Le storiche liti tra Somma e il casale di Sant’Anastasia

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Un vecchio detto anastasiano dice: meglio a mort, ca nu summes for a port (meglio la morte che un abitante di Somma fuori la porta). Da dove arriva questo detto? Le ipotesi sono sicuramente quelle storiche?

La Terra di Somma, già a partire dal 1326, era divisa in tre grandi quartieri: il Casamale, Margherita e Prigliano. Ai quartieri si aggiungevano i Casali di Sant’Anastasia, Trocchia, Pollena e Massa. Appartenevano amministrativamente a Somma anche il Casale di Pacciano (D. Russo), attuale frazione di Pomigliano d’Arco, e una vasta masseria del Casale di Ponticelli Minore (L. Verolino). I casali erano piccoli agglomerati urbani rustici, fatti di case e di terreni coltivabili. Gli uomini dei casali erano cittadini che dalla città principale si trasferivano nell’ambito del suo distretto ed il territorio occupato si considerava parte dell’agro comune assegnato agli abitanti per maggior comodo della cittadinanza e si amministravano con le stesse consuetudini e gli stessi privilegi della città (G. Jalongo e G. Torre).

Nel Settecento le lotte tra Somma e Sant’Anastasia divennero più accentuate: Sant’Anastasia mal sopportava l’egemonia di Somma e gli antichi privilegi che erano legati al suo antico dominio. Già nel 1600, Papa Clemente VIII, dopo aver istituito la Collegiata in Somma, obbligò i Padri Domenicani della Chiesa di Madonna dell’Arco a versare alla Collegiata di Somma 650 ducati annui, ricavati dalle numerose offerte votive. Oltretutto, Sua Santità obbligò i Domenicani a costruire a proprie spese anche la Canonica. Tutto ciò diede luogo a innumerevoli liti tra il casale e la città.

Sin dal 1718 i rappresentanti di Sant’Anastasia ricorsero, spesso, al Regio Fisco per sottrarsi alla giurisdizione annuale del Mastro Mercato di Somma, ma le sentenze davano sempre torto alle loro ingiuste pretese. Più volte rinnovavano i patti, ma in realtà si ribellavano con la violenza a qualsiasi ordinanza emessa, come avvenne pure nel 1765 e nel 1774. Il privilegio del Mastro Mercato,  istituito nel 1496 da Giovanna d’Aragona (1478 – 1518), era di una grande importanza, poiché per gli otto giorni della fiera del Martedì in Albis cessava in Somma e nei suoi casali ogni e qualsiasi altra giurisdizione sia civile che criminale ed inappellabilmente sia per gli abitanti di Somma che per quelli dei casali giudicava il Mastro Mercato di nomina annuale dei deputati dell’Università di Somma. Solo più tardi, durante il decennio francese (1806 – 1815), determinate leggi abolirono non solo il secolare privilegio del Mastro Mercato, ma permisero al casale di Sant’Anastasia di ottenere la sua sospirata autonomia (1809).

Precedentemente, però, durante il breve periodo della Repubblica Partenopea (23 gennaio 1799 – 13 giugno 1799), altro sangue cittadino era colato sotto le pendici del monte. La città di Somma era sconfortata dal governo borbonico e, inoltre, era altresì desolata per la furiosa eruzione del 1794. Animata, quindi, dai più generosi ideali, abbracciò con entusiasmo la causa francese della Repubblica Partenopea. Sant’Anastasia, invece, dileggiando la decisione di Somma, si ribellò ad essa: non accettò la posizione del popolo sommese ed ostentò fedeltà a Ferdinando IV, minacciando Somma. I sommesi, dal canto loro, in risposta, invasero il dipendente casale, e lo saccheggiarono totalmente. Gli anastasiani per vendicarsi, con evidente opportunismo, non solo rinunziarono ad aderire agli ideali borbonici, ma  aderirono astutamente al nuovo regime francese, chiamando in aiuto le truppe della Repubblica partenopea. Lo scopo era quello di  infliggere una sonora lezione ai sommesi. La truppa di Championet, guidata dal Generale Giuseppe Schipani, si fermò a Sant’Anastasia e puntò, addirittura, un cannone su Somma. I cittadini di Somma, avvertiti, in tempo, si formarono in diverse squadre e armate delle più strabilianti armi, piombarono su Sant’Anastasia, accerchiando le truppe repubblicane e dei suoi casalini, sconfiggendo e saccheggiando nuovamente l’infido casale di Sant’Anastasia. L’abate Don Pietrabondio Drusco, che narrò tali fatti nel 1799, oltretutto confermati dal Monitore Repubblicano diretto da Eleonora Pimentel Fonseca, accusò di anarchia l’opera dei cittadini sommesi per i loro ripetuti saccheggi. Ma, come riferisce lo storico Alberto Angrisani, l’abate non conosceva all’epoca la psicologia dei sommesi, ne tantomeno era a conoscenza delle continue e secolari lotte fra Somma e Sant’Anastasia, perciò non poteva comprendere il particolare stato che animava i sommesi, che giustificava pienamente il loro operato.

La rivalità tra Somma e Sant’Anastasia continuò ancora nel tempo. In occasione del Regio Decreto del 17 marzo 1927 – sulla eventuale revisione delle circoscrizioni comunali e per rendere più prospera la vita di Comuni con scarse, o insufficienti risorse morali e finanziarie, che non assicuravano un futuro semplice – il vicino Comune di Sant’Anastasia con voto del direttorio del suo fascio, osò invocare l’aggregazione di Somma a Sant’Anastasia. Ma contro questa ardita pretesa di accorpamento si schierò non solo un fervente comitato di illustri personalità sommesi, ma anche una vibrante pubblicazione dello storico Alberto Angrisani dal titolo Brevi notizie storiche e demografiche intorno alla città di Somma.Un’opera che non solo costituisce – secondo il professore Jacopo Pignatiello – una tappa bibliografica essenziale e avvincente per chi ambisca a scoprire la storia di Somma Vesuviana, ma una memoria scritta in pochi giorni, propriamente quindici, in difesa dell’autonomia della città.