La notte bianca della Candelora: la “Juta” a Montevergine

0
681

La Candelora è una festa cattolica poco conosciuta, ma a Napoli ed in particolare a Montevergine, santuario che si trova vicino Avellino, riveste significati particolari.

 

 

Nella liturgia cattolica con la Candelora, celebrata il 2 febbraio, si festeggia la presentazione di Gesù al Tempio, come era d’obbligo per i primogeniti maschi delle famiglie ebree. Per ricordare questo evento in tutte le chiese si benedicono le candele per santificare la figura di Gesù che è “Tempio di luce”. In varie parti del mondo la Candelora viene celebrata con manifestazioni che hanno come riferimenti simbolici la luce, il fuoco e l’inverno. Numerosi, infatti, sono i detti e proverbi popolari che si riferiscono al periodo di metà inverno, quando i contadini ancora possono riposare, mentre cresce l’attesa per il risveglio primaverile e per l’inizio della stagione dei primi raccolti. A Montevergine il giorno della Candelora, però, accade qualcosa di struggente e singolare. Un corteo di Fëmmïniéllï, termine con cui a Napoli ed in Campania si definiscono: gay, lesbiche, trans e bisessuali si reca in pellegrinaggio, aspettando le prime luci dell’alba per omaggiare Mamma schiavona, Madonna nera di Montevergine venerata in ogni parte del mondo. Secondo la leggenda la Madonna di Montevergine compì un miracolo, liberando dai lacci due giovani gay che, dopo essere stati scoperti dalle comunità locali, furono legati ad un albero e lasciati in balia dei lupi e del freddo. L’episodio secondo gli storici della tradizione avvenne nel 1256 e da allora la Madonna nera è stata riconosciuta dal popolo come protettrice di tutti i Fëmmïniéllï. Ci sono nel culto ragioni più arcaiche che affondano nella notte dei tempi. Il santuario di Montevergine, tra i più importanti del meridione d’Italia, sorge proprio sulle rovine di un tempio dedicato al culto della dea Cibele, simbolo femminile della natura “prodiga”. Nell’epoca precristiana i Coribanti, sacerdoti del culto della dea Cibele, si recavano al tempio proprio dove ora a 1400 metri di altezza sorge il Santuario, con un corteo sgargiante e vestiti da donna per compiere un auspicio nella speranza di rigenerarsi con una nuova identità. Infatti, si eviravano e offrivano il proprio sesso alla Dea della natura femmina, come atto estremo di devozione. Dunque, sacro e profano si uniscono in questa tradizione della salita (jìiùtä) a Montevergine che i Fëmmïniéllï, affrontano con immani difficoltà. Nel buio della notte ed in pieno inverno si inerpicano per i sentieri stretti e gelati per arrivare alle prime luci dell’alba dalla Mamma schiavona, a cui rivolgono canti, balli e preghiere.

Tratto dal libro  ‘IL GUSTO POPOLARE’