Adolescenti e giovani: risorsa non problema

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La morte del giovane Gennaro, suicidatosi a soli 25anni perché disoccupato, diventa spunto di riflessione sulla condizione odierna delle nuove generazioni, prive di qualsiasi prospettiva.

Ieri ho celebrato le esequie del nostro Gennaro, che in un momento di disperazione, si è tolto la vita. Tutta la città di Pomigliano è rimasta scossa da questo ennesimo drammatico evento. Tante le domande, i perché, le inquietudini. Conoscevo bene Gennaro e la sua famiglia. Gli ho fatto la Prima Comunione, per un periodo frequentava la nostra parrocchia. Poi, un po’ come tutti i giovani, si era un po’ allontanato, ma solo fisicamente, dalla comunità. Durante l’omelia ho invitato tutti, me per primo, ad essere  più attenti gli uni agli altri. Soprattutto ai giovani, senza lavoro, senza una prospettiva di futuro bello, come dovrebbe essere per quell’età. La morte di Gennaro ci interpella tutti. Possiamo e dobbiamo dare di più. E questo ci induce a fare qualche riflessione un po’ più profonda sul mondo giovanile. La visione, oggi, dell’adolescenza o della giovinezza è prevalentemente negativa e critica. Prevale una preoccupazione diffusa riguardo al destino delle nuove generazioni, alla loro capacità di affrontare la vita, alle problematiche che li affiggono. I media tendono a dipingere il mondo giovanile come difficile, irto di pericoli, connesso con fenomeni come il bullismo, la criminalità minorile, la depressione e il suicidio, l’alcolismo e le tossicodipendenze.

Molti di questi problemi sono reali, ma non bisogna cadere nell’eccesso di realismo altrimenti si rischia di costruire visioni riduttive. I nostri giovani non sono soltanto questo, ma molto di più. In campo educativo è importante alimentare soprattutto la dimensione del possibile, cioè cogliere le potenzialità, le risorse ancora inespresse e nascoste aiutando in modo maieutico i nostri giovani a trovare un senso dell’esistenza dando una risposta alla domanda d’amore, verità, bellezza che si affaccia per la prima volta durante l’adolescenza o la giovinezza.

Non possiamo comprendere gli adolescenti o i giovani in modo adeguato se non attraverso il cambiamento delle generazioni adulte che le hanno generate ed i cambiamenti storici, economici e sociali del mondo occidentale negli ultimi decenni. Non si tratta solo di parlare di crisi dei giovani, ma di una crisi più vasta e generalizzata che coinvolge anche noi adulti. Non si tratta di gestire crisi individuali, bensì una crisi della società e della cultura. L’adolescenza o la giovinezza, allora, non è il tempo dell’incertezza a cui segue il tempo della stabilità. È piuttosto il tempo in cui si impara a stare nell’incertezza e in quella condizione di ricerca che accompagna tutta la vita. Il disagio giovanile non è soltanto la manifestazione di una criticità, ma anche il presentimento di una possibilità, una volontà di autenticità, di futuro e di senso.

Preoccupante, allora, non è che molti ragazzi si chiedano se la vita abbia un senso, ma che molti tra loro non si chiedano mai che senso abbia. Il disagio giovanile è soprattutto un fatto culturale, e non psicologico, cioè la conseguenza di una società nichilista, che li priva di ciò di cui hanno maggiormente bisogno: cioè, un orizzonte di senso. Se questo è vero, allora, abbiamo bisogno di una risposta educativa, capace di far leva sul desiderio, sulle risorse latenti e sulle possibilità di sviluppo. Nello stesso tempo vi è un interdipendenza tra le insicurezze educative dei genitori e le incertezze esistenziali dei ragazzi, per cui è opportuno ritornare a un’attenzione formativa per gli adulti che hanno la responsabilità di educare, a partire dalle famiglie. Occorre, quindi, che le istituzioni educative si concepiscano come luoghi di incontro con le famiglie e tra le famiglie, come spazio di scambio di esperienze e di pensiero condiviso, per ricostituire attorno ai genitori, spesso soli ed isolati, una rete significativa che possa sostenerli e agevolarli nelle scelte educative.

Educare non significa trasmettere, bensì affinare. Il fine dell’educazione non sono le conoscenze o le nozioni, bensì la persona, che è essenzialmente coscienza e responsabilità. Un’educazione tesa a riscoprire e coltivare nei giovani la forza propulsiva degli ideali, dei significati esistenziali e dei valori, incentrata sulla valorizzazione di una vita che si realizza nel dono di sè, costituisce probabilmente anche la risposta più efficace al disagio derivante dalla frustrazione di alcuni bisogni di ordine socio- economico o emotivo-relazionale. Occorre aiutare a condurre una vita significativa nonostante l’esperienza del limite, del fallimento o della delusione. L’educazione, insomma, non può che occuparsi dell’esigenza spirituale che alberga in ogni essere umano: l’esigenza di senso. Aiutiamoci gli uni gli altri a dare senso alla nostra vita. Ricordando quello che don Milani lasciò scritto all’entrata della sua scuola: I care.

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