Le ricette di Biagio:“gnocchi del Vesuvio”. E gli “strangulaprievete” minacciano non solo certi “prièvete”, ma anche certi grecisti…

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E. Grutzner, I monaci a pranzo

Proponendosi di respingere l’ etimologia più facile di “strangulaprievete”, certi  gastronomi si arrampicano sulle infide rocce della lingua greca e, soprattutto, “nascondono” l’evidenza della storia. Non meritano questo gli gnocchi, pasta semplice, generosa, pronta a mettersi al servizio di tutti gli ingredienti. Gli gnocchi di Biagio sanno di mare.

Ingredienti:1.kg. di gnocchi freschi,15 pomodorini del piennolo misti gialli e rossi, 100 gr di pesto fatto in casa, 500 gr. di vongole veraci , olio extra, aglio, pepe. Tagliate i pomodorini a metà e metteteli  in un tegame con l’ olio extra ed uno spicco d’aglio, fate soffriggere per circa 5 minuti a fiamma vivace, aggiungete il pesto e, dopo un paio di minuti, le vongole, coprite il tegame con un coperchio. Non appena gli gnocchi, che avete già messo in pentola, “salgono a galla”, versateli nel soffritto e amalgamate con calma il tutto. Servite aggiungendo una manciata di pepe

Ma che tengo ‘o prevete a casa?

Pare una guerra di religione. Molti non sopportano che il nome napoletano degli gnocchi, “strangulaprievete”, venga spiegato nel modo più facile e banale, come il “maccherone” di pasta capace di strozzare i preti. E perciò, essendo, oltre che storici e gastronomi, anche filologi e grecisti – beati loro-, spiegano che a far nascere quella parola composta napoletana concorrono due parole greche. Dice uno che il verbo greco “strongulòo” determina la prima parte del composto, mentre un altro verbo greco, “preto” (copio ad litteram), genera la seconda parte ( prièvete): “strongulòo” significa “arrotolare, torcere”, “preto” vuol dire “comprimere, incavare”. Le due azioni sarebbero all’origine della formazione degli gnocchi, che ricavati da pasta arrotolata, vengono poi incavati o a punta di forchetta o con un colpo di pollice. Un altro studioso trova le radici dello “strangulaprevete” nei verbi greci “straggalào”, “strangolare, torcere” e “prepto”, “incavare”. Il popolino napoletano, non essendo in grado di cogliere il raffinato nesso tra i due verbi greci, avrebbe annacquato tutto in una scialba assonanza, accusando gli gnocchi di essere una severa minaccia per i preti.

 Qui finisce il lavoro etimologico dei grecisti- filologi. Quel poco di greco che mastico mi consente di dichiarare che i termini “stroggulòo” e “straggalào” esistono e hanno il significato che i due attribuiscono ad essi: non riesco però a trovare, nei lessici, il verbo “prepto”, mentre il verbo “preto” – meglio, “pretho”-, lo trovo, ma non significa “incavare”, significa esattamente il contrario, “gonfiare”, e in questo significato Omero lo abbina al mare e alle vele. Dunque, qualcosa non funziona nella costruzione etimologica messa su dai due studiosi. Noto a margine le bizze del verbo “stroggulòo” e dei sostantivi che hanno lo stesso tema, come “stroggylos”: il verbo produce “strangola” nel pieno rispetto delle leggi fonetiche, il sostantivo, invece, secondo non pochi studiosi, sarebbe il padre della parola “struffolo”: la coppia “gg” si convertirebbe nella coppia “ff”: una conversione che definire miracolosa è poco. Il primo dei due studiosi sopra citati, dopo aver completato la sua analisi etimologica, va giù pesante contro quegli “ignoranti” che hanno “straziato” la greca parola “strangulaprievete” “stravolgendola” in”strozzapreti”:  dunque, se ho capito bene, “strozzapreti” nascerebbe da uno stravolgimento di “strangulaprievete”: insomma, verrebbe dopo……

Mi limito a ricordare che un “maccherone” viene chiamato “strozzapreti” già in testi non napoletani dei secc. XVI e XVII e che nella “scampagnata” celebrata in un sonetto di G.G. Belli – dunque, nella prima metà dell’Ottocento – il protagonista della tavola è un piatto di “strozzapreti cotti cor zughello”, con il sugo. Si chiede il poeta da dove nasca questo nome così ingeneroso, visto che è praticamente impossibile che un prete si strozzi: non c’è prete, dichiara il Belli,  che non riesca a inghiottire ”sano sano”, tutto intero, “in un solo boccone”, anche “el sor Pavolo Bbionni”, il signor Paolo Biondi, l’uomo più grasso di Roma.Posso aggiungere che “strozzapreti” viene chiamato da qualche parte il prugnolo selvatico e che la cucina italiana ha creato anche gli “ingannapreti”, che sono dei cappelletti non ripieni. E’ superfluo notare che l’inclinazione al peccato di gola di preti e monaci è un luogo comune della letteratura e della pittura satiriche: “tene ‘o prevete a casa” si diceva di chi preparava pranzi sontuosi e costosi,  anche perché “preti monache monaci e polli non li trovi mai satolli”. Il quadro di Eduard von Grutzner che correda l’articolo è un ironico ritratto di monaci che stanno celebrando il rito della birra: il tema dei monaci che venerano la birra affascinò a tal punto il pittore che egli gli dedicò decine di opere.

Che dire degli gnocchi di Biagio? Dico solo che sanno di mare: non solo per le vongole, ma anche per i pomodorini del piennolo, asciugati dal fuoco nascosto nella pietra del Vesuvio e dal vento che viene dal golfo. Immersi in questo sugo, gli gnocchi non sono più, come dire, sonnacchiosi e molli, ma si vestono di carattere. E perciò li gusti uno alla volta, anche per  cautela…non si sa mai…Potrebbero prenderti  per un prete.