
Il culto di San Michele Arcangelo costituì una delle principali devozioni cristiane durante la tarda antichità e per tutto il Medioevo, pur non essendo originario del Cristianesimo. Intervista al dott. Corcione Domenico, studioso afragolese e già presidente dell’Associazione di promozione sociale Nobis.
La devozione nacque, infatti, in Oriente, in seno alla cultura ebraica veterotestamentaria, alimentandosi degli apporti della letteratura apocrifa, giudaica e giudaico-cristiana, pagana e gnostica, per poi inserirsi nella predicazione della comunità cristiana delle origini, pur con qualche deviazione già in epoca apostolica.
Michele, nome che deriva dell’ebraico Mi ke Elhoim – significa Chi come Dio? – è uno dei tre angeli menzionati col proprio nome nella Sacra Scrittura, assieme a Raffaele e Gabriele. La sua figura è ben delineata in tre passi biblici mentre è presunta in altri, a proposito di non meglio specificate figure di angeli. Nel Libro del profeta Daniele è citato come uno dei primi principi degli angeli, che va in aiuto dell’angelo Gabriele. Nell’Apocalisse è citato come capo degli angeli in lotta in cielo contro il dragone, simbolo di Satana. In queste veloci citazioni, Michele è caratterizzato come principe degli eserciti dei cieli, comandante delle milizie fedeli a Dio dopo il tradimento di Lucifero, che si pone come suo diretto avversario.

Dott. Corcione, come nasce il culto in Campania?
“La vicinanza geografica al santuario del Gargano, centro propulsore del culto angelico, e il comune percorso storico consentirono una precoce diffusione del culto in Campania fin dall’Alto medioevo. Le vicende del Gargano ebbero ampia e sicura risonanza nella nostra regione fin dai primi decenni successivi all’insediamento della devozione in Puglia. I primi luoghi sacri dedicati a Michele in Campania sono attestati da alcune lettere di papa Gregorio I (590-604), tutti concentrati nell’area napoletana: un oratorio in sancti Arcangeli in Lucullano castro, eretto con tutta probabilità sulla collina di Pizzofalcone; il monastero di Sant’Arcangelo Macharis, forse posto sull’isola di Megaride; un omologo monastero, di incerta ubicazione; un altro oratorio, dedicato ai Ss. Pietro e Michele, in un punto imprecisato della diocesi napoletana. Questi insediamenti sono stati associati a una possibile matrice culturale micaelica romana, ipotesi che la storiografia moderna esclude visto che sono sorti tutti in ambito bizantino e quando la fama del santuario garganico era già nota”.
Quindi, il culto fu introdotto dall’Oriente?
“Il culto fu introdotto in Campania direttamente dall’Oriente, senza la mediazione romana. Aveva caratteristiche per lo più terapeutiche, legate all’acqua e alla guarigione degli stati febbrili. I templi dedicati a Michele, nella Campania proto medievale, erano concentrati in area urbana: le scarse fonti non citano infatti grotte, anfratti, insenature rupestri, elemento che diventerà caratteristico, invece, del culto nel pieno Medioevo, dominanti i Longobardi. Mentre infatti i siti micaelici citati da papa Gregorio consistono in realtà monastiche, la maggior parte di quelli consacrati all’Arcangelo nei secoli successivi furono di tipo grottale”.
Dove si insediarono i primi luoghi di culto?
“In Campania i luoghi di culto rupestri e grottali si insediarono in cavità naturali già presenti, piuttosto che in antri scavati artificialmente, a causa della natura della roccia calcarea, difficile da lavorare. Su 92 siti grottali ad uso cultuale, quelli dedicati all’Arcangelo sono ben il 37% del totale. Fra i numerosi siti grottali i più noti sono (dal nord al sud della regione) quelli di Fasani in Sessa Aurunca, di Sant’Angelo di Alife, di Curti in Gioia Sannitica, di Faicchio, Camigliano, di Liberi, di Frasso Telesino, di Foglianise (presso cui sarà poi eretto un eremo nel secolo XI), di Avella (inizialmente dedicato al SS. Salvatore), di Tufo, di Pignano in Lauro, di Prata di Principato Ultra, di Contrada, di Carpineto di Fisciano, di Olevano sul Tusciano, di Atrani, di Ravello, di Gete in Tramonti, di Giffoni Valle Piana, di Valva (con attestazioni cultuali a partire dal 1108), di Olevano sul Tusciano”.

Lei, nelle sue dotte ricerche, cita l’Itinerarium trium monachorum di Bernardo il Monaco
“Il monaco Bernardo (840 circa – 900 circa), in compagnia di altri due frati, visitò Roma per poi recarsi in Terra santa. Al ritorno visitò i tre siti micaelici più noti: il Gargano, una grotta ad Olevano sul Tusciano sul fianco settentrionale del Mons Aureus e il santuario di Mont Saint-Michel in Normandia. L’insediamento di Olevano probabilmente svolse una funzione sostitutiva del pellegrinaggio al Gargano, fattosi difficile in seguito alle prime sortite dei Saraceni. Olevano sul Tusciano dipendeva dal principato longobardo di Salerno e non è escluso che la costituzione di un nuovo santuario avesse anche una genesi politica, in contrapposizione a quello garganico, dipendente da Benevento. Anche il principato di Capua ebbe il proprio luogo di culto angelico sul monte Maggiore e menzionato nella Chronica sancti Benedicti Casinensis: «Tra Capua, Teano e Alife c’è una montagna sulla quale corre voce che sia presenza una potenza angelica allo stesso modo del beato Arcangelo Michele sul Monte Gargano. Ricorre anche in questo caso la tipologia ad instar Gargani, divenuta paradigmatica: l’acqua, la grotta, i prodigi che ivi avvengono”.
Cosa ci dice su Avella?
“Notevole dal punto di vista artistico anche lo speco di Avella, citato per la prima volta nel 1169 come ecclesia Sancti Salvatoris Avelli. Il santuario consta di tre cappelle con affreschi di epoca altomedievale. Anche qui è presente una vasca in muratura per la raccolta dell’acqua, come del resto in altri siti rupestri, tipicamente per usi devozionali. La devozione micaelica non fu limitata a insediamenti a impianto grottale, bensì si esplicò nella costruzione di santuari, chiese, cappelle ed oratori, fino a raggiungere intorno all’XI secolo il maggior numero di dedicazioni finora conosciute”.

Per il ducato napoletano?
“Per l’area del ducato napoletano, oltre ai siti citati dalle lettere gregoriane, annoveriamo per i primi secoli medievali il santuario di San Michele sul Monte Faito, l’omologo di Meta di Sorrento, il monastero sancti Angeli in insula Rubiliana, sull’attuale scoglio del Vervece, la chiesa di San Michele a Pogerola, presso Amalfi, il monastero di San Michele ad Bayanum, presso le mura di Napoli (citato dal 921), la chiesa di Sancti Archangeli ad signa, presso la collina di Monterone a Napoli (attestata dal 964), il monastero beati Archangeli qui nominatur ad Circum (in funzione almeno dal 970), la chiesa del beati Archangeli Michaelis a mircatu, presso Casoria (datato già nel 936)”.

Sembra che la sua ricerca abbia toccato anche l’antica Liburia o Terra di Lavoro?
“Per l’area della Liburia, il diploma di privilegio che Papa Alessandro III inviò nel 1178 al vescovo Porfirio di Caserta annoverava la cattedrale di San Michele a Casertavecchia, le chiese di Sant’Angelo de monte, ad Pinos, de Montecupo, ad Pirum, in Plancano, in loco Mancuso (eccetto la prima tutte posizionate nel piano); presso Capua sono segnalate la chiesa di Sant’Angelo de Audoaldis, attestata dal X secolo e l’abbazia di Sant’Angelo in Formis, risalente nel suo nucleo originario al VI secolo. Per la vastissima area che dall’agro nocerino-sarnese scende al Cilento sono attestate, tra le altre, la cattedrale di Sarno; le chiese di San Michele in loco Ballantino (attestata dal 987, oggi dedicata a San Valentino), di Sant’Angelo a Ottaviano, di Sant’Angelo a Palma Campania, di San Michele a Eboli (risalente nei documenti al 1161), di Sant’Angelo de Plaio Montis e il monastero di Sant’Angelo de puteo (risalente al 991). Ultime ma non meno importanti le presenze sulle isole: la chiesa di San Michele alla croce nell’isola di Capri e l’abbazia di San Michele a Procida. Un ricordo è legato anche all’antica parrocchia di S. Michele Arcangelo della Terra di Somma, distrutta completamente nel 1794, il cui beneficio parrocchiale passò nella vicina Chiesa di S. M. del Carmine”.

A conclusione del suo magnifico percorso, cosa ci dice?
“La panoramica offerta degli insediamenti micaelici in Campania, circa 88 siti fra grotte, cenobi e templi, tradisce una devozione precoce e massiccia per l’Arcangelo che, allo stato attuale della ricerca, appare persino superiore alla vicina Puglia. Nella maggior parte dei casi si attribuisce la fondazione dei templi o del culto grottale all’influenza dei Longobardi, seppur la storiografia più recente annetta un valore anche alla precedenza dominazione bizantina e alla successiva normanna, seppur non unanimemente”.