Poche città sono fiere della propria storia quanto lo è Somma Vesuviana, che custodisce i documenti del suo passato con orgoglio e amore. “Summana” fa onore alla cultura vesuviana. Di
Carmine CimminoMi auguro che qualcuno stia raccogliendo il materiale per scrivere la storia delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità nazionale. L’occasione ha prodotto di tutto: scene emozionanti, commemorazioni suggestive, le grottesche polemiche leghiste, convegni di storici autentici e di storici improvvisati, vuoti di memoria, pieni di ignoranza, carnevalate ridicole. Ma veniamo a noi.
Fino ad oggi l’ Amministrazione Comunale di Ottaviano non ha ancora celebrato gli Ottajanesi che combatterono sul Volturno e a Gaeta, e non ha ancora ricordato il ruolo che Giuseppe IV Medici, principe di Ottajano, svolse nell’autunno del 1860 per garantire un tranquillo traghettamento dell’alta burocrazia napoletana dalla bandiera borbonica a quella piemontese. Le officine di questo lavoro diplomatico furono il palazzo Miranda Medici di via Chiaia, e il Palazzo Medici in Ottajano, mete, tra l’ottobre e il dicembre di quell’anno fatale, di un fitto movimento di diplomatici piemontesi, di generali ex borbonici, di figli di generali borbonici rimasti accanto a Francesco II, di “consorti“ tornati in pompa magna da Torino, a portare libertà , unità , ecc.ecc.
Non si sa se l’Amministrazione Comunale voglia ricordare tutto questo, o se ritenga che non sia il caso; qualcuno insinua che gli amministratori della mia città vorrebbero ricordare e celebrare, ma non sanno chi, e non sanno come, e non sanno perché. Ma sono solo supposizioni maligne dei maligni di professione. Se gli amministratori si trovassero veramente in difficoltà – ma è certo che non lo sono -, potrebbero procurarsi agevolmente i libri del mio amico Gino Iroso, in cui è scritto tutto quello che serve.
Poche città sono fiere della propria storia quanto lo è Somma Vesuviana, e nessuna città del Vesuviano ha custodito i documenti del suo passato con l’orgoglio e con l’ amore che i Sommesi provano per le vicende e per luoghi riti e tradizioni della loro terra. Di questo amore e di questo orgoglio sono testimoni il notevole numero di studiosi notevoli e la sostanza e la passione delle loro opere. I Fasti di Somma di Candido Greco sono uno dei più bei libri di storia locale ( uso questa espressione solo per comodità ), e i numeri di Summana costituiscono un monumento storiografico.
Della rivista, per i 150 anni dell’unità d’Italia, è stato pubblicato, con il contributo dell’Amministrazione Comunale di Somma, un numero che si divide in due parti: una speciale per i 150 anni, e una ordinaria. Nella parte ordinaria Domenico Russo firma un commosso ricordo di Giorgio Mancini, intellettuale autentico, sensibilissimo ai problemi sociali del territorio, lucido nell’individuarne le cause e nel proporre concrete soluzioni. Nella parte speciale Enrico Di Lorenzo ha scritto del brigantaggio a Somma, Alessandro Masulli di fatti e personaggi dell’Ottocento sommese, Domenico Russo ha redatto una nota preliminare sul brigantaggio e sulla lotta di classe nella città di Somma.
Notevole è la conoscenza di atti e di fatti, su cui poggia il pezzo, e, per usare un’espressione di gergo, assai intenso è, nel testo, il severo odore delle carte d’archivio, che l’autore ha letto con una pazienza assoluta ricostruendo relazioni tra personaggi e intrecci di parentele, e sempre riconducendo a Somma i fili della trama.
Non condivido i principi di metodo storico enunciati in apertura, ma non posso non notare che il riferimento costante a una vasta documentazione archivistica è nello spirito della rivista: così volle il suo fondatore, il prof. Raffaele D’Avino. Antonio Bove ha scritto un notevole articolo sulla pittura post- solimenesca nelle chiese di Ottaviano e di Somma, e dunque su Angelo Mozzillo, che fu allievo di Solimena e che molte tele e affreschi dipinse nel Vesuviano interno e nel Nolano. Antonio Bove sottolinea, giustamente, l’importanza del “tondo“ di circa 8 metri di diametro, con Madonna e i Sette Santi fondatori, che Mozzillo dipinse nel 1777 e che da allora è ancorato alla base della cupola della Chiesa di San Lorenzo in Ottaviano.
Bruno Molajoli giudicò la grande tempera “uno dei complessi decorativi del ‘700 più importanti della provincia di Napoli“ : proprio sulla base di questa valutazione dopo il terremoto del 1980 il Provveditorato delle Opere Pubbliche della Campania dispose che la tela venisse smontata e restaurata a terra. L’officina di restauro venne impiantata in un vasto magazzino della fabbrica Lirsa, e qui si eseguirono lo stiraggio, la svelinatura, la pulitura e, con gessetti colorati, l’integrazione pittorica. La scarsa leggibilità delle fasce perimetrali della tempera non dipende, come ritiene il Bove, dallo “spesso strato di vernice annerita e di polvere“, quanto da un difetto costituzionale del corpo e del tono delle tempere adoperate dalla bottega del Mozzillo: me ne sono convinto osservando da vicino l’opera, dopo la meticolosa pulitura che ne fecero i restauratori.
Angelo Mozzillo era un buon pittore, che dipinse troppi quadri, ed ebbe troppi aiutanti. Ma anche a lui toccò di essere “invaso“, in alcuni momenti, dal demone della ispirazione “entusiastica“: e allora produsse alcune opere di notevole qualità . Due di queste, la “Gloria di San Felice“ e “San Michele che scaccia i diavoli“ sono conservate nella Chiesa di San Michele in Ottaviano. In entrambe il Mozzillo va oltre Solimena, e molto oltre Solimena andò in alcune scene di paesaggio “pompeiano“ che egli dipinse nelle splendide sale del Palazzo Medici. Interessante è l’articolo che Gaetano Maria Russo dedica al “Sant’ Alfonso“ custodito nella Chiesa di San Domenico a Somma.
Sul libro che fa da sfondo pittorico alla mano del Santo, splendidamente dipinta, si legge, scrive il Russo, D.M.O.R.E.L.: e questo spazza via ogni dubbio sull’attribuzione dell’opera a Domenico Morelli che, secondo Maria Elena Maimone, la dipinse tra il 1849 e il 1850: solo dal 1848 il pittore aveva incominciato a firmare i suoi quadri con “Morelli“. Nel 1848 egli ottenne il secondo posto, dietro Saverio Altamura, nel concorso per il Pensionato a Roma: il tema del concorso era l’episodio della “Gerusalemme Liberata“ in cui l’ arcangelo Gabriele appare a Goffredo di Buglione. Morelli, liberale e amico di liberali, era già controllato dalla polizia borbonica, che però lo classificò come “poco riscaldato“. E infatti non gli venne impedito di partecipare al concorso. Nei moti del 15 maggio 1848 il pittore venne ferito alla fronte, e tuttavia il 15 agosto poté presentare all’Esposizione del Real Museo Borbonico il quadro “ Vanderveld pittore fiammingo fatto prigioniero dai corsari”.
Nei “ panni “che coprono il “Sant’ Alfonso“ della chiesa sommese mi pare che ci sia lo stesso “effetto scenografico di gusto barocco“ che il Cioffi vide nei panneggi del quadro, quasi coevo, con l’Angelo e con Goffredo. Non amo molto Morelli: la sua opera è il ritratto, tecnicamente magnifico, dell’involuzione della borghesia napoletana nella seconda metà dell’Ottocento. Ne riparleremo. Ora, mi permetto di dire che il numero speciale di Summana celebra l’unità d’Italia in un modo che fa onore a Somma e alla cultura vesuviana.
(Fonte foto: Angelo Casteltrione)
LA STORIA MAGRA