Secondo alcuni la metafora è nata a Roma, negli anni ’50. La spiegazione più solida la dà l’Accademia della Crusca ricordando che i mandriani erano soliti tirare dietro di sé i bufali con l’anello che passava attraverso il naso degli animali. La “bufala” è dunque una notizia falsa che spesso mira ad ingannare l’opinione pubblica e a piegarla alla volontà del “bufalaro”. La spiegazione “gastronomica”. I bufali e le paludi.
I quadri di Francesco e Enrico Coleman e l’opera di G.A. Sartorio che correda l’articolo suggeriscono una battuta: dal momento che le “bufale” sono così pericolosamente presenti nella nostra società, è lecito pensare che questa nostra società sia diventata una putrida palude. E’ opinione di molti che l’uso del termine per indicare una notizia falsa e inverosimile sia stato adottato a Roma, e che Nino Manfredi se ne sia servito durante una serata di “Canzonissima” del 1959. In una nota pubblicata sul sito dell’“Accademia della Crusca” Riccardo Cimaglia, dopo aver notato che già Ercole Patti, in un romanzo del 1956, aveva usato la parola “bufala” nel significato particolare che oggi le viene assegnato, raccontò di aver appreso da un romano carico di anni che negli anni ’30 del ‘900 molte donne dell’Urbe usavano portare scarpe con suole non in cuoio, troppo costoso, ma in pelle di bufala: pero, quando pioveva, su quelle donne incombeva il rischio di scivolare sulla strada bagnata, e di farsi male: e quando le infortunate arrivavano al Pronto Soccorso, gli infermieri e i medici commentavano: ecco, un’altra bufala. Insomma, la suola in pelle di bufala sarebbe diventata sinonimo di “fregatura”. Ma il Cimaglia non sembra convinto dal racconto del vecchio romano.
Poco convincente è anche il riferimento alle corse dei bufali che si tenevano a Firenze, durante le feste popolari in cui cantanti improvvisati si sfidavano intonando canzoni che si chiamavano “bufalate”: una versione toscana dei napoletani “canti ‘a figliola”. Ma non si vede come da corse e canti possa venir fuori il significato di “bufala” di cui qui si discute. La spiegazione più solida viene dal gesto del mandriano che fa muovere l’animale tirandolo per l’anello che gli passa attraverso il naso: il vocabolario dell’Accademia della Crusca nel secondo Ottocento cita come particolare e metaforico il significato della parola “bufala” nella frase “menare altrui pel naso come una bufala”, considerata equivalente, nel senso, a “menare un asino per la cavezza”. Dal Doni al Goldoni al Giusti non sono pochi gli scrittori che tra i secc. XVII e XIX usano la metafora della “bufala” che si lascia tirare per il naso. Dunque, le “bufale” sono quelle notizie che consentono a falsari e a imbonitori di ingannare, per errore o consapevolmente, gli altri, e di manovrarli così come certi animali vengono guidati dal mandriano. Se la “bufala” è costruita ad arte dal “bufalaro”, chi cade ingenuamente nella trappola è, dicono i toscani, uno che “si lascia mangiare la torta in capo”. Tutto nasce dal fatto che i bufali, come gli asini, non sono un simbolo di vivace intelligenza: ma non possiamo non notare che nel gioco delle metafore entrano sempre le “bufale”, quasi che le femmine siano meno sveglie dei maschi.
C’è chi, come ha fatto recentemente Andrea Viviani, ricorre alla spiegazione gastronomica. Il riferimento non è diretto alla mozzarella, perché in questo caso la “bufala “è garanzia di verità e di qualità, ma alla carne: capita che carne di bufala venga venduta come taglio di carne di pregio. La truffa fu assai frequente in tutto l’Ottocento, e nel nostro territorio alimentò un assai fiorente contrabbando tra le paludi di Acerra, di Cimitile, della piana sarnese, dove c’erano numerosi bufali, e un paio di macelli non autorizzati, che funzionavano tra Palma e Poggiomarino. I macellai onesti, per tranquillizzare i loro clienti, esponevano cartelli su cui era scritto “qui si vende carne di vitella sincera”. Le mandrie di bufali, immesse negli stagni, e nei tratti dei fiumi in cui la corrente si faceva più lenta, evitavano, con i loro frenetici movimenti che si formassero pantani e paludi. Al contrario, le “bufale” di oggi servono, talvolta, a scuotere verità consolidate, e a inquinare con paludose notizie cristalline certezze.
Chi sa come i Coleman e Sartorio avrebbero rappresentato queste nuove scene.