Orazio non sopportava l’aglio, e quando l’amico Mecenate gli fece mangiare un “piatto” “insaporito dall’aglio”, egli gli fece capire, scherzosamente, in un epodo, che lo scherzo non gli era piaciuto: “Se qualcuno, con mano empia, taglia la gola al vecchio padre, dovrà mangiare l’aglio, che è peggio della cicuta. O duri stomaci dei mietitori! Che veleno è questo, che mi strazia le viscere? Forse sangue di vipera, cotto di nascosto con le erbe?”
Ingredienti (4 persone): gr.320 di spaghetti; 2 spicchi d’aglio; peperoncino; olio extravergine di oliva; prezzemolo. Cominciamo mettendo sul fuoco l’acqua per la pasta e portandola a bollore. Nel frattempo scaldiamo in una padella un filo abbondante di olio e aggiungiamo prima l’aglio tritato, poi il peperoncino. Facciamo rosolare pochi istanti. Cuociamo la pasta, poi scoliamola al dente e versiamola direttamente in padella. Uniamo un mestolo d’acqua di cottura e mescoliamo bene gli spaghetti al condimento. Impiattiamo e decoriamo i nostri spaghetti aglio e olio con un po’ di prezzemolo tritato.
Lo stesso destino della cipolla. Le virtù medicamentose dell’aglio vennero offuscate dal fastidio che viene dal suo odore e dal suo sapore. A Orazio non importava che l’aglio occupasse un posto notevole nella dieta dei soldati romani – li liberava dalla paura – e degli atleti greci: lui non poteva dimenticare Erodoto, che aveva “svelato” il menù riservato dagli Egiziani agli schiavi: un pezzo di pane, uno spicchio d’aglio e mezza cipolla. La complessa questione venne riassunta con chiarezza da Pellegrino Artusi, il filosofo del “mangiar bene”, in un libro del 1891: Gli antichi Romani lasciavano mangiare l’aglio all’infima gente, e Alfonso re di Castiglia tanto l’odiava da infliggere una punizione a chi fosse comparso a Corte col puzzo dell’aglio in bocca. Più saggi gli antichi Egizi: lo adoravano in forma di nume, forse perché ne avevano sperimentate le medicinali virtù: e infatti si vuole che l’aglio sia di qualche giovamento agl’isterici, che promuova la secrezione delle orine, rinforzi lo stomaco, aiuti la digestione e, essendo anche vermifugo, serva di preservativo contro le malattie epidemiche o pestilenziali. Paul Verlaine paragonava al sapore fastidioso dell’aglio la poesia di coloro che si illudono di fare i poeti usando i trucchi della retorica. Ma la scrittrice Shirley Jackson si vantava di saper ridurre la tensione dei suoi racconti servendosi di un “aglio” particolare, e cioè facendo balenare nella prosa delle sue pagine improvvisi lampi di ironia. Camilleri, attento all’arte della cucina, consigliava ai lettori di far friggere l’aglio e il peperoncino per pochissimi secondi e di non versare l’olio direttamente nella pasta: è un errore da principianti, che rischia di trasformare gli “spaghetti aglio e olio” – un piatto straordinario – in un banale piatto di “pasta all’olio”: la pasta, cotta bene, rende gentile e invitante anche l’aglio. Anche Giovanni Artieri scrisse che “gli spaghetti aglio e olio” risultano un “piatto” straordinario se il cuoco sa realizzare con sapienza due dosaggi: quello dell’olio e “quello, difficilissimo, del “forte”. Grazie a queste due misure, gli spaghetti meriteranno “l’insostituibile” aggettivo di “sciuliarielli”. I Napoletani hanno con l’aglio un rapporto particolare, illustrato da una famosa “sentenza”: “Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglia, corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio. Sciò sciò ciucciuvè, uocchio, maluocchio….” . Anche questa è letteratura. E non poteva mancare Eduardo, che anche in questo “teatro” siede in prima fila. Perché Eduardo, nei tempi di povertà assoluta della seconda guerra mondiale e degli anni del dopoguerra, stringendo in un magico connubio i profumi del prezzemolo e quelli “marini” dell’aglio, inventò un piatto miracoloso: gli spaghetti “a vongole fujute”: un gioco linguistico: perché le vongole non erano fuggite: in quei tempi di povertà, nel piatto, non c’erano mai state.
(fonte foto: ilmediano)