Il 2014 non è ancora finito, ma è già un anno segnato dalla fuga dei “gioielli di famiglia”.
Di eccellenze italiane non più italiane ce ne sono ormai molte, è dall’inizio della crisi che questo trend ha avuto inizio e non si è più fermato: dal 2008 al 2013 sono 437 le società italiane finite nelle mani di imprenditori stranieri; 2 miliardi di euro invece è il giro d’affari frutto delle acquisizioni fatte nel 2014. I fiori all’occhiello italiani si concentrano sicuramente nell’industria della moda e nell’agroalimentare, e sono proprio questi i settori che fanno più gola agli imprenditori stranieri e ne attirano i capitali.
Negli anni addietro il food italiano ha perso Buitoni, Perugina, Plasmon, Bertolli, Carapelli, Sasso, San Pellegrino, le birre Peroni, Moretti e Dreher e il settore moda Gucci, Sergio Rossi e anche Bottega Veneta.
Nel 2011 la Fiorucci salumi è stata acquistata da una casa spagnola, l’Eridiana Italia Spa per il 49% da una società francese, la Gancia (storica produttrice di spumante) per il 70% da imprenditori russi; il colpo più grosso è sicuramente della società francese Lactasil che dopo essere già diventata proprietaria di Galbani, Invernizzi e Locatelli, ha portato a casa anche Parmalat.
Nel 2012 Aria, leader italiano nella produzione di pelati, è stata acquistata da una controllata giapponese di Mitsubishi, il marchio Star è diventato definitivamente spagnolo e la Ducati, come Lamborghini, è stata ceduta alla tedesca Audi. Nel 2013 la società Averna ha ceduto l’intero capitale dell’azienda piemontese Pernigotti ad un gruppo turco, il 25% della proprietà del riso Scotti è stato ceduto al colosso industriale spagnolo Ebro Food, un’azienda vitivinicola del Chianti è stata acquistata per intero da un imprenditore farmaceutico cinese. Lo storico marchio Valentino è oggi di proprietà di emirati del Qatar, insieme alla licenza Missoni; la Lvmh di Bernard Arnault ha acquistato Loro Piana (azienda operante nel settore dei beni di lusso) ed è diventata socio di maggioranza della pasticceria Confetteria Cova, dopo aver acquisito negli anni Bulgari, Fendi, Emilio Pucci e Acqua di Parma.
Giungiamo al 2014. L’anno si inaugura con la cessione di Krizia, Poltrone Frau Versace. A giugno l’antico Pastificio Lucio Garofalo è passato nelle mani degli spagnoli di Ebro Food, a luglio Indesit nelle mani di Whirlpool. Il 1 Agosto 2014 nasce Fiat Chrysler Automobiles (FCA), società con sede legale ad Amsterdam e fiscale a Londra, che unisce in un unico soggetto di diritto Fiat SpA e Chrysler Group LLC: finisce la storia tutta Made in Italy anche di una delle aziende che ha segnato il passato del Belpaese. Se chiedessimo all’italiano medio la prima azienda italiana che gli viene in mente, probabilmente ci risponderebbe una di queste.
È uno scenario drammatico, sintomo innanzitutto della crisi continua e crescente che da ormai sei anni attanaglia il nostro Paese, paralizza i consumi e piega il settore industriale. Ma è anche indice di una burocrazia che non stimola l’imprenditoria, anzi forse la rallenta: siamo un Paese dove chi vuole cominciare un’attività con grandi probabilità sceglie di andare all’estero, e chi è in difficoltà e deve decidere cosa fare, capire come andare avanti, probabilmente decide di chiudere e vendere, ovviamente a portafogli esteri. Siamo il Paese da cui si scappa: fuga di cervelli e di capitali.
Laddove i singoli non riescono più, è forse lo Stato che deve intervenire. L’idea è quella della creazione di un marchio “Made in Italy”, che protegga le eccellenze italiane, a tutti gli effetti ambasciatori nel mondo di quell’italianità che da est ad ovest ci invidiano.