Le ricette di Biagio: supplì di polenta. Vuoi vedere che la polenta è “nata” a Napoli?

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Nell’antichità il mondo mediterraneo conosceva la polenta: i Romani ne facevano largo uso, e intorno a questo piatto Seneca “costruisce”, per il suo allievo Lucilio, una saporosa lezione di filosofia che merita un articolo a parte. E Plinio ne illustra le non poche virtù. Gli atti del Comune di Ottajano relativi all’eruzione vesuviana del 1822 e alle terribili conseguenze ci raccontano il ruolo salvifico della polenta. C’è chi dice che la polenta è all’origine un “piatto” napoletano, della Napoli greca, di Partenope, e chi ritiene che il “piatto” l’abbia insegnato ai Napoletani Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando re di Napoli (prima quarto e poi primo).

 

Ingredienti (per 6 persone): 1 litro d’acqua, gr.100 di farina di polenta, gr. 150 di groviera, farina bianca, uovo sbattuto, pangrattato, sale, olio per friggere. Versate l’acqua in una pentola, conditela con il sale, portatela all’ebollizione e poi fateci cadere, a pioggia, la farina di polenta, sempre mescolando. Fate cuocere e, dopo circa venti minuti, quando la polenta sarà densa e si staccherà dal fondo e dalle pareti del recipiente, toglietela dal fuoco. Con un cucchiaio bagnato prendete una cucchiaiata di polenta e stendetela su un marmo anche esso bagnato. Cercate di darle la forma di un uovo e nel centro di ogni uovo collocate una fettina di formaggio. Preparati così tutti i supplì, lasciate che si raffreddino, poi infarinateli, passateli nell’uovo sbattuto e nel pangrattato e friggeteli, pochi alla volta, nel forno caldo. Sono pronti per la tavola (La ricetta è, in sostanza, quella di Ada Boni, l’immagine è presa da “ricetta sprint”).

 

Catone, nel “De agri cultura”, parla della “puls punica”, della polenta cartaginese, i cui ingredienti erano l’acqua, la semola, formaggio fresco, miele, un uovo. In tavola la polenta era accompagnata da crostini di pane abbrustolito. I Romani preparavano la polenta anche con la farina di farro, a cui aggiungevano talvolta fave e cipolle già cotte, e con la farina di orzo, in cui mescolavano semi di lino. Oggi la polenta è considerato piatto storico delle regioni dell’Italia del Nord, ma Paola Gho e Giovanni Ruffa ci dicono che documenti dell’Ottocento “testimoniano l’estensione dell’area di diffusione” di questo “cibo della sopravvivenza” e anche l’uso di mescolare la polenta con latticini, castagne, fagioli e cavoli.

L’eruzione vesuviana dell’ottobre 1822 segnò una svolta nella storia politica e sociale delle eruzioni. Per la prima volta i Comuni di Ottajano, Somma, “Pollena e Trocchia”, San Sebastiano, Sant’Anastasia, Torre Annunziata, Torre del Greco, Boscoreale, Boscotrecase e Poggiomarino presentarono “reclami di massa” per ottenere “due disgravi”, uno di 20.548 ducati “per la rendita perduta”, l’altro di 24.140 ducati per “rimettere i fondi nello stato di produrre”. Luigi de’ Medici, pur sapendo che i proprietari terrieri avevano esagerato, concesse personalmente il primo “disgravio”, “considerato lo stato d’angustia dei contribuenti”, e convinse il re a concedere il secondo. E si vide subito che una conseguenza devastante delle eruzioni erano le piogge alluvionali, soprattutto a Ottajano. Gli ingegneri, e tra questi l’ottajanese De Rosa, sostennero che era necessario “scavare a solchi” la parte del Monte Somma “che chiamasi Spennato”, perché non vi erano selve, e costruire nuovi lagni, “a principiare dalle falde della Montagna”, in sette siti in cui confluivano le acque: Santa Croce, San Francesco, San Leonardo, Zabatta, Casilli, La Ponta, Terzigno. Le piogge ininterrotte del 9 e del 10 novembre 1822 resero indispensabile la sistemazione immediata anche degli alvei già esistenti. Drammatica divenne la penuria di alimenti per gli abitanti del territorio e per gli ottocento “zappatori” impegnati nei lavori degli alvei. Luigi de’Medici cercò di risolvere il problema ordinando ai soldati di distribuire ai “miseri” “minestra di granone” e patate. Se in quella minestra ci fossero stati altri ingredienti, il segretario del Decurionato di Ottajano l’avrebbe scritto: e se fosse stata polenta fritta, quella degli “scagliuozzi”, non l’avrebbe taciuto. In ogni caso la storia delle origini non si può definire, ma il mangiar polenta, se ha ragione Plinio, è atto compatibile con un particolare aspetto del carattere napoletano, e cioè con quel momento in cui i Napoletani diventano muti, abbassano gli occhi e si immergono nella riflessione. E le cose del mondo appaiono nude e semplici, come la “silenziosa” polenta.