Sant’Anastasia, processo all’ex sindaco: la ricostruzione

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Carmine Esposito

Ieri, dopo l’ultima udienza, la richiesta del pm Roberto Lenza a due anni di reclusione e quella della difesa (professore Vincenzo Maiello, avvocato Antonio De Simone), è calato il sipario su una vicenda giudiziaria che ha avuto ripercussioni non solo sull’imputato, l’ex sindaco e medico anestesista Carmine Esposito, ma sulla città intera. Creando fazioni, tensioni, inimicizie, scontri che sono a loro volta sfociati in denunce per diffamazione. E nonostante sia stata pronunciata la sentenza, è facile pronosticare che gli animi sono, a distanza di quasi quattro anni, ancora troppo accesi.

Eccola, la sentenza.  «Il Tribunale di Nocera Inferiore composto da dott. Raffaele Donnarumma (giudice), dott.ssa Carla Di Filippo (giudice) e dott.ssa Leda Rossetti (giudice), nella pubblica udienza del 18 ottobre 2017, ha pronunziato mediante lettura del dispositivo, la seguente sentenza:

Visti gli artt.442, 533, 535 cpp dichiara Esposito Carmine colpevole del reato a lui ascritto, come modificata l’imputazione all’udienza del 22/6/2016 e, riconosciute le attenuanti generiche, tenuto conto della diminuzione per il rito, la condanna alla pena di anni uno e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; Visti gli artt. 28 ss cp applica a Esposito Carmine le sanzioni accessorie della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Pena sospesa. Termine di giorni 60 per il deposito della motivazione».

La sospensione condizionale della pena è quell’istituto giuridico che consente che una condanna rimanga appunto sospesa per il periodo di tempo previsto dalla legge (in questo caso cinque anni perché si tratta di delitto e non di contravvenzione) e che, alla scadenza di tale tempo, ammesso che il condannato non abbia commesso ulteriori reati, estingue di fatto la pena. Dunque, l’ex sindaco Esposito non andrà in carcere e la sospensione si considera applicata anche alle sanzioni accessorie.

Esposito fu arrestato il 14 dicembre 2013, un sabato mattina. Era sindaco di Sant’Anastasia dal 2010. I carabinieri di Castello di Cisterna lo arrestarono a pochi metri dall’uscita del centro commerciale Le Aquile dove aveva appena incontrato Nicola Alfano, l’imprenditore (titolare della Gpn, la ditta che ancora gestisce in città il servizio di raccolta rifiuti). Alfano era andato a denunciarlo qualche giorno prima, sostenendo che a metà novembre il sindaco gli avesse chiesto (erano ad Angri e l’imprenditore stava accompagnando il sindaco in uno store fornito di magliette con il marchio «Pescatori di Posillipo» dove Esposito intendeva acquistare alcuni capi dopo averli visti indossati da Alfano e avergli detto che cercava da tempo un negozio fornito di quel brand) una tangente di cinquemila euro al mese. Il giorno prima però aveva denunciato il funzionario comunale Luigi Terracciano (arrestato qualche giorno dopo Esposito, condannato in primo grado dopo aver scelto il rito abbreviato, poi reintegrato in servizio al Comune) per avergli fatto simile richiesta: 2500 euro mensili. Esposito ed Alfano si erano visti, da quel giorno di metà novembre ad Angri, altre poche volte, due per l’esattezza. Una in municipio e una, il 9 dicembre, a casa di Esposito. Le intercettazioni relative ai colloqui, registrati dall’imprenditore con un telefono cellulare, non sono state ammesse nel procedimento ed è stato lo stesso presidente del Tribunale di Nocera a revocarne l’ammissibilità. In ogni caso, particolarmente per il colloquio del 9 dicembre a casa Esposito, hanno contribuito non poco ad alleviare la posizione dell’imputato perché Alfano, pur facendo di continuo riferimento alla richiesta estorsiva di Terracciano non parla mai, né lo fa Esposito, di quel che sarebbe stato ovvio: cioè della richiesta che lui sostiene essergli stata fatta in precedenza dallo stesso sindaco. Su questo ed altri punti cruciali, si è basata la difesa. In ogni caso, quel sabato 14 dicembre 2013, i carabinieri che fermano Esposito gli trovano in auto 15mila euro in contanti di cui lui disse di non sapere nulla (e questo ha sostenuto la sua difesa fino alla fine) e che Alfano disse invece di avergli consegnato. Nel frattempo, a metà strada di questa vicenda giudiziaria, la difesa ha scelto il rito abbreviato dopo la decisione del pm di cambiare il capo di imputazione: non più induzione indebita a dare o promettere utilità, ma «tentativo». Non sono sfilati dunque in aula i testimoni (oltre cinquanta) già nominati dalla difesa e si è ritirata anche la parte civile, ossia lo stesso Alfano che era assistito dal legale Domenico Ciruzzi. A febbraio 2015 Esposito «risarcì» il Comune di Sant’Anastasia con la somma di 25 mila euro (il commissario prefettizio li rifiutò, ma l’amministrazione guidata dal sindaco Abete li accettò invece in seguito destinandoli ad attività sociali), più tardi altri settemila furono consegnati ad Alfano che a sua volta li donò al Comune. «Questo non implica alcuna ammissione di responsabilità» – hanno precisato i legali di Esposito in aula.

Sulla mano morbida del Tribunale rispetto alla sentenza ha pesato, e non poco, la tesi difensiva che Maiello ha ribadito ieri in aula: lo Stato, in Italia, interviene a reato consumato. Non prima. Non può «provocarne» uno. Detto in parole povere, per le leggi italiane, quel tipo di reato avrebbe previsto due imputati: chi chiede la tangente e chi la dà. E, per chi la dà, la pena prevede la reclusione fino a tre anni. Vero è anche che Alfano ha deposto in aula di non aver mai avuto intenzione di pagare ma il punto focale di questa storia è che la vittima non può diventare «provocatore». I legali di Esposito (Vincenzo Maiello e Antonio De Simone) hanno citato in aula – nelle scorse udienze – sentenze della Corte di Cassazione che si è adeguata alla giurisprudenza della Corte Europea per i diritti dell’uomo. Sentenze che tracciano confini precisi tra un’attività di osservazione di crimini in itinere e un’attività, di contro, di illecita provocazione: «Non si possono costruire prove semplicemente per incastrare individui, prima bisogna prendere atto che commettono reati di propria iniziativa e poi agire di conseguenza, così funziona uno Stato di diritto» – ha detto in aula il professore Maiello, sottolineando che non esiste diretta pertinenza delle conversazioni con il tipo di contestazione che viene mossa ad Esposito. Detta in parole povere: se la stessa accusa ha chiesto la modifica del cambio di imputazione, accettando che ci fu attività di provocazione illegittima, non si possono poi utilizzare ai fini del procedimento i risultati di quella stessa provocazione.

La città si divise fin da quel dicembre in innocentisti e colpevolisti e così è anche oggi dopo la sentenza di condanna, sia pure per un tentativo e sia pure la migliore che l’imputato – tolta l’assoluzione chiesta dalla difesa – potesse sperare.

Da ottobre 2014, quando il processo è iniziato nel Palazzo di Giustizia di Nocera, fino alla sentenza di ieri, sul banco dei testimoni sono passati soltanto in due: prima l’accusatore e poi l’imputato. Prima Alfano e poi Esposito. E l’accusa, dopo aver ascoltato la deposizione di Alfano (6 aprile 2016) chiese il cambio di imputazione: non più l’accusa di «induzione indebita a dare o promettere utilità» ma «tentata induzione indebita». Un ridimensionamento del processo in corso d’opera e la modifica del capo di imputazione che arrivò a giugno scorso su richiesta non della difesa ma del pubblico ministero. La difesa, dal canto suo, ha sostenuto fino alla fine che l’arresto e la conseguente fine della esperienza da sindaco di Esposito siano state basate su prove illegittime.

Quando è poi toccato ad Esposito sedere alla sbarra, l’ex sindaco ha risposto alle domande, prima del suo avvocato e poi del pubblico ministero, negando di aver mai chiesto tangenti né ad Alfano né ad alcuna ditta che abbia lavorato con il Comune di Sant’Anastasia nei 40 mesi in cui è stato sindaco. Ha esposto fatti e circostanze relativi alla gestione dei rifiuti nel comune di Sant’Anastasia, dallo scioglimento dell’Amav all’affidamento provvisorio fino alla gara vinta da una ditta diversa dalla Gpn che intanto svolgeva il servizio proroga dopo proroga. Quell’aggiudicazione (ndr, alla Gisa) fu oggetto di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, fino a quando la Gpn la spuntò e ottenne il servizio, nonostante il Comune allora guidato da Esposito si fosse costituito in tutte le sedi contro questa eventualità.

Esposito ha raccontato di non aver mai incontrato Alfano fino al 2014 e di aver avuto a che fare, prima di allora, solo con gli altri soci della Gpn (ndr, circostanza negata da Alfano); l’ex sindaco ha inoltre risposto in merito agli importi di gara, ai costi, agli utili di impresa e al capitolato – di recente allargato alla gestione dell’isola ecologica e allo spazzamento. Domanda su domanda, si è poi entrati nel vivo, ossia al momento in cui avviene la conversazione tra Esposito e Alfano, nell’appartamento di Sant’Anastasia dove l’ex sindaco aveva allora il domicilio.

«Il funzionario responsabile dell’ambiente mi telefonò – ha raccontato Esposito- era molto agitato e sosteneva che Alfano gli avesse detto che i carabinieri stavano indagando su di lui. Non mi dettagliò motivi o ragioni. Era il 9 dicembre e io, dopo quella telefonata, incontrai nell’atrio del municipio un ex funzionario dell’Amav che lavorava, come oggi, con la Gpn. Scambiai qualche parola con lui, tentai di capire se era al corrente di qualcosa di strano, ma mi rispose con mezze parole e dunque io gli chiesi di riferire ad Alfano che avrei voluto parlargli. Mi richiamò nel pomeriggio e mi chiese un incontro ma alla porta di casa mia si presentò invece Alfano».

Quella conversazione Alfano la registra con un secondo cellulare, spegnendo invece quello che ha in mano. «Non sono stato io a chiedergli di spegnere il cellulare- ha sostenuto Esposito in aula- è stato lui a mostrarmi platealmente che l’aveva fatto». Alfano, invece, nel corso del suo interrogatorio sostenne che il sindaco gli avesse mimato il gesto di spegnere il telefono. In quella circostanza non si fa mai cenno ad una richiesta di denaro fatta da Esposito all’imprenditore, nonostante si parli dei soldi che Terracciano gli aveva chiesto.

Tante le circostanze che Esposito ha dettagliato raccontando nell’aula di Nocera Inferiore di un incontro con gli Alfano a Sant’Antonio Abate, di promesse, inviti, «corteggiamenti» politici, di sollecitazioni ad incontri riservati prima ancora della gara d’appalto, fatti e date, visite all’azienda e proposte di «allargamento del servizio». «Mi fu proposto di allargare il servizio allo spazzamento, aggiungendo anche la gestione dell’isola ecologica- ha sostenuto Esposito in aula- io risposi che non lo credevo tecnicamente possibile perché per somme importanti occorre indire altre gare. Ma qualche giorno dopo, il 29 novembre 2013, dopo le proposte mi vennero consegnate per iscritto, con due opzioni». Documenti che Esposito ha esibito in aula ma ai quali allora non dette alcun seguito e che il presidente del tribunale ammise, nonostante l’opposizione del pm, dopo l’intervento dell’avvocato De Simone il quale ricordò come sia possibile, anche in sede di rito abbreviato, acquisire documentazioni che condizionino l’eventuale responsabilità.

Sulla base delle dichiarazioni di Alfano del 6 aprile, l’Ufficio di Procura chiese la modifica del cambio di imputazione e nelle domande del pm è stata ricorrente soprattutto la richiesta delle motivazioni per cui Esposito si sarebbe venuto a trovare nella situazione che ora lo vede alla sbarra. E l’ex sindaco ha fatto riferimento ad un incontro avvenuto a Torre Annunziata prima dell’aggiudicazione del servizio alla Gisa, nel periodo in cui era in corso l’iter per formare la commissione di gara. «Mi fu chiesto di inserire, alla presenza di un noto faccendiere, un rappresentante di alcuni interessi in quella commissione». «Se non era una richiesta lecita, perché lei non si è rivolto alle forze dell’ordine?» – chiese il pm. «Sono andato subito dai carabinieri- ha raccontato Esposito, ho chiesto di verificare le condizioni della società di nuova costituzione il cui nome era emerso in quella particolare conversazione e ho chiesto loro aiuto affinché la commissione fosse impenetrabile ad ogni condizionamento. Sono stati proprio i militari a suggerirmi di parlare con il comandante della polizia provinciale, che in effetti fu poi in commissione insieme ad un suo collaboratore».

Sono questi i fatti salienti sui quali il Tribunale di Nocera si è poi espresso ieri condannando l’ex sindaco ad un anno e due mesi di reclusione, con sospensione della pena.