Cerchiamo di apportare chiarezza alla confusa situazione creatasi dalla cattiva divulgazione di un articolo scientifico sullo stato dei Campi Flegrei e lo facciamo intervistando l’autore della pubblicazione, Giuseppe De Natale.
Tra i social e una stampa che ormai si è piegata alla loro logica sensazionalistica e manichea, oggi pare che non sia più possibile parlare con tranquillità di scienza poiché il senso comune, oggi, prevale sulle competenze scientifiche degli addetti ai lavori; il mondo dell’informazione poi non brilla per deontologia e competenza, visto che enfatizza, anche con le grandi testate, ciò che andrebbe invece ponderato con attenzione e nozione di causa. C’è da chiedersi a questo punto chi si assumerà mai la responsabilità del danno arrecato all’informazione scientifica?
A tal proposito e alla luce degli ultimi eventi abbiamo intervistato Giuseppe De Natale, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ed ex Direttore dell’Osservatorio Vesuviano.
Dottor De Natale, sono giorni ormai che si è acuita la psicosi vulcanica sui Campi Flegrei, con la paura mai sopita di chi vive in un area vulcanica ed enfatizzata dalla stampa locale e nazionale a causa di una cattiva interpretazione di una sua pubblicazione, vuol chiarirci meglio cosa è successo?
«È stato pubblicato, dalla rivista ‘Nature Communications’, un articolo scientifico in cui elaboriamo un nuovo modello per la previsione delle eruzioni su base fisica, al contrario delle tecniche essenzialmente empiriche utilizzate oggi. Quando le deformazioni sono di piccola entità, le rocce si comportano in maniera elastica, deformandosi in modo proporzionale agli sforzi interni. Quando, invece, gli sforzi interni superano una certa soglia, il comportamento delle rocce diventa elasto-fragile, con conseguente processo di fratturazione. All’aumentare progressivo dello sforzo, oltre una certa soglia, le rocce si comportano in maniera esclusivamente fragile, generando fratture sempre più profonde che collegano la superficie con le zone dove sono concentrati gli sforzi interni. In questa situazione, un’eruzione può innescarsi. L’evoluzione del sistema, da ‘elastico’ a ‘fragile’, può essere monitorata studiando l’andamento congiunto delle deformazioni e della sismicità. Abbiamo applicato il nuovo metodo allo studio dei processi di bradisisma dei campi Flegrei dal 1950 ad oggi: il risultato è che le condizioni del sistema al culmine del sollevamento (1984) sono molto vicine all’inizio del comportamento ‘fragile’. Pertanto, dal momento in cui il livello del suolo dovesse ritornare a quello del 1984 (manca circa mezzo metro), un nuovo episodio di sollevamento veloce, se iniziasse, potrebbe avere uno sviluppo ‘eruttivo’ con probabilità molto maggiore che gli episodi precedenti (perché appunto le rocce sono già molto sollecitate). Molti media hanno interpretato la descrizione di tali risultati come un’ipotesi di eruzione ‘imminente’, ed è partita la psicosi.»
Che la gente sia confusa, pare ovvio, soprattutto dopo tanto allarme mediatico, ma non le sembra che anche i suoi colleghi esagerino un po’? È mai possibile che la stessa comunità scientifica non sia capace di esprimere univocamente ed ufficialmente un concetto?
«Non è affatto semplice, anche per un ottimo ricercatore, gestire le informazioni ai media su temi così delicati che toccano profondamente l’emotività della popolazione. Chi ha gestito l’informazione (io ero fuori Italia per un congresso) ha evidentemente fatto degli errori, di cui comunque non gli si può dar colpa più di tanto in quanto il nostro mestiere, appunto, è un altro. Per quanto riguarda la ‘comunità scientifica’ in generale, è assolutamente ovvio (ed è anzi una fortuna) che ci siano diverse ipotesi scientifiche, in cui ciascuno cerca di dimostrare le incongruenze di quelle degli altri: così funziona il metodo scientifico; guai se esistesse una scienza ufficiale. Il problema semmai è, in un ambito così critico come il nostro, che le differenti vedute scientifiche dovrebbero essere comunicate pacatamente e con il massimo rispetto, e soprattutto il dibattito dovrebbe avvenire nelle sedi opportune (scientifiche). Personalmente, intervengo a livello mediatico solo quando mi accorgo che alcune ipotesi fortemente allarmistiche, chiaramente improbabili, vengono date in pasto ai media senza cautela (in genere per avere visibilità). Nel nostro caso, c’è stato anche il problema del comunicato stampa dell’UCL (University College of London, ndr.), che riportava un titolo scientificamente insensato (….l’eruzione potrebbe avvenire prima del previsto… perché finora nessuno si era sognato di prevedere una data..) e lanciato, violando l’embargo della rivista, due ore prima della pubblicazione e quindi due ore prima del nostro (così molti siti, specie stranieri, hanno seguito quella traccia molto più allarmante e poco descrittiva).»
Oggi l’informazione va molto più rapidamente di quanto mai lo avesse fatto in passato ma al contempo l’approfondimento viene penalizzato in favore di nozioni semplici e basilari se non errate, e che spesso non lasciano spazio alle sfumature o quanto meno agli approfondimenti. Non crede che anche questo nuovo piano di lettura e di divulgazione delle notizie abbia influito sull’allarmismo di questi giorni?
«Certamente sì. Nella smania di rendere semplici concetti talvolta molto complessi, spesso banalizziamo facendo grandi danni. Tra l’altro, chi non ha gli strumenti culturali per capire a fondo un problema spesso lo banalizza ancor più nella sua mente, perché oggi tutti sono convinti di poter comprendere tutto meglio di qualunque specialista (tanto c’è internet, i social media, ecc.). Quanto accaduto è parte di un problema molto più ampio e criticissimo, che a mio avviso mette in profonda crisi ed estremamente a rischio la nostra stessa cultura ed il nostro benessere futuro.»
Come migliorerebbe il sistema di comunicazione tra INGV/OV e un pubblico sempre più avido di informazione?
«Quando ne ero Direttore avevo quasi terminato un nuovo sito web molto più attrattivo, e contavamo di attivarci sui Social principali (Facebook e Twitter). Inoltre, avevo iniziato il ciclo ‘A scuola di vulcani’ in cui ogni Mercoledì ospitavamo una scuola (di ogni grado) in sala monitoraggio spiegando il nostro lavoro (ebbi solo due Mercoledì prima del commissariamento). Infine, avevamo completamente restaurato e riallestito la palazzina borbonica, perché divenisse il centro delle nostre attività di divulgazione. Eravamo ad un passo dal firmare un accordo con l’Ente Parco per una bigliettazione comune (la popolazione Vesuviana e flegrea da noi sarebbe comunque entrata gratis). All’accordo con il Parco Vesuvio, che avrebbe tra l’altro portato nelle nostre casse almeno 500.000 € l’anno (che avremmo potuto utilizzare per la manutenzione e l’arricchimento museale dell’Osservatorio di Ercolano), mancava solo la firma del nostro CdA (il Parco, che faceva le concessioni più grosse a nostro favore, aveva già dato il suo assenso). Era sul tavolo del CdA nella riunione del 17/2/2016, dove non si firmò nulla ma in compenso mi commissariarono.»