“Un articolo sulle statue ottajanesi di San Michele? Ma chi te lo fa fare?”

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Da qualche tempo il mio amico Pepe Marlò Mastriani “emana” sentenze catastrofiche: “ Ma chi vuoi che si interessi di storia locale? Quante volte proprio tu hai detto  che dalle scuole sono scomparse la lingua italiana, la storia e la geografia? Quante volte, dopo aver letto qualche articolo sulla storia e sulla cultura del mondo vesuviano, ti sei messo a ridere? E non volevi scrivere che Giuseppe I Medici, nella processione del 20 maggio 1691, portò uno stendardo tutto azzurro, su cui era disegnato e ricamato uno scudo, e non avevi pensato di aggiungere che era una meravigliosa profezia dello scudetto del Napoli? Chi ti avrebbe contestato ?”. Ma sullo stendardo io scherzavo, e Pepe sapeva che scherzavo….

 

Il 15 aprile 1663, in una pubblica assemblea che si tenne in piazza Annunziata, venne approvata all’unanimità la proposta che San Michele fosse patrono di Ottajano e che la “festa” in suo onore si tenesse l’8 maggio. L’anno dopo gli Ottajanesi si dichiararono favorevoli alla decisione degli Eletti di dare alla Chiesa di San Michele Arcangelo i 15 ducati versati da Carlo Mazza come tributo alla “Universitas” (al Comune) per l’acquisto di due moggia di terra demaniale al Campitello: i ducati avrebbero coperto le spese “fatte nell’indoratura della cona e del baldacchino” della statua di San Michele “’o gruosso”. Il sistematico lavoro di restauro ha consentito al dott. Umberto Maggio, restauratore magistrale, di correggere i maldestri interventi condotti, nel passato, da tecnici impreparati, di calibrare l’equilibrio delle due statue di ciliegio, l’Arcangelo e il demonio, equilibrio scompaginato dal fatto che la statua del demonio venne inserita nel gruppo successivamente. Tra le due statue ci sono nette differenze di stile: il “San Michele” ha le caratteristiche di una scultura tardo-cinquecentesca dell’Italia centrale, mentre il suo “avversario” è, molto probabilmente, opera di una officina meridionale attiva tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700. I Di Luggo e i Del Giudice ebbero il privilegio di fornire il carro tirato da una coppia di buoi che doveva trasportare il “gruppo” per le vie della città durante la processione. Nella processione dell’ 8 maggio 1671 Giuseppe I Medici in persona portò per le strade di Ottajano “la statuetta del Santo Arcangelo in pietra propria del Monte Sant’ Angelo”, donata alla città dal Rev. Padre Tiberio Guastaferro, frate gerolamino, sommo predicatore della Congregazione dell’Oratorio Maggiore, ottajanese: la sua famiglia aveva dimora in un palazzo “attaccato” alla Chiesa di San Giovanni. Il 20 maggio 1691, sciogliendo il voto fatto durante il devastante terremoto del 5 giugno 1668, la Città di Napoli celebrò con una processione l’inserimento di San Michele tra i compatroni della città. I Gesuiti “prestarono” la statua di legno e la confraternita di “San Michele dei 72 sacerdoti” promise di fornire, per l’anno successivo, una statua d’argento il cui modello già era stato preparato da Giandomenico Vinaccia. E Giuseppe I Medici ebbe l’onore di portare, durante la processione, lo stendardo: lo seguivano 18 fanciulli vestiti da angeli e 110 cavalieri che reggevano torce accese. Lo stile dell’opera è una preziosa conferma della tradizione che considera la statua di San Michele “’o piccirillo”- la statua che di solito “esce” nella processione ottajanese – un dono di Luigi de’ Medici. Conviene ricordare a qualcuno che ha fatto un po’ di confusione che l’illustre statista non fu mai principe di Ottajano, essendo fratello minore del principe Giuseppe III; che fu rigorosamente celibe e non ebbe figli, nemmeno “segreti”; che lasciò il suo immenso patrimonio al pronipote Giuseppe IV, principe di Ottajano. Dice la solida tradizione che egli acquistò la statua del “piccirillo”a Vienna, quando si recò nella capitale degli Asburgo a “comprare” per i Borbone il trono di Napoli che Metternich e Talleyrand volevano consegnare a un figlio di Murat. Ma Luigi seppe trovare gli argomenti adatti ( vi lascio immaginare quali siano stati questi costosi argomenti) per indurre i due statisti a non umiliare i Borbone. Gli Ottajanesi scelsero come patrono San Michele anche perché i teologi della Curia nolana indicarono l’Atrio tra il Somma e il Vesuvio come una “porta” dell’Inferno ( l’altra “porta” era la palude della Longola).  Nella seconda metà del ‘600 i vigneti di Ottajano vennero, in tre diversi anni, devastati dal insetti voraci, “ “ i muroli e le campe”. Nel 1668 tre famosi predicatori gesuiti spiegarono agli Ottajanesi che quegli insetti erano una punizione divina  e perciò li esortarono a pentirsi e a liberarsi da “colpe et nequizie”. Il 17 giugno il vescovo di Nola, Francesco Gonzaga, “ad ore 20 davanti il portone del palazzo dell’ Ecc. mo Principe Padrone” lesse la bolla di maledizione degli insetti, ordinò ad essi di ritornare nell’Inferno “ da cui erano sortiti” e impartì la benedizione “papale” a tutti gli Ottajanesi che avevano digiunato tre giorni, si erano confessati e si erano comunicati. Ma la porta dell’Inferno restava aperta, e solo l’Arcangelo Michele poteva mettere paura ai démoni.