Ieri 25 Novembre 2015, è stato depositato presso la Procura di Napoli l’esposto denuncia avente per oggetto le palesi violazioni, con rilevanza penale, delle leggi che puniscono e perseguono lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione.
Tanto le dichiarazioni pubbliche quanto le iniziative sul territorio nazionale, che a vario titolo mirano a legalizzare le attività criminali che mercificano “le prestazioni sessuali”, costituiscono inoltre un grave ostacolo alle politiche antitratta di esseri umani: sono pubblici i dati che dimostrano, sul territorio Europeo, l’inclusione violenta, per inganno e coercizione, di donne non native, ridotte in schiavitù, nella forza lavoro del mercato prostitutivo criminale.
La denuncia allegata dettaglia gli estremi delle violazioni, finora impunite, a leggi dello Stato pienamente vigenti che nel garantire le cittadine salvaguardano la loro libertà.
A nome delle firmatarie:
Elvira Reale (Salute donna)
Clara Pappalardo (Arcidonna Napoli) Stefania Cantatore (Udi di Napoli)
PROCURA DELLA REPUBBLICA C/O IL TRIBUNALE DI MILANO
Le Associazioni: Salute Donna, UDI di Napoli, Arcidonna Napoli Onlus, e altre
con il presente atto dichiarano di sporgere, come in effetti sporgono,
DENUNCIA-QUERELA
contro chiunque sarà ritenuto responsabile dei fatti che qui di seguito saranno esposti.
PREMESSO CHE
L’Assessorato alla Polizia Municipale e l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Venezia hanno promosso nel 2001 il progetto “zoning” ai fini della riduzione complessiva del fenomeno della prostituzione.
Tale progetto ha previsto una politica di zonizzazione per la prostituzione, prevedendo una zona dedicata in aree a minor conflitto e maggior sicurezza con la salvaguardia di un’area (insula) “off limits”.
È stato dichiarato, in grandi linee, che lo “zoning” mira alla protezione sociale di coloro che decidono di uscire dal sistema nonché al recupero delle/dei sex workers, nel tentativo di ridurre il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione.
Il Consiglio di Zona 2 del Comune di Milano, rifacendosi al progetto zoning del Comune di Venezia, ha redatto una mozione (allegata) indirizzata al Sindaco ed alla Giunta del Comune di Milano invitandoli, come primo obiettivo, a:
“individuare insule “off limits” in cui iniziare una sperimentazione delimitata e circoscritta del dispositivo “zoning”
e tra gli altri obiettivi a:
” – individuare zone informali di espansione (aree di minor conflitto con la cittadinanza e di maggior sicurezza personale delle sex-worker) dove poter meglio monitorare il fenomeno per un più efficace controllo del territorio e una dissuasione/repressione degli effetti collaterali nei confronti del fenomeno;
– ad accertarsi che le suddette zone informali siano facilmente accessibili, abbiano le necessarie dotazioni relative all’arredo urbano, prevedano la presenza potenziale di punti di sicurezza e di soggetti chiave per la mediazione e la sicurezza del territorio; – a organizzare workshop sullo “zoning” con le lavoratrici ed i lavoratori del sesso, nonché attività di informazione sullo zoning mediante volantini in lingua;
– a stabilire con lavoratrici e lavoratori del sesso e clienti un regime di regole condivise al fine di “normare” le zone informali di esistenza necessaria garantendo così un utilizzo adeguato degli spazi soprattutto per quanto attiene a questioni igienico-sanitarie, disturbo della quiete pubblica, problemi di ordine pubblico…”
Tali obiettivi e progetti contrastano con una concreta e probabile riduzione del fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, il recupero delle prostitute e le leggi vigenti nel nostro Paese.
Preliminarmente, è doveroso fare riferimento alla L. 75 del 1958 ( Legge Merlin), che ha sancito la chiusura delle case di prostituzione ed ha vietato ogni genere di attività di meretricio in luoghi determinati e conosciuti al pubblico. L’art. 3, n. 8, prevede, altresì, la punibilità di “chiunque, in qualsiasi modo, favorisca la prostituzione altrui”.
Prostituzione, dal punto di vista etimologico, significa “porre davanti” (da prostituere), ovvero porre in vendita. Da ciò possiamo facilmente individuare il fenomeno sotto due aspetti differenti, anche se strettamente connessi tra di loro.
Da un lato, in effetti, la prostituzione viene considerata come qualsiasi tipologia di prestazione sessuale, da chiunque eseguita, dietro corresponsione di un prezzo. Sotto un diverso punto di vista viene posto l’accento sulla condizione di sottomissione, in cui viene a trovarsi il soggetto dedito alla prostituzione, altamente lesiva della dignità umana.
La “Legge Merlin” ha consentito nel tempo di contrastare e sanzionare tutte le attività aventi rilevanza penale in ambito di attività di meretricio, in particolare: il favoreggiamento della prostituzione e lo sfruttamento della stessa.
Il reato di favoreggiamento della prostituzione si concretizza, sotto il profilo oggettivo, in qualunque attività idonea a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio della prostituzione, ovvero: “ogni forma di attività agevolativa, idonea a procurare più facili condizioni per l’esercizio del meretricio costituisce elemento concretizzante il reato di favoreggiamento della prostituzione” (Cass. Pen., sez. III, sentenza 3 febbraio 2015, n. 4931 ) mentre sotto il profilo soggettivo è sufficiente la consapevolezza di agevolare il commercio altrui del proprio corpo senza che abbia rilevanza il movente dell’azione (Cass. Pen., sez. III, sentenza 20 novembre 2013, n. 6373); la locuzione “favorire” è sinonimo di “aiutare”, “rendere agevole”, “facilitare”, con la conseguenza di dover ritenere ricompresi nell’ambito di applicazione della norma tutte quelle condotte che, in qualsiasi modo vengano poste in essere, siano idonee a sorreggere la prostituzione altrui.
Il reato di favoreggiamento è visibile in tutti quei comportamenti idonei ad agevolare la prostituzione di una persona, quindi a renderla più facile o più comoda, comprendendovi perciò qualsiasi attività accessoria causalmente orientata all’esercizio di tale pratica. È tuttavia irrilevante il movente, cioè il fine di lucro o la volontà di servire l’altrui libidine; è sufficiente il solo dolo generico, ossia la consapevolezza di agevolarne in qualsiasi modo l’attività.
Attualmente il nostro ordinamento giuridico prevede anche la punibilità di “chiunque induca alla prostituzione una donna di maggiore età, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” (art. 3, n. 5, L. 20 febbraio 1958, n. 75).
Per induzione bisogna intendere qualsiasi attività di persuasione o convincimento, operata nei confronti di una donna, affinché costei offra il proprio corpo ad un numero indeterminato di persone. E’, altresì, necessario che l’opera di induzione avvenga senza il minimo utilizzo di violenza, minaccia o inganno, in quanto, in tal caso ricorrerebbe la circostanza aggravante prevista dall’art. 4, n. 1.
L’induzione alla prostituzione, a sua volta, si può realizzare in una duplice direzione, in quanto, da un lato, è idonea a comprendere sia l’ipotesi della determinazione, la quale si realizza nel momento in cui si fa sorgere, in capo alla vittima, un proposito di darsi alla prostituzione che in precedenza non sussisteva, sia l’ipotesi dell’eccitamento, che si caratterizza per il semplice rafforzamento di un proposito che già esisteva all’interno della mente della prostituta, anche se solo in una fase latente (Cass. Pen., sez. III, sentenza 3 dicembre 2004, n. 46989).
L’art. 531 c.p. Poi abrogato dalla “Legge Merlin” che ha ridisciplinato la materia, recitava “Chiunque, per servire all’altrui libidine, induce alla prostituzione una persona di età minore, o in stato d’infermità o deficienza psichica, ovvero ne eccita la corruzione, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire tremila a diecimila. Se soltanto ne agevola la prostituzione o la corruzione, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire tremila a diecimila.”
La condotta induttiva mira a due risultati:
- Risultato psichico di rafforzamento della decisione di esercitare la prostituzione;
- Risultato materiale dell’inizio di un’attività prostituzionale.
Connesso alle due fattispecie poc’anzi descritte, è il lenocinio, termine che esprime il concetto di invito al libertinaggio, posto in essere da un individuo, il quale, funge da intermediario tra la prostituta ed i possibili clienti.
Si tratta di una figura delittuosa, in realtà non del tutto nuova, in quanto il nostro ordinamento giuridico in passato già conosceva un precedente, rappresentato dall’art. 208 del T. U. di Pubblica Sicurezza, il quale prevedeva la punibilità di chiunque facesse “pubblica indicazione di locali di meretricio” o facesse in qualunque modo “offerta di lenocinio”.
Ciò posto, la mozione della Zona 2, diretta alla realizzazione della zonizzazione, e rivolta a fare pressione per ottenere l’assenso del Consiglio Comunale di Milano ha sicuramente determinato una violazione della legge penale.
Invero, è rinvenibile nella condotta indicata il reato di cui all’art. 414 c.p., ovvero di istigazione a commettere un reato. Il reato in questione altro non è che il favoreggiamento della prostituzione.
In particolare, si legge nella mozione che la zona 2 del Comune di Milano ha aperto le porte al progetto “zoning” al fine di governare il fenomeno del lavoro sessuale su strada. In secondo piano, quindi, slittano gli intenti sociali di recupero e supporto per le prostitute che vorrebbero uscire da questo giro.
La dichiarazione, in effetti, che le lavoratrici ed i lavoratori del sesso hanno “diritto” a svolgere il proprio lavoro in maniera dignitosa, è da considerarsi una vera e propria istigazione al favoreggiamento della prostituzione. L’art. 3, n. 8, della L. 20 febbraio 1958, n. 75 prevede la punibilità di “chiunque, in qualsiasi modo, favorisca la prostituzione altrui” e per favoreggiamento, come anticipato, è da intendersi qualsiasi attività posta in essere per agevolare l’esercizio della prostituzione.
E’ palese, infatti, che la zonizzazione agevoli l’attività di meretricio, per cui sono da ritenersi ben lontani gli obiettivi sociali decantati, quali il recupero e la protezione di coloro che svolgono attività di prostituzione
La zonizzazione, atta ad evitare disagi alla popolazione e a favorire l’occupazione dei cittadini, come si evince dalla mozione si sostanzia in una sorta di ripristino di ‘quartieri di meretricio’, vietati dalla “Legge Merlin”, art. 2, tutt’oggi in vigore, e, in nessuna maniera, potrà favorire l’estinzione ed il recupero di coloro che vorrebbero sottrarsi a tale attività. Attività, grazie allo zoning, nuovamente regolamentata da terzi (autorità statali) e sottoposta ai controlli di autorità amministrative, di polizia e sanitarie, controlli che la legge Merlin (art. 5 e 7) aveva vietato in quanto ancora una volta lesivi della dignità umana
L’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE) indica che «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze».
Dignità coincide con l’attributo primo ed irrinunciabile della “persona”.
Il primo esempio di questa accezione nel nostro Paese si rinviene nella sentenza 44 del 1964 Corte Costituzionale, dove si è sottolineato come “particolari ragioni di tutela della dignità umana abbiano indotto il legislatore ad abolire la regolamentazione della prostituzione e qualsiasi altra degradante qualificazione o sorveglianza sulle donne che esercitano la prostituzione.”
Alla luce di queste brevi considerazioni, i principi fondamentali della dignità umana e del rispetto dei diritti umani consentono di ritenere il progetto “zoning”, così come indicato nella Mozione della Zona 2 di Milano, in contrasto con la Costituzione italiana, l’ordinamento giuridico penale italiano e il TUE, il cui espletamento pone in essere il reato di istigazione al favoreggiamento della prostituzione.
Tutto ciò premesso, si chiede la punizione per il reato di istigazione al favoreggiamento della prostituzione e per tutte le ulteriori ipotesi criminose ravvisabili nei fatti descritti di chiunque sarà ritenuto responsabile in ordine agli stessi con richiesta di ricevere informazione di una eventuale richiesta di archiviazione ex art. 408, 2° co., c.p.p.
(Fonte foto: rete internet)