QUANDO IL DISAGIO DEI RAGAZZI SFOCIA IN REATO

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Un minore che vuole “scaricare” nella società la sua rabbia o una sua lacerazione interna (come quella causata dalla separazione dei genitori), va punito e non va compreso. Questo è quanto sostiene una recente sentenza della Cassazione.

Talvolta i ragazzini reagiscono a situazioni di disagio con azioni violente che possono sfociare in veri reati. Una recente sentenza della Cassazione ha sostenuto che il “mal comportamentto” degli adolescenti, ancorchè motivato da problemi legati all’età o a situazioni personali e familiari laceranti, va punito e non compreso.

Tale principio, comunque, non è pacificamente accettato da pedagogisti ed educatori i quali sostengono, invece, che il ragazzino che si macchia di azioni teppistiche va rieducato e non punito.

Il caso
Il minore M.A. con oggetto appuntito incide la carrozzeria di un’autovettura Bmw e rivolge ingiurie e minacce gravi a danno della proprietaria dell’auto per indurla a non denunciarlo.
Il Giudice del Tribunale per i Minorenni di Torino, riteneva di non dover procedere nei confronti del minore perché il fatto era stato commesso in uno stato di incapacità di intendere e volere, causato dal dolore provato dal ragazzino per il divorzio dei genitori. La questione veniva sottoposta al giudizio della Cassazione, la quale riteneva che la situazione familiare non poteva giustificare la condotta del ragazzo.

Le motivazione della Cassazione, in sintesi, sostengono che giustificare la condotta del minore per il dolore vissuto a causa della separazione dei genitori avrebbe potuto agevolare il processo psicologico di autolegittimazione del crimine. La Suprema Corte ha affermato il principio, secondo il quale, perché un minore di età sia riconosciuto incapace di intendere e di volere e, quindi non punibile per il reato commesso, è necessario l’accertamento di un’infermità di natura ed intensità tale da compromettere, in tutto od in parte, i processi conoscitivi, valutativi del ragazzino: egli non deve saper riconoscere il bene e il male.

Pertanto, specifiche condizioni socio-ambientali e familiari nelle quali il minore sia eventualmente vissuto, particolarmente dolorose e laceranti, seppure possono aver avuto influenza negativa sul ragazzino, inficiando le potenzialità di valutazione critica della propria condotta e agevolando il processo psicologico di autolegittimazione del crimine, non hanno potuto offuscare la capacità del minore di valutare il significato e il peso delle proprie azioni. In buona sostanza, l’adolescente del caso, seppur sconvolto e turbato era sicuramente cosciente che stava compiendo una cattiva azione.
(Cass. 31753/2003 Rv. 226281 – Cass. 18084/2010 riv 247141 – Cass. 17661/2010 riv 247335).

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