Artista, stilista innamorato del suo lavoro, reduce dalla sfilata della sua collezione Primavera – Estate, un nuovo progetto (il brand «Bellissima»), Raffaele Tufano racconta con semplicità la sua vita, le sue passioni, le sue speranze.
Quarantuno anni, ha studiato al liceo artistico prima e all’Accademia Internazionale di Alta Moda e d’Arte del Costume Koefia a Roma poi, il suo sogno di bambino è quello che ha realizzato: lavorare nel mondo della moda. E non si è sottratto ad alcuna esperienza, dal fare il commesso a disegnare e realizzare modelli. Dopo un’esperienza ad Ischia, è tornato l’anno scorso nel suo paese natale, Sant’Anastasia in provincia di Napoli, ed ora ricomincia da qui con un progetto ambizioso: il suo brand, in collaborazione con l’imprenditore del settore Giorgio D’Acunzo e il nuovo atelier dove si trovano, in esclusiva, i suoi abiti.
Raffaele, quand’è che hai capito cosa volevi fare nella vita?
«L’ho sempre saputo, fin da piccolissimo. Io ho solo un fratello, più grande di me, ma molte cugine. Ebbene, rubavo le loro Barbie, le pettinavo, creavo vestiti con la carta igienica e più tardi con la carta crespa. Approfittavo di ogni materiale a disposizione e usavo le gabbie gialle delle damigiane di vino per fare cappelli e poi abbellirli con fiocchi di carta».
Una strada segnata, ma hai anche studiato.
«Sì, liceo artistico statale a Napoli e poi l’Accademia di Moda a Roma. Però la strada, pure se segnata, è stata turbolenta, ho dovuto combattere. Non con la mia famiglia, che ha sempre creduto in me, ma con l’ambiente. Sai, viviamo in un posto di provincia e, quando credi nei sogni, spesso ti prendono in giro».
Però, se gli altri non ci credono, riuscire a fare quel che vuoi comunque è una vittoria ancor più bella, no?
«Sì, un riscatto. Anche con risvolti positivi. Io sono una persona molto caparbia e i paletti, le prese in giro, hanno finito per diventare incentivi. Ora si sono un po’ tutti ricreduti sul mio conto, almeno spero».
In ogni caso l’esperienza dell’Accademia a Roma è stata fondamentale?
«Non avrei mai improvvisato, le cose si fanno bene o non si fanno. Io vengo da una famiglia dove i nonni erano contadini, mio padre lavorava alla Fag e mamma stava in casa. In tutto ciò, gli studi che volevo caparbiamente intraprendere costavano un botto e non potevo di sicuro permettermi di vivere a Roma. Perciò mi svegliavo, tutti i giorni, alle 4, 30 del mattino e spesso rientravo a mezzanotte per poi ricominciare il giorno successivo. L’abbonamento per il treno costava meno che prendere casa lì e io non ho mai fatto un’assenza in tre anni, non mi è mai pesato».
In quegli anni hai fatto stage con stilisti di fama mondiale, quale di loro ha contribuito di più al tuo bagaglio artistico?
«Non ce n’è uno solo. Valentino per il glamour, Capucci per la tecnica, i suoi vestiti sono sculture. Anche Versace, Gianni ovviamente, non Donatella».
Dopodiché sei tornato a Sant’Anastasia.
«Sì, ho cominciato a lavorare e ho aperto un mio atelier, nel 1997. L’esperienza è però finita nel 2004, forse non ho saputo gestire il successo che all’epoca mi travolse, ero troppo giovane e soprattutto dal punto di vista economico non ho saputo calibrare i miei passi. Chiusi l’atelier, dicevo. Però non ho smesso mai di lavorare: ho fatto lo stilista free lance per varie aziende, responsabile di negozi, anche il commesso. Non mi sono mai vergognato di lavorare e se qualcuno mi dice di non includere alcune di queste esperienze nel mio curriculum non lo ascolto, perché anche quel periodo, anzi quei periodi – sia a Sant’Anastasia che a Ischia –sono stati importanti, mi hanno formato».
Quando hai disegnato il primo abito? Intendo quello che hai poi visto realizzato e indossato.
«Era il 1993, un abito nuziale. La sposa era Enza Capuano. Bellissimo, molto raffinato, ispirato ad un tulipano».
C’è stata una cliente che non sei riuscito ad accontentare?
«A volte accade che una cliente sembra non credere te e ti mette ansia, ma alla fine, con abito indosso, sono sempre state contente».
Direi che nel tuo lavoro c’è un risvolto psicologico, no? Per disegnare un abito destinato ad una persona in particolare devi capire quel che vuole davvero.
«Effettivamente abbiamo studiato anche questo aspetto in Accademia. L’Alta Moda è così, deve rispecchiare non solo il gusto ma anche la personalità di chi indossa un abito».
Nella tua sfilata, solo pochi giorni fa, ti sei ispirato ai “mostri sacri” della moda. Ma un modello Tufano, influenze e ispirazioni a parte, come lo definisci, come nasce, cosa pensi quando disegni?
«Penso ad una donna ideale».
Com’è la donna ideale?
«È tutte le donne. Perché ciascuna ha il suo lato da mettere in mostra e valorizzare, anche se per le collezioni scelgo un tema. Quest’anno era il barocco, per i ricami preziosi. Ma anche perché un giorno ero andato dalla mia fiorista che ha la sua attività a San Gregorio Armeno e ho avuto modo di vedere la chiesa di Santa Patrizia, sono rimasto folgorato. Creo la “mia” donna mescolando tante esperienze e suggestioni».
A proposito di donne, qual è quella che ti piacerebbe di più vestire in assoluto?
« Rānia al-‘Abd Allāh, la regina di Giordania, la donna più raffinata che abbia mai visto, rispetterei il suo ed il mio stile con i colori che la valorizzerebbero: blu e rosso».
L’uomo per il quale vorresti creare un outfit?
« Hamish Bowles, collaboratore di Anna Wintour la direttrice di Vogue America (ndr, alla Wintur è ispirato il personaggio interpretato da Meryl Streep in “Il Diavolo veste Prada”), lui è elegantissimo ed ha stile, vorrei vederlo con un look dandy».
Qual è, per te, il politico italiano che si veste peggio?
«Tutti. Forse oggi con il ricambio generazionale le cose vanno meglio, i deputati del Movimento 5 Stelle si vestono benino anche se, per esempio, al vicepresidente della Camera (ndr, Luigi Di Maio, nativo di Pomigliano d’Arco) pur elegante, consiglierei di adottare un look più adatto alla sua giovane età, sempre nel rispetto della forma istituzionale».
E il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi?
«Non riesco a vederlo con tutto quel blu, sempre blu, troppo blu. Non so che messaggio voglia dare ma gli occorrerebbe un tocco di originalità e qualche tono più caldo, è pur sempre un quarantenne. E quando dico originalità non intendo certo stravaganza».
Qual è l’ultimo libro che hai letto e quale invece, se non coincidesse, quello che porti nel cuore?
«L’ultimo che ho letto è “L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery. Quello che mi rispecchia di più è senz’altro “Narciso e Boccadoro” di Hermann Hesse».
Lettura affascinante, il secondo: la ricerca della verità e il rispetto dell’altro. Ma tu sei un po’ come Narciso?
«Sì, affascinante. E no, non sono per nulla come Narciso, non vorrei uscire in pubblico nemmeno alla fine delle mie sfilate»
Il tuo film preferito?
«Sono tanti. Amo il cinema del neorealismo e credo che Federico Fellini fosse un genio. Un genio “normale”, però».
Tu ti senti un po’ genio?
«No, ma amo quel che faccio. In passato credo di essermi sottovalutato molto, non riuscivo a stimarmi pur avendo molte persone che credevano in me. Il fatto è che non mi rendevo conto di avere un dono, ora sì. Ora lo so».
Com’è il tuo rapporto con la famiglia?
«Adoro papà e mamma, sono la mia forza. Abito con loro, non solo perché mio padre è invalido e ha bisogno di me ma anche perché ritengo che i genitori bisogna goderseli, fino in fondo. Mio padre ha sofferto moltissimo per me, ora è contento. Sono entrambe persone intelligentissime e mia madre – che ha 81 anni – è una donna indipendente. Mi dice sempre di prendere la mia strada e non è egoista. Però si preoccupa se la sera torno tardi, diciamo che ancora mi fanno le “cazziate” a casa mia, ma ci sta. Sono contento e sto bene».
Sei fidanzato?
«No, lo sono stato. Ora non più. Ma in merito sono piuttosto riservato e l’amore per me è anche amicizia».
Hai molti amici?
«Pochi. I veri amici sono coloro che ti accettano senza giudicare, così come sei».
L’omosessualità è ancora un tabù nel 2015?
«Sì, assolutamente sì. Le persone si convincono di essere moderne ma, quando poi la cosa riguarda qualcuno a loro vicino, si fanno il problema. Del resto sono tabù pure certe visioni della donna, i pregiudizi, taluni stereotipi. La verità è che le donne sono più intelligenti e sensibili degli uomini e questi ultimi le criticano solo quando si sentono inferiori. Poi devo dirti che l’omosessualità spiattellata non mi piace, magari apprezzo pure i Gay Pride, ma sempre nel rispetto della propria personalità perché poi finisce che la gente si concentra su uno stereotipo di gay che non è reale, una cosa contro la quale ho combattuto per anni. Ora non ci penso più, la maggior parte degli omosessuali comprende persone riservate e intelligenti, anche in posti di potere».
Di recente si è scatenata una guerra mediatica, con tanto di polemica a distanza, tra gli stilisti Dolce & Gabbana ed Elton John. Tu concordi con le coppie omosessuali che cercano di avere figli grazie alla fecondazione in vitro o alle “mamme in affitto”?
«Sono d’accordo sui matrimoni gay. Per i bambini forse è ancora presto. Anzi, no. Credo che se sono persone ricche, invece di cercare un neonato a tutti i costi potrebbero adottare i tanti bimbi in difficoltà che sono negli istituti e che magari in pochi vogliono perché già grandicelli. Esistono tanti bambini maltrattati, forse violentati. Purtroppo la società è molto cattiva».
A te piacerebbe avere un figlio?
«No. Ma ho due nipoti, Iolanda e Ciro, che amo tantissimo. Anzi dico sempre ai loro genitori che secondo me i bimbi non devono avere un’educazione troppo permissiva. Ricordo ancora, ed era giusto così, che i nostri genitori non parlavano di tutto davanti a noi, ci allontanavano dalla stanza se si doveva affrontare un argomento da adulti, ed era anche e soprattutto un modo per preservare l’innocenza tipica di quell’età».
Mi dici un tuo difetto e un tuo pregio?
«Sono impulsivo, a volte mi arrabbio troppo, urlo. Il pregio non saprei, dovrebbe dirlo chi mi conosce. Però forse è vero che sono una persona buona, non riesco a ricambiare le cattiverie subite anche da chi ritenevo un tempo amico».
I tuoi vizi?
«Non fumo, non bevo, non prendo droghe. Da giovane ho fumato qualche canna, ma i miei amici lo facevano tutti. L’unica dipendenza attualmente è il mio lavoro».
Ti capita durante il giorno, anche se stai facendo altro, di buttare giù schizzi di un vestito?
«Sempre, anche su tovaglioli o su tutto quel che trovo. Disegno ovunque e in ogni momento».
Il vestito più bello che hai realizzato?
«Sono tutti belli, pensati per le clienti e ogni abito d’alta moda è un’esperienza nuova. Ciascun abito è una sfida, una prova. Sono affezionato a quelli che mi hanno fatto più soffrire».
Mi dici se sai cucinare e quale piatto preferisci? Se dovessi abbinargli un abito?
«So cucinare, preparo anche il ragù e sono un’ottima forchetta. Amo i secondi piatti e i contorni. Impazzisco per i friarielli e non c’è un vestito che mi sentirei di abbinarci, come si fa? Verrebbe una cosa provinciale».
Sai, la cucina ormai è una moda. Gli chef sono diventati personaggi dello show business…
«A casa mia la cucina è sempre stata una moda e non è mai passata. Mangiamo tanto e sempre. La mia nonna materna la chiamavano con un soprannome, “pizza chiena”, perché la famiglia era enorme, dunque preparava gli impasti in bacinelle gigantesche, un mito».
Ma Carlo Cracco come lo vestiresti?
«Lui è un bellissimo uomo e si veste decisamente male. Lo vedrei stile anni ’50, alla Mastroianni».
C’è un fiore che preferisci e al quale ti ispiri per i tuoi abiti?
«Sì, l’iris. Ma anche i fiori d’arancio».
Parliamo della tua nuova avventura. Dopo quindici anni un altro negozio – atelier, “Bellissima” in via D’Auria a Sant’Anastasia.
«Quando sono tornato da Ischia l’anno scorso (ndr, ha lavorato con Brunello Cucinelli nella nota boutique di Sant’Angelo)non avevo ancora un progetto, è nato tutto per caso dall’incontro con Giorgio D’Acunzo. Ora sono in negozio, devo avviare il lavoro. Creiamo vestiti sartoriali e prêt-à-porter con le stesse caratteristiche perché non tutti possono permettersi il lusso. Linee accessibili arricchite dagli accessori Virginia’s Way e per questo devo dire grazie, moltissimo, a Luisa Esposito Gifuni che è stata una rivelazione e mi è stata accanto».
Ma a Ischia come stavi? Te lo chiedo perché quell’isola per me significa quasi “rinascita”, mi sento meglio ogni volta che ci metto piede, credo dia una sensazione di pace che non ho trovato mai in alcun altro luogo.
«Ischia è meravigliosa, mi ha fatto cambiare vita, mi ha fatto uscire dalla depressione, mi ha fatto rinascere. Hai ragione, è così. Ho sofferto molto quando sono arrivato lì perché – è la prima volta che lo dico ad alta voce – mi sentivo fallito. Devo ringraziare l’isola verde che ora è come se fosse la mia seconda casa. Gli ischitani sono un po’ singolari ma ti lasciano in pace».
Invece, gli anastasiani?
«Per metà molto intelligenti. Per l’altra metà molto cattivi. Conta la cultura, anche quella di vita e di strada, non solo quella che si forma negli studi».
Cosa manca a questo territorio?
«Lo spirito di aggregazione, ci snobbiamo l’uno con l’altro e non è una bella cosa, i pregiudizi ci impediscono forse di conoscere meglio tanta bella gente. Ma quel che ha rovinato Sant’Anastasia è la criminalità, ricordo che dieci anni fa nemmeno si poteva scendere per strada senza paura di beccarsi una pallottola. Ho davanti agli occhi un episodio del 2005: ero nel mio atelier a piazza Cattaneo e stavo sfogliando un libro, ero appena tornato dalla visita ad una mostra alle Terme di Caracalla. In strada passavano dei ceffi sulle moto, sparando in aria. Ebbi molta paura e forse fu quello il momento in cui decisi di andare via. Un tempo Sant’Anastasia era bellissima, era il fulcro dell’aggregazione nell’hinterland vesuviano. Oggi è tutto diverso, magari adesso non c’è la paura di prendersi una pallottola in strada, però la gente non è più abituata a riempire le piazze. Spero nel futuro e ho ottime sensazioni, possiamo farcela».
Ascolti musica?
«Moltissima, mi piace anche l’Opera. L’Aida di Verdi, per esempio».
Mai pensato di disegnare abiti per il teatro?
«Mi piacerebbe molto, è una sfida di cui non avrei paura. Nei miei abiti tento comunque di far leggere la storia del costume».
Qual è secondo te il periodo storico in cui si è toccato il clou dell’eleganza?
«Inizio secolo, fino agli anni ‘30».
Visto il tuo amore per i tessuti preziosi, credevo che come minimo riandassi alla corte francese del Re Sole…
«Ma no, i vestiti erano pesanti e poi loro non si lavavano mai. Luigi XIV l’avrà fatto due volte nella sua vita e per quanto riguarda i francesi, anche in altre epoche, sai cosa scriveva Napoleone a Giuseppina?»
Sì, le intimava con un biglietto di non lavarsi perché lui stava arrivando…
«Appunto, che schifo. Insomma a prescindere da come si vestissero, in Francia sicuramente puzzavano. Una delle prime regine moderne è stata Maria Antonietta, almeno lei sì, cominciava a lavarsi, come si racconta anche nel film di Sofia Coppola (ndr, Marie Antoinette, 2006)».
Coco Chanel o Yves Saint Laurent? Scegli.
«Non posso scegliere. Chanel ha liberato la donna, Saint Laurent le ha dato il potere».
Hai mai disegnato intimo femminile?
«Sì, per un’azienda. Cose bellissime, tra pizzi e culottes»
E tu cosa indossi, boxer o slip?
«Sono controcorrente e penso che gli slip siano più eleganti».
L’emozione più forte che hai provato?
«La mia ultima sfilata, ho pianto. Per la tensione prima, per la gioia dopo. C’è anche un’emozione in negativo, ho sofferto molto quando la malattia di mio padre si è aggravata ancora».
Il tuo rapporto con la tecnologia?
«Sono un “dinosauro”, mi è difficile anche usare la posta elettronica e disegno ancora con foglio e matita. Certo, devo concentrarmi e se lo faccio imparo subito, è necessario per risparmiare tempo. Credo che si debba prendere la parte bella del progresso, quella che aiuta, senza farsi ingabbiare, senza diventarne schiavi».
Messaggio, telefonata o lettera?
«Anche i messaggi sono molto belli, in questi giorni ne ho ricevuti molti da persone che mi vogliono bene».
Ti interessa la politica? E se sì, Destra o Sinistra?
«Nel mezzo, mi convince qualche idea di entrambe le parti e molte altre meno. Non sono un radicale, diciamo piuttosto un moderato».
Ma a sentirli parlare, i politici, c’è qualcuno di loro che ti convince?
«Nessuno, giuro».
Com’è il tuo rapporto con il denaro?
«Prima avevo le mani bucate, ora non più, sono maturato e poi di soldi non ce ne sono tanti. Però spendo abbastanza per i libri, ne sono sommerso. Se entro in una Feltrinelli posso star lì ore intere».
Sapessi quanto ti capisco. Ti capita di comprare “gratta e vinci” o biglietti della lotteria? O magari di giocare al lotto?
«No, mai capitato. Penso che la fortuna dobbiamo crearcela con le nostre mani».
Vedo che porti al collo il «Tau» francescano. Lo indossi come una sorta di amuleto o sei cattolico?
«Ci tengo molto e lo porto sempre. Sì, sono cattolico. Ma non credo nei preti».
Perché? Brutte esperienze?
«Bruttissime, direi. Uno di loro mi ha molestato e ha provato a farmi avances».
Eri bambino?
«No, avevo già diciotto anni. Ho reagito semplicemente mandandolo a quel paese, ma io ero sconvolto e non mi aspettavo una cosa del genere. Non ho mai raccontato nulla a casa mia e mi sono soltanto allontanato dalla Chiesa e da quella parrocchia in cui non ho mai più messo piede».
Ti è accaduto a Sant’Anastasia?
«Sì, ma non voglio parlarne più».
Lasciando da parte il clero, credi in Dio?
«Sì, meno a chi lo incarna su questa terra. Con l’eccezione di Papa Bergoglio, che adoro. Ho paura che lo uccidano per il suo anticonformismo, per essere fuori dalle righe. Lo dico sempre, ho davvero paura che accada».
Ti capita di pregare?
«Sempre, ogni sera prima di andare a letto da quando avevo sei anni. Dico un’Ave Maria, un Padre Nostro e la preghiera all’angelo custode».
Tu ce l’hai un angelo custode?
«Credo di averne due o tre. Mi capitano cose in cui sento di venire guidato, mi sembra di avvertire delle presenze positive, di avere in un angolo del cuore una luce accesa e luminosa. Non so spiegarti bene la sensazione, ma è una realtà».
C’è vita dopo la morte? E ne hai paura?
«Sarò contraddittorio, so di esserlo. Ma credo che dopo la morte non ci sia nulla. Comunque non ne ho paura, è la naturale conclusione di un ciclo».
Saresti d’accordo con una legge che permettesse l’eutanasia?
«Sì, ci sono tante persone cui è stata tolta anche la dignità. Credo che ognuno di noi debba poter scegliere come morire».
Cosa c’è sul tuo comodino accanto al letto?
«Dormo a casa dei miei, quindi santini a profusione. Ma devo adattarmi e accetto la situazione così com’è con il sorriso. Non posso mica imporre a mia madre, che ha 81 anni, la foto di Madonna al posto della Vergine Maria..».
Come vorresti che fosse la tua vita tra vent’anni?
«Vorrei essere sereno, tranquillo, viaggiare, sentirmi libero».
E con chi ti piacerebbe viaggiare?
«Premesso che con quel che sta accadendo nel mondo eviterei gli aerei, di sicuro con i miei amici di sempre, quelli con cui vado in vacanza: Peppe, Enzo e Lella. Vorrei andare a New York perché ho già visto Parigi. Dopo la tradizione, vorrei impattare con la modernità. Ma anche in Oriente e in Australia».
Hai detto che eviteresti gli aerei. Paura di attentati, timore della minaccia del terrorismo?
«Dopo l’11 settembre – di quel giorno ricordo che mentre gli aerei si schiantavano sulle torri gemelle io ero nel mio atelier provando l’abito da sposa a mia cognata – ne ho sempre avuta. Io ho anche amici musulmani e loro mi dicono che, giustamente, come accade per noi cristiani, non sono certo tutti uguali. Però paura ne ho comunque».
Ti fa paura la violenza?
«Sì, ed è assurdo che si agisca con violenza in nome di una religione che dovrebbe veicolare la pace, l’amore, la fratellanza. Noi siamo ospiti sulla terra, anzi ne siamo parassiti, non padroni. Capisco che poi la Terra stessa si ribelli».
E tu cosa fai per rispettare la Terra e l’ambiente? Per le tue creazioni solo elementi naturali?
«Sì, quanto più semplici e naturali possibile».
C’è una tua abitudine che vorresti cambiare?
«Mi faccio sempre fregare dalle persone, concedo loro fiducia e poi questa viene puntualmente disattesa. Ecco, vorrei non farmi coinvolgere al primo impatto, non sono uno di quelli che capisce subito chi ha di fronte».
C’è una cosa che non faresti mai, nemmeno per tutto l’oro del mondo?
«Prostituirmi, non lo farei mai, per nessun motivo».
Secondo te la Legge Merlin ha ancora ragion d’essere? Se fosse tua facoltà la aboliresti?
«Intendi se sarei d’accordo con il riaprire le “case chiuse”? Certamente sì, perché in ogni caso il mercato del sesso non andrà mai in crisi. E molto meglio sarebbe evitare lo scempio che oggi c’è per le strade delle nostre città. Con i vantaggi di evitare le malattie e, non ultimo, i ritorni economici per lo Stato che così potrebbe risolvere molti problemi».
Se ti proponessero di farti fotografare per la copertina di una rivista a torso nudo?
«Ma non ho nemmeno il fisico per una cosa del genere. A dire il vero non ce l’ha nemmeno, per esempio, Salvini. Eppure lo ha fatto, però io direi di no».
Ti piacciono le cravatte? Sceglieresti una Hermès o una Marinella?
«Ne disegno anche io, dunque una Tufano. Almeno sarei sicuro che non è stata prodotta in Cina».
Il regalo più bello che hai ricevuto?
«Ne ho fatti tanti. Ma regali belli non ne ho mai ricevuti. Me ne faccio io stesso: l’ultimo è uno splendido libro del MoMa, il Museo d’Arte Moderna di New York».
Gli artisti dai quali prenderesti ispirazione?
«Caravaggio, Gustav Klimt, Tamara de Lempicka. Credo che per la prossima collezione troverai molti dettagli che ti faranno pensare a questi tre grandi».
C’è qualcosa di materiale che desideri tanto?
«Che dire, guido ma non ho l’auto. Non so nemmeno distinguere una Mercedes da una Bmw. Non so, forse una casa, una bella casa. Vorrei magari ristrutturare quella dei miei nonni con il tipico stile di campagna, un’oasi di pace, di relax».
C’è una parola che usi più delle altre?
«Intendi una parolaccia?»
Anche quella, se vuoi.
«Se devo dire una parolaccia, dico “cazzo”. Ma c’è anche un modo di dire che utilizzo spesso: “addò và, nunn ‘a pensà”. Come se dicessi: non dargli, o non darle, importanza».
Ti piace il napoletano?
«Credo sia una lingua bellissima e musicale, ma non so parlarlo bene, mi prendono per uno di Torre del Greco, con tutto il rispetto per i nativi del luogo. Perciò solitamente parlo italiano. Quando serve anche un po’ di francese e inglese».
La canzone napoletana che ami di più?
«Oje Marì»
Chi sono secondo te l’uomo e la donna di spettacolo, italiani, peggio vestiti?
«Milly Carlucci è inguardabile. Non so chi le scelga i vestiti ma proprio non si può vedere. Come uomo direi Enzo Miccio, sembra il grillo parlante di Pinocchio e dispensa consigli di stile a sproposito mentre indossa orribili giacchette a quadri. L’ho conosciuto a Ischia, il 15 di agosto e sai cosa aveva addosso? Un blazer blu a doppio petto, a Ferragosto, di giorno e a Ischia! Ci ho anche litigato, a dire il vero, è di un’arroganza indescrivibile».
Potrebbe capitarti nella veste di wedding planner al matrimonio di una delle spose per cui crei un abito…
«Fortunatamente non è ancora accaduto. Sarebbe una guerra».
I tuoi concittadini, gli anastasiani, sono eleganti?
«Ne capiscono, diciamo così. Avremo tutti i difetti del mondo, ma di sicuro ci piacciono le cose belle».
C’è una donna anastasiana che ancora non hai vestito e per la quale vorresti invece scegliere un outfit?
«Ne ho vestite moltissime, direi la maggior parte. Te ancora no».
Io? A me basta un abito nero e non resisto due secondi a farmi prendere le misure.
«Solo perché ti fa sentire più sicura. Io ti vestirei di rosso o amaranto, con quel colorito non c’è da sbagliare. Linee fluide, morbide, pratiche ma sinuose».
Il nero sfina, non indosso mai il rosso. Fai lo psicologo con me?
«Non è così, non è il nero, sono le linee ad essere importanti».
Vedremo, cambia discorso: qui stiamo parlando di te. Qual è il proverbio che ti rappresenta di più?
«Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Ed è un proverbio che metto sempre in pratica».
Se non avessi fatto lo stilista quale altra strada ti sarebbe piaciuta?
«Avrei studiato per diventare archeologo».
Ti piace la Storia? In quale periodo ti saresti sentito a tuo agio?
«La Storia e anche la Filosofia. Nell’antica Grecia, mi sarebbe piaciuto conoscere Platone».
A parte gli abiti, a quale accessorio una donna non dovrebbe mai rinunciare per essere elegante?
«Senza un paio di belle scarpe ogni abito, pur bellissimo, si perde».
La donna e l’uomo più elegante che tu abbia mai visto?
«Carine Roitfield, è stata direttore di Vogue Francia. Ma anche Ashley Judd. L’uomo, direi Ferruccio Ferragamo».
Se invece dovessi scegliere uno stilista che vesta te?
«Credo che sceglierei Tom Ford, Giambattista Valli o Jeremy Scott che ora disegna per Moschino, gli altri fanno tutti le solite cose».
Finiamo con un numero, ce n’è uno che ha un significato importante per te?
«No, però ricorre spesso e volentieri: il 22. Non so perché».
Dipende, nella Smorfia identifica il «matto». Ma nel suo significato esoterico ha un’energia potente e ricorre negli individui che pensano in grande. Scegli tu.