WALTON ZED, MUSICA, VIDEO E SUGGESTIONI ANNI 20

Il poliedrico artista si è esibito venerdì al Cabaret Port”Alba a Napoli. Uno show multimediale tra alieni, gangster e futurismo. Il frontman sarà presto impegnato in live radiofonici in tutta Italia.

Suggestioni noir, un’allucinata ambientazione anni Venti, citazioni futuriste, un clima da gangster e musicalità venate di punk, swing e psichedelia. Sono alcune delle influenze che costellano il percorso artistico di Walton Zed. Cantante, chitarrista, ma anche artista diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, il poliedrico frontman, classe 1982, si è esibito venerdì scorso al Cabaret Port’Alba, nel centro storico della città partenopea. Un evento multimediale, durante il quale Walton, al secolo Davide Capasso, ha citato, tra gli altri, Ronald Reagan, David Bowie e Orson Welles, tutti coinvolti nel suo show affabulatore con la stessa scanzonata spudoratezza e con il piglio ironico da star che lo contraddistingue.

Il nome d’arte, Walton Zed, è ispirato al film "Bagliori nel buio", in cui il protagonista, Travis Walton, è rapito dagli alieni e rispedito dopo cinque giorni sulla terra, completamente cambiato.
E d’altronde l’ossessione degli alieni pervade anche i testi, in cui si fa riferimento a una celebre affermazione di Reagan, che il frontman ripropone al suo pubblico nel corso della serata. «Occasionalmente», ebbe a dire nell’85 il presidente americano, «penso a come le nostre differenze planetarie potrebbero facilmente dissolversi, se dovessimo affrontare una battaglia con una forza aliena esterna a questo pianeta. E ancora mi chiedo: non esiste già una minaccia aliena sopra di noi?».

Extraterrestri, ma non solo. Il leitmotiv tra musica e video, infatti, sembra essere racchiuso nel tema del proibizionismo. Un tema che è al centro di un cortometraggio, a cui Walton sta lavorando in queste settimane. Il trailer del corto, che si intitola “Delitto al Monsignor Hotel”, è stato presentato proprio nel corso del concerto al Cabaret Port’Alba. E’ lo stesso Walton a raccontarci questo progetto, a cui sta lavorando in queste settimane. «Il film», spiega, «è ambientato negli anni Venti, in piena era proibizionista. Walton contrabbanda liquori e si ritrova con una valigetta che non doveva essere lì. Uno sbirro (che ricalca un’immagine hitleriana, ndr) cerca lui e la valigetta, e intanto un boss della zona crede sia sua, ma alla fine emerge che non è di nessuno. Ognuno – dice l’artista – cerca quella che crede essere la sua valigetta con il proprio contenuto. E’ un video tutto giocato sui colpi di scena».

D’altra parte, Walton inizierà presto una serie di interventi live radiofonici in tutta Italia. Ad accompagnarlo venerdì sul palco, c’erano Yari Miguel Palladino al basso elettrico,
Davide Montagna alla batteria, Francesco Cirillo al sax. La band ha suonato pezzi inediti, tra cui Intro Mafia, Amarena, Estetica, Night Club, Camera Oscura, Non vai più via, Tutti sotto la mia macchina, Sognando L’America, fino ad un tributo a Paolo Conte con Via con me, tutti ascoltabili sul sito www.waltonzed.com. La serata, organizzata da Mauro Seraponte, si è arricchita di ulteriori ospiti, tra cui Luca Sanna from Goa Club, Roma e Andrea Gentile, DoubleDrop records, Roma. Openact a cura di Cesare Panaccione, Visual live di Barone Iannucci, foto di Alessandro Pone.
(Fonte Foto: Emma Simonetti)

RESPONSABILITÁ SOLIDALE NELLA SCUOLA

Un danno subito nella scuola spesso nasconde anche una responsabilità solidale, ma non sempre appare evidente

Spesso quando succede un fatto dannoso, specie nella scuola, si cerca di essere risarciti da chi lo ha provocato in modo diretto e si tralasciano altri soggetti che pur sono responsabili. In altri termini la responsabilità solidale di coloro che sono coinvolti nella produzione del danno non appare sempre evidente.

Il caso
D.e G , quali genitori del minore T., denunciano al Tribunale di Roma il Ministero della pubblica Istruzione ed il Comune in cui era ubicata la scuola frequentata dal figlio.
T., alunno della scuola elementare, era uscito insieme agli altri alunni in anticipo rispetto al consueto orario delle lezioni per ritornare a casa ed era stato affidato dal personale scolastico al conducente del pulmino che per conto del Comune gestiva il servizio di trasporto degli scolari.
Giunto sul posto prestabilito, il ragazzo era sceso dal mezzo ed aveva iniziato l’attraversamento della strada per raggiungere la propria abitazione. Durante l’attraversamento, era stato investito da un’auto condotta da C.. e di sua proprietà, riportando lesioni gravissime.

I genitori di T. denunciarono l’automobilista C. e la società di assicurazione del veicolo dallo stesso condotto. La Corte di Appello di Roma con sentenza emessa in data 8 luglio 1987, aveva ritenuto che la responsabilità del sinistro dovesse ascriversi al C. solo per il 50%, con pari concorso di colpa della vittima, il minore T.,condannando, per l’effetto, il C. e la compagnia di assicurazione al risarcimento della metà dei danni.
I genitori chiedono quindi il restante 50 per cento (pagato dall’assicurazione di C.) al Comune e al Ministero della P.I., la cui colpa consisterebbe nel non aver preso adeguate misure di vigilanza per evitare il fatto.

Sostengono i genitori infatti, che il ministero ed il comune sarebbero debitori solidali con la compagnia di assicurazioni e C. Il Ministero e la scuola, quindi, chiamati a rispondere quale condebitori solidali in relazione al medesimo fatto generatore del danno, sostengono che il danno, per metà, deve restare a carico della vittima, T. senza possibilità di rivalsa nei confronti degli altri condebitori.
La difesa di T. invece sostiene che sia possibile chiamare in giudizio il Ministero, per determinare la sua parte di responsabilità nell’accaduto, fermo restando che T. rimarrà sempre responsabile per il cinquanta per cento.
La questione è sottoposta al giudizio della Cassazione che dà ragione alla difesa di T. (Cass. cvile, SS.UU, sentenza 15 luglio 2009, n. 16503)

La Corte stabilisce che:
1. la sentenza emessa nei confronti di C. aveva stabilito solo la misura della sua responsabilità, e non anche la misura della responsabilità degli altri soggetti;
2. stabilendo che C. era responsabile al 50 per cento la sentenza aveva solo determinato il concorso della colpa del minore, T., nel prodursi dell’evento, e non anche la misura della responsabilità del comune e del Ministero.
3. Di conseguenza è possibile chiamare in giudizio gli ulteriori corresponsabili, non essendo stata emanata nessuna sentenza nei loro confronti,

Scrive la Corte, richiamando una sua precedente giurisprudenza:
Per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti l’art. 2055, comma 1, c.c. richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale e extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27713; Cass. 14 gennaio 1996, n. 418).

LA SOMMOSSA DI SOMMA IN NOME DELLA CATALANESCA

Anno di Grazia 1913: a Napoli c”era la fame più nera e si pensò di far pagare dazio anche all”uva catalanesca e al vino che se ne produceva. Fu rivolta popolare! Di Carmine CimminoRinviando ad altro articolo l’esame delle carte con cui il catalanesca è stato inserito tra i vini a “indicazione geografica tipica“, raccontiamo un clamoroso episodio di “sedizione“ di cui i Sommesi furono protagonisti, in nome della catalanesca, nei primi giorni di febbraio del 1913. Per tutto l’Ottocento l’uva tardiva e il vino che se ne produceva, da sempre strettamente collegati al nome e alla storia di Somma Vesuviana, godettero di buona fama.

I termini di questa fama vennero codificati da Vincenzo Semmola nella relazione sui vitigni e sui vini vesuviani, che egli lesse ai membri del Reale Istituto di Incoraggiamento nella tornata del 3 febbraio 1848: l’uva catalanesca, da sola, dopo essere stata asciugata al sole per qualche giorno, produce un vino squisitissimo, e unita al greco, vi mette forza e sapore . Bisogna dire che Semmola indicava come “greco di Somma” il vino “che da Portici a Bosco chiamano lacrima bianca “e che si otteneva dalla “mistura delle uve bianche della seconda e terza zona del Somma-Vesuvio“, e cioè della fascia montana che dai 500 metri sale fino al Poggio del Salvatore.

Se Vincenzo Semmola sottolineò la “squisitezza“ del catalanesca, Francesco Briganti e Guglielmo Gasparini sostennero senza mezzi termini che il vino, pur “gustoso“, avesse troppo debole corpo, e che questo difetto di nerbo non fosse rimediabile. Nel 1851 i vigneti campani subirono il terribile attacco di una muffa parassita che il micologo Berkeley chiamò oidium Tuckeri. Le vigne di “moscadella“ e di “sanginella“ vennero devastate, mentre la catalanesca e la corniola, uve bianche “a fiocina tenace“ resistettero vittoriosamente all’insidioso nemico. Questa resistenza spinse molti vignaioli a ricostruire i vigneti con viti di catalanesca, tanto che la produzione del 1870 risultò quasi raddoppiata rispetto a quella del 1848.

Il successo venne favorito anche dalla buona riuscita dell’opera di irrobustimento del vino, a cui misero mano, con nuove tecniche di lavorazione, i produttori di Somma, di Pollena e di Massa, e da una certa evoluzione del gusto, che, a partire dal 1880, indusse i ristoratori di Portici, di Ercolano, di San Giorgio a Cremano, a proporre il catalanesca sulle fritture e sulle parmigiane. Oltre che all’uva, da tempo consacrata come squisitezza natalizia, fecero pubblicità anche al vino i nobili e i borghesi napoletani che tenevano palazzi, masserie e case di campagna in Somma, e casine per i bagni lungo il Miglio d’Oro. Nel 1910 la produzione e il commercio del vino costituivano la più importante attività economica di Somma, e la “trafica“ delle “vendemmie“ più preziose era in mano a Luigi Sersale, mediatore di Sant’Anastasia, e a Francesco Formicola e a Giovanni Principe, sensali di Portici.

Il 1913 fu un anno agitatissimo. L’esercito italiano incontrava impreviste, durissime difficoltà nel piegare la resistenza delle tribù della Cirenaica; i Balcani erano in ebollizione, Bulgari, Serbi, Turchi, Rumeni e Greci spezzavano a colpi di sciabola tutte le trame di tregua e di pace tessute dalle cancellerie di Parigi e di Londra, e l’Austria e la Germania procedevano baldanzose per la strada che avrebbe portato al conflitto mondiale. In Italia la crisi economica innescò dal Nord al Sud scioperi locali, uno sciopero generale e veri e propri moti di piazza: il più grave dei quali, il 5 e il 6 agosto, trasformò Milano in “un campo di battaglia“. A Napoli la miseria era così nera che l’on. Aliberti aprì, nella sezione Mercato, la “casa del pane“, in cui i “poveri e onesti disoccupati“ ricevevano ogni giorno un pezzo di “pane gratuito, per sé e per i miseri figli“.

Questa “casa“ venne aperta anche grazie alle 10.000 lire donate dal cav. Egidio Perrotti Gamba, che aveva fatto fortuna in Brasile ed era, ricordavano i manifesti, sincero amico dell’onorevole. Alla fine di gennaio venne adottato un decreto-catenaccio che allargava la cinta daziaria di Napoli e allungava la lista dei prodotti gravati dal dazio: in questa lista vennero inseriti anche l’uva catalanesca e il vino catalanesca, sia in bottiglia che in botte. La sera del 3 febbraio almeno mille sommesi irruppero nella Casa Comunale e costrinsero il sindaco a “telegrafare al deputato del collegio“; poi tornarono in strada ad abbattere i pali del telegrafo e a fracassare tutti i fanali della pubblica illuminazione. Il giorno dopo, una folla ancora più grossa e minacciosa bloccò con tronchi e con massi la linea ferroviaria, e quando arrivò in stazione il treno della Vesuviana, i rivoltosi lo presero d’assalto e costrinsero il macchinista a riportare il convoglio a Ottajano.

Vennero malmenati gli operai della Società del Serino, che si erano rifiutati di partecipare al “tumulto”. Che continuò nei giorni seguenti, e non riuscirono a placarlo nemmeno i drappelli di carabinieri inviati da tutte le caserme del territorio. Durante gli scontri alcuni carabinieri vennero feriti, e uno di essi, gravemente, da una coltellata alla gola. Le acque si calmarono solo quando i politici fecero, scrive il cronista del Mattino, “le laute promesse onde le autorità sogliono fare sfoggio in casi somiglianti“. Intanto, 79 sommesi erano stati tratti in arresto. Di essi, vennero rinviati a processo, per resistenza violenta alle forze dell’ordine e per “attentato alla sicurezza dei mezzi di trasporto e alla libertà di lavoro“, solo 5 contadini, Matteo De Monte, Vincenzo e Antonio Annunziata, difesi dagli avvocati Augusto De Martino e Gennaro Marciano, e Nicola Sorrentino e Giuseppe Polise, a cui l’ on. Gargiulo offrì lo scudo della sua eloquenza.

Ma il giudice fu severo: agli inizi di luglio condannò tutti al carcere, da 5 a 14 mesi, e il Polise, che aveva malmenato gli operai della Società del Serino, anche a una multa di 400 lire: per un contadino, il salario di un anno. O quasi. Le autorità avviarono con prevedibile lentezza il procedimento per togliere dalla lista nera almeno il vino: ma la Grande Guerra cambiò drammaticamente agenda e attori.
(Foto: Immagine di un pastello di Mario Borgoni, "Settembrina")

L’OFFICINA DEI SENSI

IL CIRCO DELLA POLITICA IGNORA I GRAVI PROBLEMI

0
È troppo evidente il contrasto tra la politica nazionale e la serietà dei problemi, nostri e internazionali. Eppure, i grossi temi non mancano, come ha ricordato il cardinale Bagnasco. Di Don Aniello Tortora

Nell’ultimo incontro del Consiglio permanente della CEI , (Roma, 28 – 31 marzo 2011)
nella sua Prolusione, il Cardinale Bagnasco ha toccato, come suo solito, temi di grandissima attualità. Ne ripercorro alcuni.
Il Giappone innanzitutto. Ha esordito dicendo: ”Nell’ora più grave, i giapponesi hanno dato al mondo una lezione formidabile di compostezza, determinazione e solidità. È quella che, con espressione efficace, è stata definita «la disciplina del dolore». Dolore che comunque siamo chiamati ad alleviare con i mezzi in nostro possesso lo faremo; sicuri come siamo che ogni italiano avverte il Giappone vicinissimo oggi al proprio cuore. A fronte di un simile cataclisma, dovremmo riscoprire tutti il senso della nostra costitutiva finitezza, della intrinseca fragilità delle cose, e quindi sentirci più umili, più vicini, più solidali”.

Ancora una volta, come già nelle passate prolusioni, il presidente della Conferenza episcopale italiana ha ripreso, poi, la riflessione sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E così ha detto:

”È noto come la nostra Conferenza abbia voluto per tempo esprimere la convinta e responsabile partecipazione della comunità ecclesiale all’evento del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, e ciò in spirito di leale collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese tutto. Un auspicio vorremmo esprimere per il tempo che ora si apre. E riguarda quel sentimento di consapevole solidarietà che non può non legare tra loro anzitutto i cittadini della stessa nazione. Siamo preoccupati per ciò che sta producendo quell’idea di individualismo secondo cui il singolo si sente come chi non deve nulla ad alcuno e non ha relazioni impegnative verso gli altri, quasi fosse senza genealogia e non sentisse alcuna responsabilità generativa verso il domani”.

“Per quanto si tenti anche con sforzo culturale onesto di riscattarlo, l’individualismo odierno − una volta entrato in commistione con la spinta narcisistica − non può non contorcersi in una versione anti-sociale. Se vuole un suo domani, l’Italia non può non battersi per fronteggiare le derive dell’individualismo più esasperato e radicale, come non può affidarsi solamente alle relazioni di solidarietà e fecondità riscontrabili, per fortuna, tra gli immigrati”.

Nel suo discorso introduttivo al Consiglio permanente di marzo Bagnasco ha rivolto, in seguito, il suo sguardo al problema più drammatico attuale: la Libia e i Paesi nord-africani. Ha così affermato:

”Molte delle comuni preoccupazioni, in questi ultimi mesi, sono state assorbite dai fatti che stanno interessando i Paesi del Nordafrica. In sostanza, tutti i Paesi situati sulla costa africana del Mediterraneo, non escluso il Marocco, sono stati in un modo o nell’altro toccati quando non sconvolti da moti insurrezionali popolari, che hanno prodotto esiti per ogni situazione diversi, e comunque tuttora provvisori, perché suscettibili di evoluzioni imprevedibili come il caso libico drammaticamente dimostra. Nel frattempo, di evidente ed indubitabile c’è a tutt’oggi il patire di tanta povera gente! E non ci si può non rammaricare per il ricorso alla forza che, contrapponendo tra loro i figli poveri di uno stesso popolo e di uno stesso continente, provoca dolore più grande e lutti – se possibile – ancora più drammatici”.

“L’invocato e improvviso intervento internazionale − ideato sotto l’egida dell’Onu e condotto con il coinvolgimento della Nato − ha fatto sorgere interrogativi e tensioni. Ci uniamo alle accorate parole che il Santo Padre in più occasioni ha espresso di solidarietà a quelle popolazioni e di auspicio per un immediato superamento della fase cruenta: ad intervento ampiamente avviato, auspichiamo che si fermino le armi, e che venga preservata soprattutto l’incolumità e la sicurezza dei cittadini garantendo l’accesso agli indispensabili soccorsi umanitari, in un quadro di giustizia. Noi crediamo che la strada della diplomazia sia la via giusta e possibile, forse tuttora desiderata dalle parti in causa, premessa e condizione per individuare una “via africana” verso il futuro invocato soprattutto dai giovani”.

Concludendo questo drammatico capitolo, il cardinale ha richiamato tutti all’accoglienza e alla solidarietà, affermando che l’Italia, insieme all’intera Europa, è “chiamata a passare – come giustamente si è detto – da una «partnership della convenienza» a quella della «convivenza»”. Infine ha lanciato un appello per Lampedusa: “Nell’esprimere cordiale ammirazione per la generosità e il senso dell’accoglienza che da sempre contraddistingue la popolazione lampedusana, chiediamo ai Responsabili un ulteriore sforzo perché, avvalendosi di tutti gli strumenti anche comunitari, si dia sollievo all’isola e ai suoi abitanti. Non devono infatti sentirsi soli”.

Passando poi a riflettere sull’Italia il cardinale ha ricordato come “l’Italia ha un estremo bisogno di ricomporsi” e ha riportato alcuni “dati per quanto possibile semplici e netti. Anche da soli, sono eloquenti: sulla disoccupazione specialmente giovanile e femminile, sul differenziale tra Nord e Sud d’Italia, sulla produttività, sull’imposizione e sull’evasione fiscale, sulla corruzione e sull’amministrazione della giustizia, sull’insicurezza del territorio e sul fabbisogno energetico”… Per risolvere questi problemi Bagnasco ha affermato con forza che ”più che di scomuniche reciproche, la collettività ha bisogno di una seria dialettica, che esalti i ruoli a ciascuno affidati dal cittadino-elettore” e di una “vita elevata a creazione sociale, dunque a orizzonte di cultura, di bellezza, di arte”.

Certo, davanti allo spettacolo da circo equestre dei nostri parlamentari di questi giorni qualche interrogativo sorge spontaneo. Abbiamo una classe politica talmente scadente che mi viene voglia di mandare tutti a… casa. Ma, qualche responsabilità, è pure nostra.
(Fonte foto: Rete Internet)

LA RUBRICA

IL RISORGIMENTO VISTO DA MICHELE CAMMARANO, PITTORE SOLDATO, PENNELLO NAPOLETANO

0
Un viaggio attraverso l”attività di uno dei più celebri pittori del Risorgimento italiano, il napoletano Michele Cammarano che sposò appieno la causa patriottica nella vita e nell”attività artistica.

Quando il vorticoso vento liberale europeo iniziò a soffiare verso la penisola italiana si innescò un cambiamento epocale per la “nave sanza nocchiere in gran tempesta”, come Dante aveva abilmente apostrofato la nostra terra, da secoli preda delle mire di tutto l’Occidente. E con la maturazione delle condizioni ideali per la formazione di uno Stato nazionale e sovrano, anche l’ Italia giunse, attraverso tre sanguinose Guerre d’indipendenza , alla creazione del Regno d’Italia (14marzo 1861).

La vicenda risorgimentale ebbe ovviamente una gestazione lunga e sofferta, macchiata dal sangue di migliaia di patrioti immolatisi per un ideale condiviso. Poeti, intellettuali ed artisti abbracciarono la causa comune, promuovendo la crescita e la maturazione di un sentimento nazionale finora soffocato dal dominio austriaco. Un progetto agognato da intellettuali come Giuseppe Mazzini e Massimo d’Azeglio, orchestrato dalla regia di lungimiranti uomini politici come Camillo Benso, conte di Cavour e messo in essere da fieri condottieri come Giuseppe Garibaldi e che concretizzava l’esortazione machiavelliana di “pigliar l’Italia e liberarla dalle mani dei barbari”.
Sono questi gli anni in cui l’Italia ha visto la fioritura del romanzo storico, che attraverso reminiscenze di un passato remoto, assumeva le tinte di una cronaca feroce contro l’oppressione, spronando alla resistenza e alla lotta contro lo straniero.

È questo il denso panorama che abbraccia e si svolge anche attraverso la pittura del tempo, non meno “impegnata” rispetto alla prosa nella celebrazione di antiche virtù italiche, un passato che si fa vivida metafora di affinità con il diffuso sentimento patriottico italiano; ecco, quindi, accanto al maestro incontrastato dell’Ottocento italiano, Francesco Hayez, “capo della Pittura Storica che il pensiero Nazionale reclamava”, come scrisse di lui Mazzini, una nuova generazione di “pittori soldati”, lucidi testimoni oculari di quei tragici momenti di sanguinosa reazione all’oppressore, provenienti dalle zone allora più avanzate del paese – Lombardia, Toscana, Napoli – come Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Federico Faruffini e il “nostro” Michele Cammarano (Napoli 1835-1920).

Il napoletano, inizialmente iniziato alla pittura all’accademia di Napoli, dove entrò poco meno che ventenne e dove fu allievo dello Smargiassi, trovò decisivo indirizzamento attraverso lo schietto naturalismo della scuola di Posillipo, felice parentesi della pittura partenopea improntata al rinnovamento della tradizione accademica e del vedutismo di stampo neoclassico che attingeva dalla geografia campana un vasto repertorio di immagini.

Amico di Bernardo Celentano e di Domenico Morelli, si recò con loro a Firenze nel 1861 per la prima esposizione nazionale italiana e poté cosi conoscere i macchiaioli del caffè Michelangelo con la loro proposta innovatrice della macchia in opposizione alla forma; di certo, il giovane Cammarano restò positivamente impressionato dalla lezione della pittura fiorentina che ricostruiva la realtà per masse grevi di colore (d’altro canto l’attenzione alle vicende artistiche contemporanee è confermata dal viaggio che nel marzo del 1870 lo porterà a Parigi, dove si recherà per conoscere il realismo di Courbet e dove rimarrà profondamente conquistato dalle opere dei “dioscuri” del Romanticismo Gericault e Delacroix). Ma sono questi, soprattutto, gli anni di una militanza patriottica attiva che terrà impegnato il pittore almeno per un decennio: anni in cui compie esperienze umane e professionali decisive per la sua formazione, come l’appassionata e sincera adesione alle campagne garibaldine.

Michele Cammarano diventa acuto testimone di quegli eventi, attraverso una pittura esatta e fedele, capace di coniugare la strenua caparbietà e la forza dei martiri della patria con un’attenzione al pathos e al dramma dei risvolti umani di quelle pagine di storia. Patriota nel quotidiano, soldato pittore lo fu anche quando, deposti moschetto e spada, impugnò il pennello per rendere vivacemente la tragedia della guerra e, fuggendo da sterili pleonasmi, fotografò la cronaca degli eventi, soprattutto evidenziando, senza futile retorica, la forza onorevole del sacrificio, quasi svelando uno strato di dissimulata tristezza per il sangue versato, male necessario per amor di patria. Capolavoro assoluto dell’artista napoletano, La Carica dei Bersaglieri alle mura di Roma, il cui titolo originale era Savoia, Savoia! (foto), fu realizzata nel 1871 e raffigura l’assalto delle truppe nazionali durante la conquista di Roma avvenuta il 20 settembre di quell’anno.

Tripudio di carne e polvere, l’inarrestabile avanzata dei militari sembra coinvolgere l’osservatore che, nonostante sia quasi travolto dalla veemenza visiva della marcia trionfante, non può non immedesimarsi nel gorgo umano che sopravanza, sentendosi rapire da fremito patriottico.

Adottando una posa suggerita dalla conoscenza delle nuove conquiste fotografiche, Cammarano sperimenta una soluzione ardita e innovativa nel suo genere, prediligendo infatti la visione frontale per focalizzare la carica dei bersaglieri, piuttosto che ricorrere alla tradizionale scena bellica con i due eserciti schierati e pronti alla battaglia: il massimo di carica emotiva e pittorica per rappresentare la foga durante la carica di assalto, finalizzata alla presa di Roma.
(Fonte foto: Rete Internet)

DISCARICHE ABUSIVE. 1186 SOLO IN PROVINCIA DI NAPOLI: SANGUE E LATTE INQUINATI

0
Da un”indagine tenuta nascosta dalla Regione Campania è emerso quello che già sapevamo: sangue, latte e acqua sono stati inquinati dai rifiuti della camorra. Le istituzioni “distratte”. Di Amato Lamberti

Che la regione Campania, in particolare per quanto riguarda le province di Napoli e Caserta, fosse una terra avvelenata dallo sversamento e dall’interramento di rifiuti tossici,i cittadini napoletani e casertani lo sapevano e lo sanno benissimo, perché pagano da anni questa situazione sulla propria pelle. Non c’era bisogno del servizio del settimanale L’Espresso sui risultati dell’indagine Sebiorec, tenuti rigorosamente segreti dalla Regione Campania, per sapere che i livelli di inquinamento di alcune aree della regione sono tanto elevati da destare serie preoccupazioni e da imporre interventi di bonifica ambientale rigorosi ed urgenti.

Alcuni dati vanno però approfonditi, sia per quanto riguarda l’indagine Sebiorec, sia per quanto riguarda la ricerca che l’ha preceduta, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e realizzata dal Consiglio Nazionale della Ricerca. Tale indagine ha infatti consentito di individuare le aree della regione a maggiore rischio per l’ambiente e la salute. Sono così stati individuate, come fortemente inquinate, le aree dei Comuni di Acerra, Aversa, Caivano, Castelvolturno, Giugliano in Campania, Marcianise, Napoli-Pianura, Villa Literno. Mediamente inquinate, ma sempre in modo significativo, le aree dei Comuni di Maddaloni, Nola, Qualiano, Villaricca. Poco inquinate, ma con valori superiori alla media, le aree dei Comuni di Brusciano, Casapesenna, Frattamaggiore, Mugnano di Napoli.

Il dato più interessante è che si è accertato che i livelli di inquinamento dipendono dai rifiuti, e in particolare dallo sversamento e dall’interramento abusivi di rifiuti, con una forte componente di rifiuti tossici e nocivi. Tanto per dare una idea delle dimensioni del fenomeno dello sversamento abusivo, nella regione Campania sono state censite 5200 discariche abusive, di cui 1186 in provincia di Napoli. Un dato parziale perché non tiene conto di tutti i rifiuti tossici seppelliti abusivamente in terreni che poi sono stati utilizzati per coltivazioni o per l’allevamento di bufale. L’indagine Sebiorec, non è una indagine sulla salute dei cittadini delle aree inquinate, come è stato scritto da molti giornali, ma una indagine sull’esposizione a contaminanti pericolosi la cui presenza è stata riconosciuta nell’ambiente.

In altre parole, la presenza di diossine nelle carni, nei grassi, nei formaggi, nelle mozzarelle, nel latte, nelle uova, così come la presenza di arsenico nell’acqua e di metalli pesanti nelle verdure, nella frutta, nei legumi, era già stata accertata. L’indagine Sebiorec, che è stata coordinata dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, con la collaborazione dell’Osservatorio epidemiologico della Campania, del Registro Tumori, delle ASL Na1, Na2, Na3, Na4, Caserta1, Caserta2, ha avuto lo scopo di verificare le conseguenze sugli organismi umani dell’esposizione a diossine e altri metalli presenti nell’ambiente di vita. Tale accertamento è stato realizzato attraverso due indagini congiunte:

-la misurazione della concentrazione nel sangue e nel latte materno;
-l’esame delle abitudini e dello stile di vita degli individui campionati, che sono stati 780 per quanto riguarda i prelievi di sangue e 50 per quanto riguarda il prelievo di latte materno.

I risultati completi non si conoscono ancora, ma alcune anticipazioni sono comunque significative. Ad esempio, a Villaricca e Qualiano, nell’acqua, come nel sangue e nel latte materno, è molto alta la concentrazione di arsenico, che è presente in modo significativo anche a Caivano e Brusciano. A Giugliano, nell’acqua, come nel sangue, è molto alta la presenza di mercurio. A Nola, invece, alta è la concentrazione di Pcb, sostanza tossica, simile alla diossina, dichiarata cancerogena. A Pianura, che è l’unico quartiere di Napoli preso in esame, proprio per la presenza di discariche autorizzate e abusive, elevata è la presenza di diossine nel sangue e nel latte.

Le diossine sono state comunque rilevate sull’intero territorio ma sarebbe necessaria una indagine specifica, perché esse si accumulano nei tessuti molli e nel grasso, più che nel sangue. Alcuni dati danno però delle indicazioni estremamente importanti. Ad esempio, la mortalità per neoplasie nelle aree vicino alle discariche, nel casertano, sarebbe superiore dell’80% rispetto alla media regionale. Nel 2009 sono stati mille gli interventi di mastectomia, la ricostruzione del seno colpito da neoplasia. Per il cancro al testicolo, secondo il dott. Mario Fusco, che gestisce il Registro Tumori della ASLNa4, è già possibile individuare una correlazione tra l’incidenza della neoplasia e le classi a rischio per l’esposizione a discariche di rifiuti, con 17.300 nuovi casi in 8 anni (1997-2005).

Infine, secondo il dott. Ernesto Burgio, del Comitato scientifico dell’ISDE, in Campania, un bambino su 500 si ammala di neoplasia. Una situazione talmente preoccupante da meritare non solo una indagine specifica, ma l’attivazione di un monitoraggio puntuale su tutto il territorio regionale, e in particolare nelle aree inquinate dalle discariche abusive. L’impressione è che le diossine stanno avvelenando lentamente la popolazione sotto l’occhio distratto delle Istituzioni.
(Fonte foto: Rete Internet)

LA RUBRICA

LA STORIA LOCALE DELLA STORIA D”ITALIA

Poche città sono fiere della propria storia quanto lo è Somma Vesuviana, che custodisce i documenti del suo passato con orgoglio e amore. “Summana” fa onore alla cultura vesuviana. Di Carmine Cimmino

Mi auguro che qualcuno stia raccogliendo il materiale per scrivere la storia delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità nazionale. L’occasione ha prodotto di tutto: scene emozionanti, commemorazioni suggestive, le grottesche polemiche leghiste, convegni di storici autentici e di storici improvvisati, vuoti di memoria, pieni di ignoranza, carnevalate ridicole. Ma veniamo a noi.

Fino ad oggi l’ Amministrazione Comunale di Ottaviano non ha ancora celebrato gli Ottajanesi che combatterono sul Volturno e a Gaeta, e non ha ancora ricordato il ruolo che Giuseppe IV Medici, principe di Ottajano, svolse nell’autunno del 1860 per garantire un tranquillo traghettamento dell’alta burocrazia napoletana dalla bandiera borbonica a quella piemontese. Le officine di questo lavoro diplomatico furono il palazzo Miranda Medici di via Chiaia, e il Palazzo Medici in Ottajano, mete, tra l’ottobre e il dicembre di quell’anno fatale, di un fitto movimento di diplomatici piemontesi, di generali ex borbonici, di figli di generali borbonici rimasti accanto a Francesco II, di “consorti“ tornati in pompa magna da Torino, a portare libertà, unità, ecc.ecc.

Non si sa se l’Amministrazione Comunale voglia ricordare tutto questo, o se ritenga che non sia il caso; qualcuno insinua che gli amministratori della mia città vorrebbero ricordare e celebrare, ma non sanno chi, e non sanno come, e non sanno perché. Ma sono solo supposizioni maligne dei maligni di professione. Se gli amministratori si trovassero veramente in difficoltà – ma è certo che non lo sono -, potrebbero procurarsi agevolmente i libri del mio amico Gino Iroso, in cui è scritto tutto quello che serve.

Poche città sono fiere della propria storia quanto lo è Somma Vesuviana, e nessuna città del Vesuviano ha custodito i documenti del suo passato con l’orgoglio e con l’ amore che i Sommesi provano per le vicende e per luoghi riti e tradizioni della loro terra. Di questo amore e di questo orgoglio sono testimoni il notevole numero di studiosi notevoli e la sostanza e la passione delle loro opere. I Fasti di Somma di Candido Greco sono uno dei più bei libri di storia locale ( uso questa espressione solo per comodità), e i numeri di Summana costituiscono un monumento storiografico.

Della rivista, per i 150 anni dell’unità d’Italia, è stato pubblicato, con il contributo dell’Amministrazione Comunale di Somma, un numero che si divide in due parti: una speciale per i 150 anni, e una ordinaria. Nella parte ordinaria Domenico Russo firma un commosso ricordo di Giorgio Mancini, intellettuale autentico, sensibilissimo ai problemi sociali del territorio, lucido nell’individuarne le cause e nel proporre concrete soluzioni. Nella parte speciale Enrico Di Lorenzo ha scritto del brigantaggio a Somma, Alessandro Masulli di fatti e personaggi dell’Ottocento sommese, Domenico Russo ha redatto una nota preliminare sul brigantaggio e sulla lotta di classe nella città di Somma.

Notevole è la conoscenza di atti e di fatti, su cui poggia il pezzo, e, per usare un’espressione di gergo, assai intenso è, nel testo, il severo odore delle carte d’archivio, che l’autore ha letto con una pazienza assoluta ricostruendo relazioni tra personaggi e intrecci di parentele, e sempre riconducendo a Somma i fili della trama.

Non condivido i principi di metodo storico enunciati in apertura, ma non posso non notare che il riferimento costante a una vasta documentazione archivistica è nello spirito della rivista: così volle il suo fondatore, il prof. Raffaele D’Avino. Antonio Bove ha scritto un notevole articolo sulla pittura post- solimenesca nelle chiese di Ottaviano e di Somma, e dunque su Angelo Mozzillo, che fu allievo di Solimena e che molte tele e affreschi dipinse nel Vesuviano interno e nel Nolano. Antonio Bove sottolinea, giustamente, l’importanza del “tondo“ di circa 8 metri di diametro, con Madonna e i Sette Santi fondatori, che Mozzillo dipinse nel 1777 e che da allora è ancorato alla base della cupola della Chiesa di San Lorenzo in Ottaviano.

Bruno Molajoli giudicò la grande tempera “uno dei complessi decorativi del ‘700 più importanti della provincia di Napoli“ : proprio sulla base di questa valutazione dopo il terremoto del 1980 il Provveditorato delle Opere Pubbliche della Campania dispose che la tela venisse smontata e restaurata a terra. L’officina di restauro venne impiantata in un vasto magazzino della fabbrica Lirsa, e qui si eseguirono lo stiraggio, la svelinatura, la pulitura e, con gessetti colorati, l’integrazione pittorica. La scarsa leggibilità delle fasce perimetrali della tempera non dipende, come ritiene il Bove, dallo “spesso strato di vernice annerita e di polvere“, quanto da un difetto costituzionale del corpo e del tono delle tempere adoperate dalla bottega del Mozzillo: me ne sono convinto osservando da vicino l’opera, dopo la meticolosa pulitura che ne fecero i restauratori.

Angelo Mozzillo era un buon pittore, che dipinse troppi quadri, ed ebbe troppi aiutanti. Ma anche a lui toccò di essere “invaso“, in alcuni momenti, dal demone della ispirazione “entusiastica“: e allora produsse alcune opere di notevole qualità. Due di queste, la “Gloria di San Felice“ e “San Michele che scaccia i diavoli“ sono conservate nella Chiesa di San Michele in Ottaviano. In entrambe il Mozzillo va oltre Solimena, e molto oltre Solimena andò in alcune scene di paesaggio “pompeiano“ che egli dipinse nelle splendide sale del Palazzo Medici. Interessante è l’articolo che Gaetano Maria Russo dedica al “Sant’ Alfonso“ custodito nella Chiesa di San Domenico a Somma.

Sul libro che fa da sfondo pittorico alla mano del Santo, splendidamente dipinta, si legge, scrive il Russo, D.M.O.R.E.L.: e questo spazza via ogni dubbio sull’attribuzione dell’opera a Domenico Morelli che, secondo Maria Elena Maimone, la dipinse tra il 1849 e il 1850: solo dal 1848 il pittore aveva incominciato a firmare i suoi quadri con “Morelli“. Nel 1848 egli ottenne il secondo posto, dietro Saverio Altamura, nel concorso per il Pensionato a Roma: il tema del concorso era l’episodio della “Gerusalemme Liberata“ in cui l’ arcangelo Gabriele appare a Goffredo di Buglione. Morelli, liberale e amico di liberali, era già controllato dalla polizia borbonica, che però lo classificò come “poco riscaldato“. E infatti non gli venne impedito di partecipare al concorso. Nei moti del 15 maggio 1848 il pittore venne ferito alla fronte, e tuttavia il 15 agosto poté presentare all’Esposizione del Real Museo Borbonico il quadro “ Vanderveld pittore fiammingo fatto prigioniero dai corsari”.

Nei “ panni “che coprono il “Sant’ Alfonso“ della chiesa sommese mi pare che ci sia lo stesso “effetto scenografico di gusto barocco“ che il Cioffi vide nei panneggi del quadro, quasi coevo, con l’Angelo e con Goffredo. Non amo molto Morelli: la sua opera è il ritratto, tecnicamente magnifico, dell’involuzione della borghesia napoletana nella seconda metà dell’Ottocento. Ne riparleremo. Ora, mi permetto di dire che il numero speciale di Summana celebra l’unità d’Italia in un modo che fa onore a Somma e alla cultura vesuviana.
(Fonte foto: Angelo Casteltrione)

LA STORIA MAGRA

GLI STUDENTI DELL’ISTITUTO “G. MAZZINI” SIEDONO ALLA SCRIVANIA DELLA LEGALITÁ

Prosegue il percorso di apprendimento della legalità dalla pratica dei servizi organizzato dai docenti del Liceo “Mazzini” di Napoli e che prevede uscite sul territorio, alternate con incontri di approfondimento a scuola. Di Annamaria Franzoni.

Il progetto, “LE(g)ALI AL SUD: UN PROGETTO PER LA LEGALITÀ IN OGNI SCUOLA", nato per sensibilizzare i giovani al rispetto dei valori in cui i magistrati Falcone e Borsellino hanno creduto, coordinato dal Preside Pasquale Malva, ideato dai proff. Gianfranco Tescione e Maria Luisa Nolli è stato inaugurato e introdotto, il giorno 11 marzo, dalla dott.ssa Linda D’Ancona, Consigliere della Corte di Appello di Roma, sezione Lavoro, dalla dott.ssa Giuliana Visciola, Dirigente delle Politiche Sociali del Comune di Napoli e dal vicepresidente della Municipalità Vomero – Arenella, dott. Giuseppe Crosio, propone un costruttivo confronto tra giovani adolescenti e e le strutture pubbliche.

Martedì 22 Marzo 2011 un gruppo di studenti , accompagnati dai docenti referenti del Progetto, sono stati ricevuti dalla FAI – Federazione delle Associazioni Antiracket e Antiusura Italiana di Corso Umberto I, 22 a Napoli. L’incontro presso la sede dell’associazione antiracket, presieduta da Tano Grasso, ha consentito infatti ai giovani di ricevere informazioni sulle attività di intervento e difesa contro la piaga dell’usura. La situazione nella nostra città e nella nostra regione si presenta notevolmente complessa e un respiro di sollievo potrebbe derivare da una recente delibera, approvata il 7 febbraio che prevede lo stanziamento di centomila euro in bilancio il Comune e che ridurrà nel concreto i tributi ai commercianti che denunceranno le estorsioni subite e contrastando i fenomeni ritorsivi ai danni delle piccole imprese della città.

Numerose sono le imprese che vivono sotto il ricatto dell’estorsione e che non riescono ad accedere ai mutui per le condizioni restrittive richieste dalle banche e quindi penetrano nel buco nero dell’usura, aumentando i fallimenti nel corso dell’ultimo anno: dal 2004 alla fine del 2009 a Napoli ci sono stati 102 procedimenti penali, 839 imputati di cui 324 condannati con 2.213 anni di reclusione. Circa sette anni di reclusione in media sono stati assegnati agli emissari del racket, 53 sentenze di primo grado (dati dal sito www.antiracket.it). Nel solo capoluogo potrebbero essere circa 250 le imprese interessate dal provvedimento comunale.

L’incontro presso la sede della citata associazione è risultato stimolante e arricchente: i ragazzi, con le proprie curiosità e con le loro riflessioni portano freschezza anche nei luoghi difficili all’interno dei quali siamo riusciti a farci raccontare storie, e a raccontarne. Dopo il Centro antiracket seguiranno altre uscite sul territorio, in particolare la prossima settima settimana vedrà impegnati i nostri giovani al Centro Antiviolenza presso il Centro Donna del Comune di Napoli a Via Parco Carelli 8/c Posillipo, Napoli, per affrontare un’altra complessa tematica su cui il progetto ha fondato i propri obiettivi di cittadinanza attiva e consapevole dei nostri giovani impegnati in questo percorso.

LA RUBRICA

LE FONTI D”ENERGIA – L’INCENTIVO AGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI

5° appuntamento con le Fonti di energia. In questo articolo è illustrato l”incentivo che lo Stato eroga per favorire la costruzione degli impianti fotovoltaici.

Produrre energia elettrica dal sole comporta costi superiori rispetto ad altri mezzi di produzione. Per ovviare a tale maggiore costo, lo Stato ha introdotto incentivi per favorire l’installazione d’impianti fotovoltaici attraverso il cosiddetto “conto energia”, conto che ha subito, in questi anni, varie e successive modifiche.

Nell’approfondimento è esposto in dettaglio il caso di un impianto di tipo domestico, con la valutazione dei costi di costruzione e manutenzione e relativi ricavi.


L’APPROFONDIMENTO   

ARTICOLO CORRELATO

“IO, IN FUGA DALL’ITALIA, DA LAVAPIATTI AD ASSISTENTE DI KUBRICK”

Da Cassino, dove partì poverissimo, fino al set di “Eyes Wide Shut”. Trent”anni vissuti fianco a fianco con il grande regista. Tutto iniziò con una strada ghiacciata, e una grossa scultura da trasportate sul set di “Arancia meccanica”.

Ancora ventenne e poverissimo, partì da Cassino alla volta di Londra, nel lontano 1960, per evitare il servizio militare. Una storia come poche, quella di Emilio D’Alessandro, ospite venerdì scorso al Mav di Ercolano, nell’ambito della mostra Carta Kubrick, a cura di Emanuele Donadio. Dieci anni dopo il suo arrivo nella capitale inglese, D’Alessandro, che aveva sbarcato il lunario come lavapiatti, meccanico e autista, finì col trovarsi sul set di “Arancia Meccanica”. Complici le strade ghiacciate, e l’inesperienza degli autisti inglesi, fu lui a occuparsi del trasporto dei grossi oggetti necessari per le riprese. Tra questi, la grande scultura fallica che appare nella casa della “signora dei gatti”.

Un rapporto straordinario, nato per puro caso, quello tra l’autista ciociaro e il grande cineasta, una storia che ha portato D’Alessandro, assistente tuttofare, ma soprattutto amico fidato, sul set dell’ultimo film di Kubrick, “Eyes Wide Shut”, in cui è un edicolante che vende un giornale a Tom Cruise. Ad ascoltare i suoi racconti si capisce subito che tra Stanley Kubrick ed Emilio D’Alessandro c’è stato un legame profondo, fatto di fiducia e affetto. Il racconto si arricchisce dei ricordi di un uomo dalla storia eccezionale, che si è trovato per caso a contatto con una delle personalità più importanti della storia del cinema, senza sapere come. «Un giorno», racconta in una lingua ormai mista di inglese, italiano quasi dimenticato e dialetto ciociaro, «la segretaria mi chiese “ma tu sai per chi lavori?”, e io risposi “so soltanto che ogni settimana mi arriva l’assegno!”».

Ad ascoltare i suoi racconti, frammisti a risa e momenti di vera commozione, ci si chiede come dovesse essere un’ amicizia tra un uomo, Kubrick, grande regista, dalla personalità schiva così come si definisce anche dai racconti di questo suo assistente e confidente, e l’emigrante ciociaro, che si presenta come persona semplice e piena di allegria, dalla capacità di attrarre un’immediata simpatia. Il racconto del signor Emilio, che ha accompagnato per anni Kubrick, guidando auto importanti, si sofferma sul rapporto di Mr. Kubrick con la velocità. Quando Emilio si vide consegnare una Porsche 280, una vera e propria «superauto», come sottolinea con entusiasmo ancora vivo, gli venne da dire «è bella, ma che ci facciamo?», dato che il suo illustre passeggero aveva paura della velocità, e perciò, come racconta D’Alessandro, «il tragitto quotidiano da casa allo studio, di cinque chilometri, durava sempre molto».

Emilio racconta anche del rifiuto di Kubrick di volare. «Stanley aveva il brevetto di volo», racconta, «quindi conosceva tutti i rischi. Da uomo prudente diceva sempre che di un aereo tu puoi vedere se fuori è verniciato bene. Ma come fai a sapere se i bulloni del telaio sono ben avvitati?».
Emilio era diventato ormai il confidente di Stanley Kubrick. Curando i trasporti di attori, staff, registi. E così racconta di come, certe volte, gli venisse affidato il compito di indagare sulle opinioni dei suoi passeggeri sul regista. Ma non solo: la stima e la fiducia era tale per cui suo era il compito di controllare che tutto fosse fatto secondo le indicazioni di Kubrick.

La voce si commuove nel ricordo di un caro amico. «Stanley per me è stato un amico che non mi ha mai lasciato», dice. Dalla sala nasce una domanda sulla personalità di Stanley, su come fosse in sala di montaggio. «Stanley accettava i consigli di tutti», racconta d’Alessandro. «Lui non avrebbe mai voluto offendere o danneggiare nessuno. Se c’era qualcosa che disturbava, lui lo voleva sapere. Lui voleva soddisfare tutti e non offendere mai le persone. Era davvero una persona di cuore».

Prossimi incontri nell’ambito di “Carta Kubrick”:

Venerdì 1 aprile ore 20.30: incontro col produttore Angelo Curti. Proiezione di “Orizzonti di Gloria”.
Venerdì 8 aprile ore 20.30: incontro col regista Antonio Capuano. Proiezione di “2001: ODISSEA NELLO SPAZIO”.
Venerdì 15 aprile ore 20.30: “Shining il cineconcerto”, risonorizzazione dal vivo di “SHINING” da parte del gruppo musicale RanestRane.
Venerdì 29 aprile ore 20.30: incontro coi registi Beppe Gaudino e Isabella Sandri. Proiezione di “Barry Lyndon”.

www.museomav.it – Infoline 081 198 06 511