Carlo VIII, re di Francia, che conquista Napoli nel maggio del 1495, diventa un ammiratore del “greco di Somma”, a cui papa Paolo III e il suo “bottigliere” Lancerio attribuiscono particolari “virtù”. Sul finire del ‘500 gli amministratori di Napoli regolano le gabelle del vino venduto in città sui prezzi dei vini di Somma e di Ottajano. L’articolo è corredato con l’immagine delle anfore della “domus” di Nettuno e Anfitrite nell’antica Ercolano.
Nel Rinascimento si venne costruendo la fama dei vini vesuviani, e in particolare del greco. Non c’ è riferimento alcuno ai vini campani nel primo libro a stampa sul vino, il trattato di Giovanni Besicken e Sigismondo Mayr pubblicato a Roma nel 1495. Ma proprio in quell’anno i francesi di Carlo VIII, conquistata Napoli, scoprono la perfetta squisitezza del vino “greco”, che già gli Aragonesi considerano un vanto delle loro cantine, con il vino di Granada e il vino di Sanseverino. Ambrogio Leone è il primo a magnificare per tutta l’Italia i fasti dell’agricoltura e della viticultura vesuviane. Non c’è niente che la pianura di Nola non possa produrre. Lo scrittore stesso coltiva, con ottimi risultati, la cannella, Antonio Campobassio lo zafferano, Pacello di Chiaromonte la palma da dattero. Nelle masserie è tutto un luminoso fiorire di sorbi, nespoli, cotogni – ma per Della Porta le mele cotogne migliori sono quelle di Ottajano, che pesano anche tre libbre ciascuna. Nel cunto ” La vecchia scortecata ” Basile paragona la bocca di una donna a un ” parmiento amoruso dove le Grazie pisavano contente e ne cacciavano Grieco doce e Manciaguerra de gusto “. Per Papa Paolo III e per il suo bottigliere Lancerio il Greco di Somma non ha rivali. Può essere ” fumoso e possente “, ma trattato con cura, diventa dorato e profumato. Il papa ne beveva ad ogni pasto, anche quando viaggiava – ” tale vino non pate il travaglio “- , e con quello di 6 o di 8 anni, ” che era più perfetto “, ogni mattina si bagnava gli occhi e le parti virili. Anche Andrea Bacci, nel ” De naturali vinorum historia “, pubblicata a Roma nel 1597, giudicò senza rivali, tra i vini campani, quelli vesuviani, e tra questi il “greco di Somma”, secco, dallo splendido colore dell’oro, potente a tal punto che già dall’odore si riceveva forza e spirito. Il Bacci non condivideva il giudizio di Paolo III e di Lancerio sul “mangia guerra”, ritenendolo un vino robusto e, mescolato con il “greco”, capace di combattere il catarro, e inoltre faceva venire il nome ” lagrima ” dal fatto che gli acini non venivano pigiati, ma si lasciava che stillassero naturalmente lacrime di mosto. Nel 1593 il cardinale Enrico Gaetani, camerlengo di Clemente VIII, fissò con un pubblico manifesto il prezzo a barile dei vini ” forestieri “, scaricati a Roma, alla dogana di Ripa grande: Greco di Somma, scudi 3,70; Greco di Resina o della Torre, scu. 3,50; Lagrima, scu. 2,60; Chiarello, Belvedere, Mangiaguerra e Pietra Nera, scu.2,50; Corso, scu. 2,40; Centola, Scalea, Latino, Paola, scu. 2,30; Calabrese e Greco d’ Ischia, scu.2,20; San Giovanni, scu.2,10; Asprino e Sanseverino, scu.2; Mazzacane, scu. 1,50. Un barile di Malvasia e di Moscatello costava 5 scudi. Alla fine del sec. XVI i più importanti mercanti di vino vesuviano sono Felice Amato e Vincenzo Daniele che lavorano in società e fanno capo al Banco di Sant’Eligio. Possiedono a Napoli 9 magazzini, di cui uno alla strada dei Greci e uno a via Santa Maria della Scala, e per l’ ” affitto ” dei primi 15 giorni di aprile del 1597 pagano a Orazio Orabona, cassiere della gabella del vino, duc.299. Nello stesso periodo versano a Giovanni Paolo Palomba duc. 310 ” in parte del prezzo di carra 65 lorde di vino bianco dolce, incluso carra 8 rosse e carra 26 di greco simile lorde, incluso la colatura di detti vini e griechi, posti in terra a soie spese, lo greco per duc. 17, 50 la botte, lo latino per duc. 9 la botte “. L’asprinio bianco si vende a duc.5 la botte. Il sensale di fiducia di Amato e Daniele è Giovanni Andrea de lo Preite, che controlla ” i grechi musti ” di Calitri, i vini sorrentini di Pietro Aniello Cafiero, i vini rossi di San Paolo di Nola, per 10 ” carra ” dei quali il sensale versa a Felice e Giacomo Vecchione e a Cichella Palmieri 38 ducati ” inclusove doie carra di mangiaguerra “. Attraverso i sensali i mercanti prenotano, con le buone e con le cattive maniere, le vendemmie dei vigneti importanti. Nell’estate del 1597 Vincenzo de Fede anticipa a Federico Bifulco di Ottajano ducati 6 sull’intera somma di 70 per 6 ” carra ” di lagrima che saranno consegnati nel gennaio del ’98. Il prezzo dei vini vesuviani varia di molto, a secondo delle annate e dei luoghi di produzione, ma non c’è dubbio alcuno sul fatto che essi dominano il mercato napoletano: a tal punto che sul finire del XVI secolo la gabella della ” terziaria ” è regolata sul prezzo dei vini di Somma e di Ottajano . Il greco e la lacrima del Vesuvio modellano anche il gusto: per tutto il ‘600 si riducono progressivamente le aree di produzione e di consumo del “fiano”, che nel ‘500 era copiosamente prodotto nelle masserie di Palma , di Domicella e di Lauro.