito a mantenere equilibri oggi crollati».

Se invece dovessi descrivermi con un solo aggettivo l’onorevole di Forza Italia Paolo Russo?

«Stratega. Io lo vedo come uno di quei generali capi di stato maggiore.  O come un Cavour, per intenderci».

Un aggettivo per il sindaco Antonio Carpino?

«Camaleontico».

Hai tempo da dedicare a te stessa, alla lettura per esempio?

«Poco. Ma quando posso leggo Alessandro Baricco. «Seta», per esempio, è uno dei libri che ho amato di più perché è allegorico. Baricco non offre mai una scena configurata, statica. Ciascuno deve interpretare e leggerci quel che vuole, secondo la propria sensibilità».

Il film che hai amato di più?

«Di sicuro non uno di guerra o violento, detesto le scene cruente. Ho amato molto “Indovina chi viene a cena” di Stanley Kramer, con attori del calibro di Spencer Tracy, Sidney Poitier e Katharine Hepburn, un film che precorreva l’integrazione, che mostrava come dovrebbe essere una vera famiglia».

Lo ricordo bene: l’unica figlia amatissima che porta a casa un fidanzato di colore. Una scelta all’epoca difficile. Oggi tu non avresti difficoltà se uno dei tuoi figli ti presentasse un ragazzo o una ragazza di religione musulmana, tanto per fare un esempio?

«Nessuna difficoltà, né di colore né di religione, né di nazionalità. Sarebbe normale, l’unica cosa della quale mi preoccupo riguardo al futuro dei miei figli è che scelgano compagni dai grandi valori morali, punto e basta. Oltre, naturalmente, ad una cosa fondamentale: che si amino, come ci amiamo io e il loro papà. Mio figlio Michele è fidanzato con una ragazza di Cracovia alla quale voglio bene, le sono molto legata. Sarà anche più cattolica di me e non certo musulmana ma, se così fosse stato, purché innamorata di mio figlio non avrei avuto remore ad accoglierla».

Tu sei cattolica?

«A modo mio. Ho un rapporto con Dio particolare, parlo con lui ma non gli rivolgo preghiere e non sono quella che si dice una cattolica praticante. La domanda che invece mi faccio ogni volta nella vita è soltanto una: sto facendo qualcosa che papà non approverebbe?».

Papà l’hai perso da tempo, il rapporto da adulta con la tua mamma invece com’è?

«Mamma era la bimba di mio padre, la proteggeva ed era naturale perché avevano circa dieci anni di differenza. Ora lo facciamo noi, al suo posto. Lei è una donna che si è dedicata interamente alla famiglia e ai figli, senza andar mai da nessuna parte, nemmeno al mare».

I tuoi figli più grandi studiano e lavorano fuori, forse ci resteranno. Per Rocco, il più piccolo, cosa vorresti?

«Che la mia città cambiasse, che lui non avesse la necessità o l’esigenza di andar via. Ma so che oggi i ragazzi devono essere padroni del mondo, quindi se così deciderà non potrò che accettare. Bisogna non avere barriere».

Ti capita di viaggiare?

«Prima di più, ora ho qualche problema proprio perché, con i ragazzi che vivono a Milano, ogni volta che si ha un minimo di tempo libero lo usiamo per andare lì da loro, io e mio marito».

Il viaggio più bello?

«A Praga, festeggiavamo le nozze d’argento e il primo viaggio da soli dopo tanti anni. È stato molto bello e Praga è favolosa».

Quello che vorresti fare?

«Non troppo lontano perché l’aereo mi fa paura e anche perché, quando si è sereni e si sta con le persone amate, ogni posto va bene. Quest’estate andremo a Cracovia, al paese della fidanzata di mio figlio. Diciamo che nel prossimo futuro vorrei visitare anche Budapest e la Bretagna, per ammirare da vicino quei paesaggi favolosi».

Sei un architetto, dunque immagino che, come accade spesso per chi ha la tua formazione, tu abbia una vena artistica. È così?

«Sono brava con la matita, da ragazza schizzavo paesaggi e ritratti, ora non più. Mi dedico invece al découpage, mi piace lavorare con oggetti da riciclo, recupero mattonelle vecchie, le decoro e ne faccio quadretti, rimetto a nuovo mobili, cose così».

Se invece potessi avere sulle pareti di casa tua un capolavoro, un quadro famoso, quale sceglieresti per poterlo guardare tutti i giorni?

«L’Urlo di Edvard Munch. Mi ossessiona. Nei momenti più concitati della mia vita, quelli in cui sono agitata, ho sempre dinanzi a me quella bocca atteggiata ad urlo, come se una persona muta che abbia voglia di esprimere tutto ciò che ha dentro non ci riuscisse e rimanesse chiusa in quel dipinto».

Tu ci riesci?

«Ad urlare?»

Ad esprimere tutto quel che hai dentro.

«Non sempre il contesto lo consente, però non mi risparmio».

Che la tua vita personale sia soddisfacente è pacifico dalle tue parole, per quella professionale invece cosa vorresti?

«Non ambisco a carriere particolari, vorrei la serenità nel quotidiano».

Non c’è?

«Nella pubblica amministrazione diciamo che non c’è mai. Sarà perché sono donna pragmatica oltre che idealista, per me è importante il progetto, non chi lo realizza né chi vi partecipa. Per me è essenziale tutto ciò che sia funzionale a quel dato progetto, il resto lo trovo inutile. Magari sembro presuntuosa, chissà forse lo sono».

Se ti chiedessi di descrivere te con un solo aggettivo è questo che sceglieresti? Presuntuosa?

«No, sceglierei un temine più vernacolare: impicciosa. Sì, lo sono. Presuntuosa davvero no, perché dovrei presumere di sapere cose che altri non sanno e non l’ho mai pensato, dunque non potrei descrivermi così. Tutto ciò che so fare da architetto l’ho imparato non solo dai libri ma dai capocantiere, ascolto sempre chi può darmi qualcosa. Se divento arrogante o presuntuosa è con chi vuole soltanto fare ostruzionismo, con chi ha a sua volta la presunzione di insegnarti ciò che non conosce».

 Ti è capitato di avere, in questi anni da responsabile di un delicato settore al Comune di Somma Vesuviana, scontri forti con sindaci o assessori?

«Sono anche stata licenziata, in verità. Dal sindaco Allocca, nel 2012. Dopo una settimana mi reintegrò, per essere precisi».

Perché?

«Si disse “per incompatibilità con i consiglieri comunali”».

Non con il sindaco?

«Fu lui a scrivere quelle parole, “consiglieri comunali”».

Intraprendesti azioni legali?

«No, rimasi a casa tranquilla finché non mi fu notificato pochi giorni dopo che tutto era stato annullato».

La ragione vera di quella decisione così radicale, anche se poi rientrò?

«Richieste non esaudite, diciamo che più o meno si può dire così».

Mi hai detto di cosa avrebbe bisogno la tua città, Marigliano. Quella di adozione, invece? Di cosa necessiterebbe Somma Vesuviana?

«A Somma Vesuviana non ricopro ruoli politici, dunque deve pensarci l’amministrazione comunale. Posso solo dire che la considero davvero la mia seconda città, la amo molto e mi ha dato altrettanto. Dunque mi auguro soltanto serenità e stabilità. Nel mio piccolo a questa città do tutta me stessa, faccio il mio dovere tutti i giorni e mi auguro di essere accettata».

Hai ambizioni politiche future?

«Nella mia vita le cose sono venute sempre da sole: un treno passava e, se mi piaceva, salivo a bordo».

Dunque ad un treno che ti piacesse non diresti no?

«Dipende, dalle condizioni, dal futuro. Non so, non mi pongo problemi né obiettivi».

A parte te, c’è qualcuno – magari un giovane – che ti piacerebbe vedere domani alla guida della tua città?

«Non credo che un territorio possa cambiare per mano di una singola persona, così come non credo per esempio in un governatore “sceriffo” o in un sindaco “padrone”. È il gruppo che deve nascere, con obiettivi comuni, e combattere fino alla morte per realizzare ciò in cui crede. Oggi vedo troppe aspirazioni personali e poco spirito di gruppo».

Se non avessi fatto l’architetto dove saresti ora?

«Sarei una giornalista, come sognavo da bambina».

Di cosa ti saresti occupata, di politica?

«No, di cronaca nera. Mi immaginavo sui luoghi degli omicidi, che strano per me che nemmeno sopporto di guardare scene violente in tv».

Figure che ti hanno influenzato?

«Sì, non nel genere che avrei scelto ma di sicuro Oriana Fallaci. Ho letto molti dei suoi libri, le sue interviste, ma quando poi mi sono approcciata agli ultimi, quelli scritti dopo l’11 settembre, ne ho avuto un po’ paura e li ho lasciati a metà. Ho avuto l’impressione che fosse ossessionata, fuori da ogni normalità, e che cozzasse con il suo percorso fino ad allora».

Hai un hobby, delle passioni?

«Soltanto il découpage, devo dare corpo alla mia manualità».

Anche in cucina?

«Non sono un granché nelle vesti di cuoca, pur essendo un’ottima forchetta».

Cucini proprio male?

«Mi riescono bene i piatti tradizionali, l’essenziale. Non posso dare sfogo alla mia creatività ai fornelli perché ormai so che se invento ne vien fuori qualcosa di sbagliato».

Cosa ti piace mangiare, invece?

«Cioccolato a profusione. E la lasagna».

L’uomo più bello che tu abbia mai visto?

«Mio marito Giovanni».

Nemmeno un attore o un cantante che da adolescente ti abbia fatto sognare?

«Da piccolissima ero innamorata di Massimo Ranieri, oggi non mi piace. Richard Gere magari, ma preferisco sempre Giovanni».

Una donna che trovi bellissima?

«Apprezzo in una donna la bellezza non stereotipata, per me le donne che incarnano la femminilità e l’eleganza possono essere Audrey Hepburn e Romy Schneider. O Katharine Hepburne che rappresenta il fascino della donna. Tra le moderne direi Sandra Bullock».

Non so se te ne sei resa conto, ma hai citato donne che sono tutte fisicamente minute o comunque esili benché «forti».

«Sarà perché minuta non lo sono stata mai, se non forse a quindici anni».

Il gesto più romantico che abbia fatto tuo marito per te?

«Lui mi sorprende spesso, tanti. Forse quello più romantico è stata chiedermi di candidarmi a sindaco, presuppone una grandissima fiducia in me, l’ho trovato bellissimo».

Tu per lui?

«Dovremmo chiederglielo. Io gli voglio bene tutti i giorni, di più non so. Non sono capace di grandi gesti».

Avete animali in casa?

«Due cani meticci, Rudy e Albert. E due gatti trovatelli anche loro, una si chiama Ariana, dell’altro non rammento il nome perché lo chiamo sempre soltanto “gatto”. I nomi, bellissimi, li sceglie mio figlio Rocco. Avevamo anche due pesciolini ma purtroppo i gatti…».

Li hanno mangiati?

«Sì».

Se fossi stata un animale?

«Sicuramente non uno che sta in gabbia, sarei stata malissimo».

Nemmeno uno con le ali, giacché hai paura di volare. Allora?

«Domestico, anche da animale vorrei farmi forte della protezione di mio marito perché senza non sarei così determinata».

Non ti ci vedo come cane da salotto…

«No, sarei un boxer come il mio cane Billy che ho amato moltissimo. Di quei cani che per esempio gli inglesi mettono a guardia dei bimbi, accanto alle carrozzine».

Il tuo rapporto con il denaro?

«Pessimo, non sto molto attenta. Non sono una di quelle donne che cercano il risparmio a tutti i costi, ma spendo l’essenziale e compro quel che mi serve per andare avanti. Un paio di scarpe quando le vecchie sono consumate, i vestiti da sostituire quando proprio quelli che ho sono da buttare».

Una donna sui generis…

«Sì, bado alla sostanza più che all’apparenza».

Il momento più bello della tua vita?

«Molti. Il giorno del matrimonio, la nascita dei miei figli. E poi quello in cui ho finalmente riaperto gli occhi dopo aver rischiato di morire. Ebbi un serio problema di salute e fui operata d’urgenza, poi ci furono delle complicazioni e si pensava che non riuscissi a superare quei momenti. Invece poi mi sono risvegliata, sono stata bene e da quel momento ho visto tutto con occhi diversi».

Quello più brutto?

«La morte di mio padre».

Pochi mesi dopo la campagna elettorale tutta la tua squadra di allora ha vissuto un momento bruttissimo, direi tragico. Marianna Coppola, giovanissima consigliera comunale eletta che ti era stata vicinissima in quel periodo, è morta ad agosto a causa di un incidente sul lavoro. Come la ricordi?

«Marianna era fuoco vivo, lava incandescente, una di quelle persone che avrei detto in grado di cambiare il mondo. La ricorderanno con una celebrazione il 17 dicembre i suoi compagni di viaggio, a me rimarrà nel cuore. Sempre».

Il momento invece che hai trovato più piacevole, di quella esperienza da candidata?

«Una cosa che proprio Marianna aveva organizzato: il finale di tutta la campagna elettorale. Un giro in bus tutti insieme, abbiamo riso e scherzato, ci siamo divertiti moltissimo. Una scelta che fa capire come il nostro fine non fosse improntato all’ingordigia, alla voglia di potere, ma alla coesione, alla speranza di arrivare uniti come gruppo alla vittoria».

Dopo il risultato ti sei sentita più delusa o sollevata?

«Credo che nessuno dei due termini sia adeguato. Perché non c’ero solo io, ho pensato soprattutto agli altri, a chi mi era intorno e ci credeva. Non mi sono dimessa da consigliere, infatti. Ho preso un impegno e lo manterrò, resto al mio posto cercando di incidere per quel che posso nel miglioramento della città di Marigliano».

Sei scaramantica?

«Molto. Ho sempre con me cornetti di ogni genere oltre all’anello con diamanti che mio marito mi ha regalato per la nascita di Rocco, non lo tolgo nemmeno per lavare i piatti. Non ho alcun rito particolare, ma se passa un gatto nero e posso fare dietrofront non ci penso due volte».

C’è un sogno che vuoi ancora realizzare?

«Ho sempre avuto dalla vita molto più di quel che mi aspettavo. Vorrei solo vedere i miei figli felici, con un lavoro decente e un rapporto stabile».

Immagino che, come tanti, comprerai un biglietto della lotteria di Capodanno. Se dovessi vincere cosa faresti del denaro?

«Se ti rispondessi come voglio diresti che la mia è retorica».

Beneficenza?

«No».

Allora prova, non dirò che è retorica.

«Creerei tante cooperative che possano dare lavoro ai tantissimi giovani che non ne hanno, incubatori di opportunità. Poi regalerei la metà di tutto ai miei figli. Mio marito ha già tutto quel che gli serve».

Per te non compreresti nulla?

«Cioccolata, tanta. Al latte e ipercalorica. Non temo di ingrassare».

Ti senti bene con te stessa?

«Semplicemente non mi guardo allo specchio e così ho risolto il problema. Nella mia immaginazione ho sempre la mia figura di quando avevo diciotto o vent’anni».

È vero che hai una brevissima esperienza alle spalle ed è l’unica. Ma se potessi farti ascoltare da tutte le donne che intendono impegnarsi in politica, quale consiglio vorresti dare loro?

«Non sono in grado di dare consigli, ne ho ancora bisogno io. Vorrei soltanto che credessero nel progetto, nell’obiettivo, e ci lavorassero seriamente. La politica per me è questo, lavorare. E vorrei, in più, che non approdassero alla politica solo perché mogli, sorelle, fidanzate, parenti o amiche di qualcuno».

A tuo parere, oggi può consentirsi di fare politica chi non ha possibilità economiche?

«Certo, ci si deve provare. Cercheranno di impedirglielo ma una vera democrazia deve consentirlo. Solo una categoria per me dovrebbe essere esclusa dalla politica: quella degli stupidi. In quel caso sono classista: loro no, non possono».

Quand’è che è una persona è stupida?

«Quando non studia i problemi ma pensa di avere in tasca le soluzioni per ogni cosa».

Chiarissima, ritengo. C’è qualcosa che ti irrita profondamente nel quotidiano oltre alla stupidità di taluni?

«L’ipocrisia, anche se posso tollerarla. La stupidità no, preferisco parlare e confrontarmi con una persona cattiva ma non avere a che fare con uno stupido».

Un tuo difetto e un tuo pregio?

«Sono molto intemperante, credo sia un difetto. Negli anni mi sono moderata, ma ogni tanto il carattere esce fuori. Sono un’intemperante buona però, proprio come lo era Marianna della quale abbiamo parlato, l’amavo molto perché mi rivedevo in lei, trovavo in quella ragazza la stessa forza di quando ero giovane, lo stesso entusiasmo. Il pregio che mi riconosco è quello di saper ascoltare gli altri, tutti».

Anche gli stupidi, quindi?

«No, non tutti, mi correggo. Gli stupidi no».

Che musica ti piace ascoltare?

«Amo molto la musica francese, da Edith Piaf a Brassens, i cantautori italiani, la musica classica, l’Opera».

Se dovessi descriverti in poche parole?

«Non ho nulla di costruito o di telecomandato. Sono una donna con tanti difetti, intemperanze, impulsività ma con un cuore buono».

Per finire, scegli un proverbio, un aforisma, una locuzione o un motto che ti rappresenti?

«Ad Maiora».

Verso cose più grandi o, meglio, sempre più in alto. Perché?

«Perché indietro non guardo mai».