Perché San Michele è il patrono di Ottaviano, e perché gli “angeli in volo” sono solo i Duraccio

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Il  San Michele “longobardo” e il San Michele del Gargano: da Giudice che “pesa” i nostri peccati a Patrono delle messi e a Protettore contro il Vesuvio. I Medici, i Duraccio e i mercati pugliesi del grano e della lana. “Il volo degli angeli” e la “diana”.

Dopo aver ricordato che per la Boesch Gajano, illustre studiosa di agiografia cristiana,  è stato Paolino da Nola a “inventare” la figura del Patrono, partiamo dalla lezione di Giuseppe Galasso, secondo il quale dal sec.VII in poi nel Napoletano, nel Vesuviano  e nella pianura nolana e sarnese, si incontrano, si confrontano, e forse si scontrano, due “patroni”: San Michele, che scende dal Nord, con i suoi Longobardi, di cui è protettore, e San Nicola che risale dal sud, con i Bizantini. Tracce del “confronto” si trovano anche a Ottajano. Nel 1576  i Medici, che hanno appena comprato il feudo e vi hanno invitato i Domenicani, acquistano dal vescovo di Nola, Filippo Spinola, una cappella dedicata a san Nicola “ in loco ubi dicitur a tre case” e vi costruiscono intorno, o sulle rovine, la Chiesa del Rosario. Una cappella consacrata a San Nicola il vescovo Lancellotti la trova anche nella Chiesa di San Michele, da lui “visitata” nel 1615.  La chiesa parrocchiale di Ottajano era sicuramente “intestata” a San Michele già nel 1561, quando la “visita”  il vescovo Antonio Scarampo: e non è una “visita” serena, perché sono così indecenti le condizioni del sacro edificio che il vescovo minaccia di sospendere a divinis il parroco, don Paolo di Matteo. Le minacce hanno effetto. Si avviano le opere di ampliamento e di abbellimento, e la “nova fabrica “della  chiesa incorpora  una cappella di San Giacomo che cade in rovina. A metà del ‘700 il Remondini, interpretando poco correttamente gli atti dell’archivio vescovile, scrisse che la Chiesa parrocchiale di Ottajano prima che all’Arcangelo Michele era stata consacrata all’ apostolo Giacomo. L’errore ha avuto una lunga fortuna.

Dunque, il culto di San Michele mette radici in tutti i luoghi elevati che i Longobardi occupano  per controllare le vie della pianura: Egli è l’ Angelo dei monti e delle grotte. Alla fine del sec. VII i Longobardi strappano Ottajano ai Bizantini, ne fanno un “castrum”, un luogo fortificato e lo mettono sotto la protezione dell’ Arcangelo Guerriero. Il “castrum” longobardo di Ottajano  è importante  quanto quello di Sarno: e non a caso anche a Sarno, sul monte Locolano, il culto “longobardo” di San Michele sostituisce quello, “greco”, di San Teodoro.

A poco a poco  l’area “patronale” dell’ Arcangelo si incunea nel territorio dei Bizantini, fino a comprendere il Gargano, il monte  che domina la pianura coltivata a grano e le vie delle greggi in transumanza.  Qui si arricchisce il corredo dei carismi e dei poteri dell’ Arcangelo: mentre il San Michele “longobardo” è prima di tutto il Giudice severo dei nostri peccati ed è il Guerriero che combatte il Grande Nemico, Lucifero, e le fiamme dell’Inferno, il San Michele “garganico” protegge i campi e le messi dal Male della Natura, tempeste, siccità, terremoti, e dal Male sociale delle guerre, dei ladri, degli invidiosi. A Ottajano le due “figure” si saldano in una sola potentissima immagine: dopo l’eruzione del 1631 è la  Chiesa stessa che stabilisce corrispondenze tra il fuoco dell’inferno e le fiamme del vulcano, e spiega le ceneri  e la lava in chiave biblica, come segno dell’ ira del Signore per i nostri peccati.

Le variazioni del corredo dei carismi incidono anche sull’iconografia:  il San Michele Giudice regge la bilancia con cui pesa i nostri peccati, il San Michele  che ci protegge dal Male della Natura e della società non ha più bisogno della  bilancia, la Sua spada è ora solo simbolo della Parola di Dio – usa la metafora San Paolo nella 6a Lettera agli Efesii – e l’espressione del Suo volto ha il segno della gentilezza pronta a capire e a perdonare.

Il  15 aprile 1663 si riunisce a Ottajano  l’assemblea dei “deputati e cittadini” . In questa seduta gli Ottajanesi sottoscrivono con il principe Giuseppe I Medici un capitolato di eccezionale importanza, destinato a rinnovare il sistema sociale e rendere più agili i meccanismi dell’economia. Poi stabiliscono di consacrare l’8 maggio alla “festa solenne” di San Michele, “ che questa nostra Città per sua particolare devozione sempre ha tenuto e tiene per suo particolare Protettore”. Dunque il giorno del Patrono non è più il 29 settembre, ma l’ 8 maggio: con questa decisione gli Ottajanesi adottano il calendario del culto del Gargano, che l’8 maggio celebra la miracolosa apparizione di San Michele. E’ verosimile che abbiano influito sulla scelta  le relazioni commerciali sempre più intense che i Medici e i loro agenti stringono, in quegli anni, con i mercati del grano e della lana del Tavoliere, controllati, per quote importanti, dai Guevara di Bovino, la famiglia della suocera di Giuseppe I, e da Giovanni D’ Avalos principe di Troia, che del Medici è cognato e compagno di clamorose avventure. Giuseppe I delega come suoi agenti per i mercati di grano pugliesi i Duraccio, che a lungo saranno anche gli amministratori, i “conduttori”, della “maccaronaria”  alla Taverna del Passo. I Duraccio fino agli anni ’60 del ‘900 organizzano, con altri, la Festa di San Michele, e i loro ragazzi sono, fino a oggi, gli “attori” del “volo degli angeli”.

Gli stretti rapporti tra Ottajano, il Gargano e il Tavoliere fanno nascere anche le vaghe leggende sui miracolosi rifornimenti di grano che l’Arcangelo avrebbe garantito ai suoi fedeli ottajanesi in tempo di carestia: vale la pena di ricordare che storie del genere, destinate a diffondere in forma colorata, semplice e sintetica qualche notizia essenziale, fioriscono intorno ad ogni culto popolare.

Nel Medioevo il pianeta Venere – “Lucifero”, che porta la luce del giorno – venne chiamato anche “stella diana”: ma la dea Diana non c’entrava nulla, perché quell’aggettivo, “diana”, era connesso al latino “dies”, il “giorno”. Nel gergo militare la “diana” è la sveglia rumorosa che si dà ai soldati nelle caserme e negli accampamenti, e, per facile traslato, la “diana” dei fuochi è la sequenza scoppiettante dei fuochi d’artificio che salutano l’alba dei giorni consacrati alle feste religiose, allontanando le tenebre della notte e lo sguardo maligno degli spiriti nefasti. Se proprio vogliamo trovare una particolarità nella “diana” ottajanese dell’ 8 maggio, diciamo che a Ottaviano le batterie “salgono” verso la Chiesa: in questo “salire” c’è il simbolo della purificazione che l’Arcangelo chiede a tutti i cristiani.