Nel quadro di Goya c’è l’epos di tutti i patrioti che si ribellano agli oppressori.

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E’ il mio omaggio alla memoria di Salvo D’Acquisto, dei protagonisti delle “Quattro giornate di Napoli”, delle donne e degli uomini di Ottaviano uccisi nel settembre del ’43 dai soldati di Hitler. Il quadro “Il 3 maggio 1808: fucilazioni sul monte Pio” (olio su tela, m. 2,68 x 3,47) fu dipinto da Goya nel 1814: il pittore, che aveva 68 anni, riuscì a modificare profondamente la sua tecnica per rappresentare, in forme che sono  già segnate dal realismo romantico, il dramma di quella fucilazione.

 

 

Nel quadro è raffigurata la fucilazione di alcuni patrioti spagnoli catturati durante i moti del maggio 1808 contro la monarchia di Giuseppe Bonaparte che venne imposto come re di Spagna dal fratello Napoleone e restò sul trono dal 1808 al 1813. La fucilazione avvenne sulla montagnola prossima alla casa del principe Pio, poco lontano dal Palazzo Reale di Madrid, il cui profilo è delineato sullo sfondo a destra . I protagonisti della scena sono divisi in due gruppi: a destra ci sono i soldati anonimi, senza volto, trasformati dalle schiene allineate e dalla posa in veri e propri manichini, ottusi esecutori di una violenza imposta dal tiranno: pare quasi che gli alti cappelli e gli zaini siano il simbolo concreto di un potere che li schiaccia e non ammette disobbedienza. Fredda è la luce che illumina le loro spalle: essa proviene da destra, da una fonte esterna al quadro. A sinistra, il gruppo dei martiri si dispone in disordine, secondo linee curve, come a formare un vortice: una linea curva è anche il profilo della montagnola del principe Pio. I volti dei patrioti sono dipinti con pennellate nette – una tecnica nuova per Goya – e con tocchi di un nero (su base vermiglia) che serve a caratterizzare l’espressione di ognuno, e a rendere diverse, insieme al variare degli sguardi, le forme della disperazione: l’orrore e la paura di questi martiri sono sottolineati, oltre che dal moto della testa e dalla tensione delle fisionomie, dal rosso ora acceso, ora spento dell’incarnato. Lo schema dell’opera è un incrocio di due linee: una parallela alla base del quadro che va dai martiri ai soldati, l’altra che parte dal gruppo di persone in piedi e raggiunge il cadavere riverso a terra, e “dice” all’osservatore che il suo sguardo può “entrare” nell’opera anche dall’angolo in basso a sinistra. Ma il centro “rivoluzionario” della scena è il condannato che tende in alto le braccia, come un crocifisso: l’abbinamento del bianco e del giallo, immersi nella luce che viene dalla lanterna posta a terra, apre di fatto il capitolo della pittura del Romanticismo e, in particolare, dell’uso espressivo e simbolico del colore. E’ stato notato che il pittore, da anni completamente sordo, riesce a dipingere il grido del patriota in camicia bianca sottolineando con intensi tocchi di colore la tensione delle guance, il movimento delle labbra, lo sgranarsi dello sguardo. Lo spalancarsi delle sue braccia – anche il caduto ha le braccia spalancate – ci “dice” che il vero vincitore è lui, illuminato dalla lanterna che è simbolo “immediato” dell’Illuminismo, i cui valori di libertà erano stati traditi dai Francesi e da Napoleone, ma che continuavano ad essere la luce della vita per Francisco Goya y Lucientes. Quella luce avvolge anche il monaco tonsurato che fa parte del gruppo dei patrioti. E’ così profondo il “messaggio” di questo capolavoro che anche i re “legittimi” di Spagna, quando tornarono a Madrid, fecero in modo che l’opera restasse nascosta nei depositi di qualche museo e non venisse nemmeno registrata nei cataloghi: il quadro comparve negli inventari del “Prado” solo dopo il 1870.