Si incontrano in una bettola camorristi napoletani e vesuviani: i sindaci potevano ancora essere garanti della “buona condotta” degli arrestati, e favorirne il ritorno alla libertà. Ciccio Cappuccio, “’o signurino”, è stato uno dei pochi capi assoluti della camorra: a lui obbedivano i napoletani, i casertani, i vesuviani. Correda l’articolo un “golfo di Napoli” dipinto da Attilio Pratella.
Il 4 gennaio l’ispettore della Vicaria, Moreno, comunicò al questore che nella bettola di Luigi del Vasto a Poggioreale aveva trovato una bella schiera di camorristi e di contrabbandieri, che mangiavano e bevevano festosi: a capotavola sedeva Gaetano Cappuccio, capo camorra, figlio e nipote di capi della camorra; gli stava accanto il giovane figlio Francesco, Ciccio ‘o signurino, appena evaso dal presidio.
‘O signurino fu, dieci anni dopo, l’ultimo capo assoluto della Onorata Società, entrò, già da vivo, nella leggenda della malavita, e morì in una trattoria di Montevergine di Mercogliano schiantato da un’abbuffata di stocco. Alla folla che partecipò, sinceramente commossa, al funerale, il 5 dicembre 1892, “Il Mattino” dedicò un articolo, e al defunto “signurino” Ferdinando Russo dedicò una poesia, proclamandolo “principe” “ d’’e guappe ammartenate”.
Nel 1862, in quella bettola al Vasto, sedevano con i Cappuccio anche Pasquale Legittimo alias Mazzone, Raffaele Salierno, e Giovanni Esposito il saponaro, originario di Somma, camorrista, sospettato di controllare il traffico dei vatigali che portavano il vino dalla campagna a Napoli. Quindici giorni dopo l’ispettore arrestò Agostino Pucarino, trattoriere di San Giovanni a Teduccio, di anni 32, con l’accusa di pretendere camorra sul mercato dei vini.
Salvatore Autiero, luogotenente della polizia di San Giovanni a Teduccio, dichiarò che il Pucarino serbava una condotta irreprensibile sotto ogni profilo vivendo onorevolmente sia con lo smercio del vino che con la conduzione della trattoria. Confortarono queste dichiarazioni le firme di una decina di cittadini, e una lettera del sindaco di San Giovanni, che era un vero e proprio attestato di buona condotta.
Pucarino respinse sdegnosamente l’accusa di appartenere alla classe dei camorristi, pianse per la moglie e i 5 figli ridotti sul lastrico, e infine ricordò il suoi sentimenti liberali e il fuoco dell’amor patrio che lo aveva portato in carcere per i fatti del ’48 . A giugno Pucarino presentò la garanzia di Domenico Scudiero, che, secondo D’ Avossa, ispettore della sezione Stella, è uomo di buona condotta morale e politica, negoziante di vini con il suo esercizio nella strada nuova di Capodimonte, e provvede di vini anche altre cantine della capitale . E’ oriundo di Ottajano, dove vive il vecchio genitore proprietario di diversi fondi.
D’Avossa e gli altri ispettori, che erano entrati nella polizia sotto Ferdinando II, continuavano a chiamare Napoli capitale: quasi tutti per abitudine, qualcuno, invece, con un pizzico di rabbia. Pucarino versò una cospicua cauzione e venne rimesso in libertà. Nelle bettole briganti e forze dell’ordine, camorristi e poliziotti si controllavano a vicenda, spesso servendosi degli stessi informatori, in una confusione di ruoli e di interessi che appare naturale conseguenza del passato e premessa significativa della storia futura delle terre vesuviane.
Gran parte della storia di Barone e di Pilone si svolse, come abbiamo visto, nelle cantine vesuviane. Gli osti non vedevano niente, o fingevano di non vedere. .Vide tutto Vincenzo Cirillo Perozzi, il 9 agosto del ’62, quando un nugolo di briganti entrò nella sua bettola, che stava fuori la porta degli scavi di Pompei, denominata del Tempio e uccisero un tale Matteo Mazza, di Torre del Greco, che era un corteggiatore di Lauretta, giovane e piacente vedova, figlia dell’ oste.
Serafino Sparacini di Pompei, sergente dei veterani che custodivano gli scavi, essendo anche lui un pretendente della vedova, aveva chiesto ai briganti di Pilone il favore di fare il servizio al Mazza, ma i sicari, sparando all’impazzata, o forse con eccezionale precisione, avevano colpito anche Laura, proprio sul pube, così che il Sig. Professore don Pasquale Cirillo avea estratto il proiettile dalla natica dritta.
Da due avventori, Felice Padiglione e Raffaele il Marmolaro, che al momento dell’irruzione tranquillamente seduti sotto alla tenda davanti alla bettola bevevano vino bianco di Boscoreale nulla poté sapere la polizia, poiché i due erano lestamente fuggiti, prima ancora che si sparasse.
Scrivere il libro sulla camorra vesuviana dell’’800 sarà un divertimento. Un divertimento talvolta anche amaro.