IL 25 APRILE. STORIA E MEMORIA

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Gli attuali politici se parteciperanno all”evento sarĂ  solo per opportunismo. Chiediamoci cosa sarĂ  quando anche l”ultimo partigiano scomparirĂ . SpetterĂ  alla Scuola parlare di Liberazione e Resistenza.
Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
dopodomani è il 25 aprile, una data particolare, storica, simbolica, ricca di fascino e di speranze per chi ha lottato –pagando anche con la vita- per restituire la libertĂ  agli Italiani, per chi ha creduto in una patria finalmente libera, democratica ed antifascista. Pensa al sacrificio dei tanti giovani caduti in nome di un ideale, di un valore. Pensa alle ingiurie ed alle violenze subite dai tantissimi antifascisti, ai lutti portati nei cuori e nella mente, oltre che negli abiti. Poi, un radioso giorno di aprile del 1945 l”Italia –la patria- è libera dai soprusi, dalle armi, dal rancore, dalle ideologie totalitarie.

Natalia Ginzburg, nella prefazione al testo di G. Falasca, “Letteratura partigiana in Italia” (Editori Riuniti, 1984), scrive: “Le parole patria e Italia che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola, perchè sempre accompagnate dall”aggettivo “fascista”, ci apparvero d”un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta”. Sai, direttore, in tempi lontani, quando a scuola mi assegnavano il solito tema “In quale epoca storica ti sarebbe piaciuto vivere”, io scrivevo sempre che mi sarebbe piaciuto vivere nell”Italia partigiana, tra quei coraggiosi che lottarono, morirono, si sacrificarono, donarono se stessi ed i propri affetti in nome della parola “libertĂ !”.

Oggi, in veritĂ , mi chiedo sempre più spesso quale valore ha la data del 25 aprile! Se cade vicino alla domenica, è utile per fare un ponte, per andare in vacanza; se cade in mezzo alla settimana, serve per riposare o riprendere un hobby; se cade di domenica, che sfortuna!, si è perso un giorno di festa! Caro direttore, ho la sensazione –o quasi la certezza- che la data simbolo della Liberazione, l”apice della Resistenza sia, forse, troppo distante –cronologicamente- dalle nuove generazioni, specie se, nelle famiglie, per ragioni di etĂ , viene a mancare la trasmissione diretta dell”esperienza di chi ha vissuto quegli epici giorni di rinascita, di resurrezione, di rifioritura per un intero popolo.

Sai, i grandi saggi, che siedono al governo, vogliono mettere le mani sui testi scolastici e tentano di cambiare il senso della storia. I grandi saggi, in effetti, sotto l”etichetta del revisionismo storico, cercano di far passare il concetto ambiguo di “memoria condivisa”, un artificio per dire che i morti sono tutti uguali (sia quelli che caddero per difendere la libertĂ  di tutti che quelli che morirono per negarla a tutti!) e tante altre corbellerie simili! Pensa che con questa convinzione (il ricordo di parte) il nostro attuale capo di governo non sa ancora se partecipa alle manifestazioni pubbliche per il giorno della Liberazione (ieri era orientato verso il sì; oggi chissĂ , comunque è poco convinto)!

Negli anni precedenti, le volte in cui ha ricoperto la stessa carica di capo del governo, non ha mai preso parte a nessuna cerimonia pubblica: si sentiva e si sente troppo parte in causa, troppo vicino al suo vate ispiratore, a un signore che tutto può, che tutto controlla, che tutto compra, a cui tutto è concesso, che si fa fotografare tra terremotati e tra i grandi del mondo, tra le soubrette e i nani patologici. E pensa che, non più tardi di qualche anno fa, lo stesso capo di governo andava in giro raccontando che gli antifascisti non erano stati mandati in esilio da Mussolini: erano stati mandati in villeggiatura, beati loro! Ed anche l”attuale presidente della Camera dei deputati, negli anni scorsi, da segretario politico di A.N., pur avendo chiesto scusa agli Ebrei, non ha mai partecipato alle celebrazioni pubbliche per il giorno simbolo della Liberazione!

Caro direttore, tu pensa cosa succederĂ  quando sarĂ , purtroppo, scomparso l”ultimo testimone: non si parlerĂ  più di Liberazione, di Resistenza, di partigiani? Credo che la scuola –in assenza di partiti politici senza storia e senza memoria- debba farsi carico di questa responsabilitĂ  ed ereditĂ , proponendo un insegnamento senza revisionismi, fornendo strumenti logici (capacitĂ  di analisi, di sintesi, di critica), offrendo testi di grande spessore culturale. Altro che scuola-azienda!
Non ci si può chiudere nel proprio privato. Le responsabilitĂ  sono di tutti, nel bene e nel male; il popolo, le masse fanno la storia, non solo i capi, i duci (“Tebe dalle sette porte, chi la costruì?/ Ci sono i nomi dei re, dentro i libri./ Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?[:]”, B. Brecht [Poesie e Canzoni]).

Caro direttore, so che questa settimana non ho molto guardato ad una realtĂ , come dire, più territoriale. Ma ho scritto con i sentimenti che mi bollivano dentro. Tu, come sempre, hai potere di vita e di morte (si fa per dire) sui tuoi collaboratori: è la legge del padrone! Per cui, volendo, puoi anche decidere di farmi saltare la rubrica settimanale. Se, in stato di grazia, decidessi, invece, di essere indulgente nei miei confronti, allora mi piacerebbe ricordare –a te e a chi, eventualmente, ancora mi legge- queste poche righe di Giuseppe Salmoirago, un commerciante novarese di 41 anni, fucilato, senza processo dai tedeschi, il 15 ottobre del 1944, a Vico Canavese: “Cara moglie e bambine, non piangete e siate orgogliose del vostro caro marito e padre, a 18 anni feci diciotto mesi di carcere, e ora a 41 dò la vita mia per il mio ideale e per la libertĂ  della nostra patria [:]” (Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi, 1973).

AVVISO AI CANDIDATI ALLE PROSSIME ELEZIONI

La politica va intesa come dovere morale e atto di amore. Un consiglio: seguite alcuni pensieri di don Luigi Sturzo, che non ha mai considerato la politica come una cosa sporca.
Di Don Aniello Tortora

Nel 2009 ricorrono il cinquantenario della morte di Luigi Sturzo (1871-1959) e il novantesimo anniversario della fondazione del Partito Popolare.
E questa settimana, carissimi lettori, vorrei intrattenermi un po” con voi su questa grande figura di prete e di persona attenta alle dinamiche politiche e sociali.
Ho l”impressione che tutti, oggi, si ispirino a don Sturzo, se ne approprino quasi della sua personalitĂ , del suo profondissimo pensiero, ma pochissimi applicano i suoi principi morali nella prassi politico-amministrativa.

Don Luigi Sturzo ha avuto una concezione profondamente morale della politica, ha vissuto una spiritualitĂ  incarnata nel contesto sociale del suo tempo e ha esercitato la sua caritĂ  pastorale attraverso un impegno culturale, sociale e politico di ampio respiro.
Di fronte alla cruda realtĂ  della corruzione nella vita pubblica e alla separazione tra morale e politica, don Sturzo non si rifugia in sacrestia, non considera la politica tout court una “cosa sporca”, non ha paura di frequentare le strade, le piazze, i municipi e i ministeri, ma si impegna, rischiando di persona, per dare speranza al popolo umiliato e offeso attraverso una profonda riforma morale fondata sull”educazione delle nuove generazioni ai principi cristiani della giustizia e dell”amore.

Sia la politica che l”economia per Sturzo sono intrinsecamente sociali, perciò razionali e morali.
Il fine della politica consiste nel bene comune, che per essere a vantaggio di tutti non può prescindere dal bene morale.
Sturzo afferma l”assolutezza dei valori morali ma insiste anche sulla impoliticitĂ  della immoralitĂ  politica. Per lui l”economia e la politica, senza morale, sono sempre antieconomiche ed impolitiche.
Per Sturzo non esiste il dilemma fra l”utile e il bene, perchè quando l”utile è veramente l”utile di tutti, esso coincide con il bene di tutti, cioè con il bene comune.
Nella concezione cristiana vanno coniugati insieme autoritĂ  e libertĂ , giustizia e caritĂ , anzi la caritĂ  diviene il cardine della vita morale e quindi anche della vita politica.

Luigi Sturzo sentì come una sua missione quella di introdurre la caritĂ  nella vita pubblica nella convinzione che la caritĂ  cristiana non può ridursi solo alla beneficenza o all”assistenza ma deve essere l”anima della riforma della moderna societĂ  democratica nella quale le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune.
I principali punti cardini dell”antropologia sociale sturziana sono il primato della persona sulla societĂ , della societĂ  sullo Stato e della morale sulla politica, la centralitĂ  della famiglia, la difesa della proprietĂ  con la sua funzione sociale come esigenza di libertĂ , l”importanza del lavoro come diritto e dovere di ogni uomo, la costruzione di una pace giusta attraverso la creazione di una vera comunitĂ  internazionale.

Voglio riportare qui, di seguito, alcuni pensieri di don Sturzo. Penso proprio che sono attualissimi:
– “Non è di tutti saper fare della politica, ma di coloro che ne sono dotati. Come ogni arte anche la politica ha i suoi grandi artefici e i suoi artigiani; naturalmente vi saranno anche dei mestieranti; il pubblico sceglie i suoi beniamini anche fra i mestieranti”.
– “È primo canone dell”arte politica essere franco e fuggire l”infingimento; promettere poco e mantenere quel che si è promesso”.
– “Si crede che la menzogna sia un obbligo in politica; non è così. La menzogna viene sempre a galla; a parte la sua natura immorale, ritorna più a danno che ad utile”.

– “È più facile dal no arrivare al sì, che dal sì retrocedere al no. Saggio consiglio è non impegnarsi senza avere riflettuto a tempo ed avere formata la convinzione di poter mantenere l”impegno preso”.
– “Non ti circondare di adulatori. L”adulazione fa male all”anima, eccita la vanitĂ  e altera la visione della realtĂ . Rigetta fin dal primo momento che sei al potere ogni proposta che tenda alla inosservanza della legge per presunto vantaggio politico”.
– “È meglio tenere lontano i parenti dalla sfera degli affari statali; anche senza volerlo compromettono sempre. Se poi entrano nella sfera dei collaboratori facilmente abusano della parentela. Il nepotismo è sempre dannoso”.

– “Chi è troppo attaccato al denaro non faccia l”uomo politico nè aspìri a posti di governo. L”amore del denaro lo condurrĂ  a mancare gravemente ai propri doveri”.
– “Fare ogni sera l”esame di coscienza è buon sistema anche per l”uomo politico”.

Mi fermo qui. Ne abbiamo di materiale per poter tutti riflettere. Particolarmente i candidati alla prossima tornata elettorale hanno il dovere morale di meditare seriamente. È in gioco il bene comune, che è “di tutti e di ciascuno”.
Buona settimana a tutti.

UOMINI RANDAGI CHE AMMAZZANO COME CANI FEROCI

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L”omicidio di Franco Ambrosio e della moglie deve farci comprendere che in Italia vanno in giro branchi di uomini randagi fuori da ogni contesto e pronti a diventare feroci.
Di Amato Lamberti

Non sembri un accostamento paradossale, ma il massacro a sprangate dei coniugi Ambrosio nella loro villa di Posillipo, appreso alle prime luci dell”alba, mi ha immediatamente riportato alla mente il massacro a morsi, sul prato dei suoi giochi, del povero bambino siciliano ad opera di un branco di cani randagi. Anche gli uomini, come i cani, possono inselvatichirsi, ridursi alla condizione di predatori, che sanno solo assalire, violentare, uccidere per soddisfare le esigenze istintuali più elementari, senza avere più la capacitĂ  di mediarle con le regole anche minime del vivere sociale.

Ridotto allo stato di natura, come accade anche durante le guerre, l”uomo ridiventa una bestia feroce, irrazionale, incapace di tenere a freno gli istinti aggressivi che ne guidano e orientano la lotta per la sopravvivenza. Il male non è mai banale, casuale, immotivato, senza ragioni. La lezione della Arendt è ben più profonda delle banalizzazioni correnti: anche le societĂ , sostiene la studiosa tedesca, possono regredire allo stato primitivo, dove l”altro è ridotto a nemico e, quindi, a preda da aggredire e distruggere prima che possa farlo lui, magari in maniera subdola e diluita nel tempo.
La nostra societĂ  non si trova nelle condizioni morali e sociali in cui il nazismo aveva ridotto la societĂ  tedesca.

Piuttosto siamo nelle condizioni che tanti cronisti e letterati medioevali descrivevano parlando del loro tempo: una condizione egualmente pericolosa ma di cui facciamo fatica a prendere coscienza. Un fenomeno dagli esiti disastrosi, finora sottovalutato se non ignorato, sta crescendo sotto i nostri occhi senza che siamo ancora capaci di vederlo: branchi di uomini randagi si aggirano per l”Italia, ci passano continuamente accanto, sostano nelle nostre strade, nelle nostre piazze, ci chiedono l”elemosina, un pezzo di pane, un lavoro qualsiasi, o si limitano a guardarci, magari sdraiati per terra, ma non ci interessa nemmeno penetrare nella profonditĂ  di quegli sguardi. Vengono da tutti i paesi del mondo, vengono dall”Europa dell”Est, dal centro-Africa, dall”estremo Oriente, da paesi dove giĂ , in molti casi, la vita civile era regredita alla lotta primitiva per la sopravvivenza.

Questi branchi di uomini, sradicati da un contesto di relazioni primarie e familiari che comunque ne controllava e governava la socialitĂ , ridotti alla condizione di randagi che elemosinano la sopravvivenza, scacciati ed emarginati in discariche di rifiuti umani accatastati tal quale, che ne possono alimentare solo l”aggressivitĂ , inselvatichiscono e diventano feroci. Due sole strade abbiamo davanti per far fronte ad un fenomeno che è cresciuto senza che fossimo capaci di accorgercene: le aggressioni in villa le avevamo giĂ  registrate al Nord Italia, in Veneto e Lombardia, ma a Napoli ci hanno colto come di sorpresa, quasi che da noi per oscure ragioni certe cose non potessero accadere.

Due strade: la prima è quella di raccogliere i randagi , chiuderli da qualche parte, come una discarica- galera, da cui non potranno più uscire, ma ci troveremmo costretti a costruire sempre nuove discariche-galera fino a che non sapremo più dove metterli. Certo potremmo anche macellarli subito, come pure qualcuno sostiene, ma ce lo vieta la nostra cultura giuridica, oltre che il senso morale: la seconda, più razionale e per questo più difficile, è quella di non lasciarli randagi per strada e abbandonarli nelle discariche; favorirne l”integrazione, anche attraverso una politica seria di regolazione degli ingressi, e il raggiungimento rapido dei diritti di cittadinanza, dandogli un lavoro e una casa, dandogli dignitĂ  e diritti, per rendere anche credibile la richiesta, senza nessuna deroga, dell”osservanza dei doveri che la convivenza civile impone.

SANT”ANASTASIA. PUC: CONTINUA IL DIBATTITO

Con questo secondo articolo, l”Associazione Civica neAnastasis continua a sollecitare il confronto sul Piano Urbanistico Comunale, offrendo idee e indicazioni.

ORGANIZZAZIONE URBANISTICA DEL TERRITORIO
(Continua da articolo N. 1)

EDILIZIA RESIDENZIALE
Molta intensa è stata l”attivitĂ  edilizia a scopo residenziale nei decenni trascorsi. Ad oggi i vani abitativi esistenti si stimano a 36.000 circa, il che significa 1,3 vani per abitante.
Questa consistente attivitĂ  è stata realizzata in applicazione del vecchio Piano di Fabbricazione e per effetto dell”abusivismo edilizio. Poco ha influito l”attuale Piano Regolatore. Confrontando l”edificato con quanto previsto dal Piano di Fabbricazione abbiamo stimato che 8000 vani siano stati realizzati abusivamente.

Il risultato pratico di quest”attivitĂ  è che, tra edilizia residenziale legale, abusiva e quella di tipo economico e popolare (anche questa abbastanza cospicua), è stata data la possibilitĂ  agli Anastasiani di soddisfare ampiamente le proprie esigenze abitative.
Con l”avvento della legge regionale 21/2003, non sono più consentiti incrementi delle edificazioni a scopo residenziale in quanto occorre puntare alla decompressione della densitĂ  abitativa esistente, per mitigare il rischio vulcanico. Cosa difficile a far digerire agli abitanti.

Allo stato delle cose occorre convincersi che, al di lĂ  del rischio Vesuvio, la costruzione d”altri edifici abitativi comporterebbe un ulteriore flusso migratorio verso il nostro territorio che aggraverebbe il giĂ  grave deficit infrastrutturale esistente. Meglio assecondare la decompressione abitativa giĂ  in atto, quindi, ed orientare il nuovo strumento urbanistico, PUC, alla ristrutturazione del tessuto edilizio esistente.

Il Piano Strategico Operativo della Provincia, PSO, prevede diversi incentivi premiali, in termini di superfici, per demolizioni d”edifici residenziali con trasferimento della cubatura in Comuni all”esterno della Zona Rossa oppure all”interno ma con cambio di destinazione d”uso, per adeguamento ad usi diversi delle residenze, per adeguamento ai rischi esistenti, per realizzazione d”opere di salvaguardia territoriale, di servizi ed infrastrutture.

A tal fine occorre intervenire con prioritĂ  sul tessuto urbano più antico e degradato, approntare un deciso piano di recupero e riqualificazione, utilizzando in tal modo sia gli incentivi premiali in termini di superfici previsti dal PSO sia tutti gli altri incentivi statali per la qualificazione energetica degli edifici e la dotazione d”impianti a risparmio energetico e d”energia alternativa.
Occorre, ovviamente, un cambio di mentalitĂ  da parte degli operatori del settore edilizio perchè si orientino al recupero e riqualificazione dell”esistente, anzichè alla costruzione del nuovo.
(Continua al prossimo articolo)

neAnastasis
Associazione Civica


ARTICOLO N.1

APPROFONDIMENTI

P.S.
Per giungere ad un Piano effettivamente partecipato è necessario un confronto tra più parti. Le idee ed i suggerimenti che l”Associazione fornisce vanno nella direzione di stimolare il confronto, per “stanare” dalla pigrizia i “portatori sani” di idee (sane), quelli del “vorrei ma non posso”, “potrei ma non voglio”.
Si invitano i lettori ad offrire il loro contributo, attraverso la funzione “Commenta”.
La Redazione

RISPOSTE AI LETTORI

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Il prof. Ariola risponde ai diversi quesiti che sono stati posti a commento di suoi precedenti interventi o arrivati per e-mail alla nostra redazione.

Un lettore ci scrive: “Il terremoto è un evento tragico e non mi va di scherzare, neppure con le parole. Ma mi sia consentito di rivolgere una preghiera:disambiguata ai futuri ricostruttori: “Edificatori, per favore, edificate in modo edificante!””
Mi associo alla preghiera. Aggiungo: Riflettete su questa grande sciagura, deponete furberia e sciacallaggio, conservate memoria dei morti e del dolore dei vivi e, anagrammando, non cercate nel “terremoto” un “remoto tre” (al posto di uno) o “torte” (di) “more” (da spartirvi con compari di malaffare), non agite “more tetro” (tetro italianizzato dal latino “taetro”) ma “more retto” (“retto” italianizzato dal latino “recto”).

Per il sig. Potenzano:
Signor Fabrizio Potenzano, lei vuole sapere perchè non usiamo, nel nostro parlare e scrivere quotidiano, la parola merda. In veritĂ , lo chiede in modo “reticente” (usa la reticenza, figura retorica che, come si sa, consiste nel non dire una parola, ma lasciandola intendere); infatti non la scrive esplicitamente la parola ma vi allude molto chiaramente indicandola con termini sostitutivi (escrementi, feci) o con perifrasi (retro-espulsioni organiche, rifiuti organici).

La parola in questione è italianissima non solo ma anche con tanto di blasone classico, derivando dal latino, come ognuno può apprendere consultando un buon dizionario della nostra lingua. Eccole un passo poetico in cui il termine è usato, in senso proprio e senza remore di sorta, da Orazio: “mentior si quid, merdis caput inquiner albis/ corvorum, atque in me veniat mictum atque cacatum/ Iulius et fragilis Pediatia furque Voranus.(Se dico bugie, mi insudici il capo/ la bianca merda dei corvi e venga/ a pisciarmi e a cacarmi addosso Giulio/ e l”effeminato Pediazia e il ladro Vorano”) (Serm. l. I, Sat. 8, vv. 37-39).

Anche Dante lo usa senza farsi scrupoli in senso reale: “E mentre ch”io lĂ  giù con l”occhio cerco,/ vidi un col capo sì di merda lordo,/ che non parea s”era laico o cherco”. (Inf., 18, vv.115-117).
E dopo di lui tanti altri scrittori, fino a Carducci, Gadda, Calvino.
Il termine si è conservato anche in altre lingue neolatine (Fr. merde, sp. mierda)
Senonchè, col passare del tempo, esso ha subito una espansione semantica, e dal senso reale è transitato nel senso figurato, andando ad indicare persone e cose che della merda hanno sostanza, consistenza e valore (talvolta anche odore).

Si è caricato così di una valenza sempre più negativa, finendo per esser sentito e per essere usato come parola plebea, volgare, triviale, degno esemplare del turpiloquio che il nostro perbenismo e il nostro puritanesimo, ovviamente il più delle volte ipocriti e falsi, non tollerano anzi decisamente si rifiutano, almeno ufficialmente, di praticare. Ecco perchè ai bambini si raccomanda che “merda” non si dice, ossia che è sconveniente pronunziare la parolaccia davanti a persone, come d”altronde le altre parole, attinenti o simili (Si consideri, uno per tutti, il derivato metonimico “stronzo” con la variazione femminile “stronza” e con l”efficace corrispondente dialettale “strunz” ” che richiama direttamente l”etimo longobardo).

Quanto alle altre domande rivolteci, diamo risposte brevi e perciò non esaurienti, rinviando per eventuali integrazioni ad un buon testo di linguistica.
I rapporti tra i vari popoli del pianeta, divenuti sempre più frequenti negli ultimi due secoli e cresciuti oggi a dismisura, hanno prodotto e producono anche “scambi linguistici”, sia a livello lessicale che a livello di frasi idiomatiche (prestiti, quando le parole di una lingua entrano in un”altra lingua e vi rimangono immutati, come, ad esempio, “week end”; calchi, quando le parole passano da una lingua ad un”altra solo tradotte, come, ad esempio “aria condizionata” dall”inglese “air conditioned”; modi di dire come ad esempio “last but not least”, ultimo ma non meno importante).

Credo le possa essere utile, in generale, questo pensiero di Federico Garlanda, che fu marito di Ada Negri: “Ora in tutti i casi immaginati, sia che una nuova lingua venga, per così dire, importata fra un popolo, sia che venga prodotta dal popolo stesso, le mutazioni della lingua sono dovute o a differenze giĂ  esistenti nel popolo, o a modificazioni che il popolo Ă  subito. In altre parole, possiamo dire che le mutazioni nei linguaggi sono prodotte da un adattamento etnologico, prendendo la parola “etnologico” nel suo significato più ampio e riferendola non solamente a differenze di razza, ma a tutte le modificazioni geografiche, storiche e climatiche:”
(da “La filosofia delle parole”, 1900).

“É IL MOMENTO DI RICOSTRUIRE L’ITALIA”

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Dopo la Grande Guerra è arrivato il momento di ricostruire ma le difficoltĂ  sono enormi. Musica, balli, soubrette e teatri offrono agli italiani occasioni per distrarsi e dimenticare.
Di Ciro Raia

L”11 novembre 1918, data della firma dell”armistizio con la Germania, la guerra si conclude su tutti i fronti. L”Italia può occupare i territori che le erano stati promessi con la firma del patto di Londra del 1915. Il prezzo è altissimo. Per sostenere la guerra, l”Italia ha pagato 160 miliardi di lire ed ha lasciato sui campi di battaglia 680.000 morti!

Il giorno dopo la fine della Grande Guerra è tutto più difficile. Il 1919 diventa l”anno della ricostruzione, della delusione, dell”amarezza. Il Paese è in pieno caos. I reduci dalla guerra non solo non trovano occasioni di lavoro ma sono anche beffeggiati. Gli scioperi nelle industrie paralizzano le attivitĂ  e rendono ancor più debole un paese ed uno Stato, che è, ormai, allo sfascio.
Il primo governo di pace, presieduto da Francesco Saverio Nitti, ha una difficile ereditĂ . E, come se non bastasse, prendono corpo nuovi pericoli. Gabriele D”Annunzio ed i suoi legionari marciano alla conquista della cittĂ  di Fiume; Benito Mussolini, alla testa di tutti gli scontenti, fonda a Milano i Fasci di combattimento.

Nel mese di novembre del 1919 ci sono le prime elezioni del dopo guerra. Il Partito Socialista di Giacinto Menotti Serrati risulta il primo partito con 156 deputati. Anche i Popolari di don Luigi Sturzo hanno un buon successo con 100 deputati. A perdere i consensi sono i Liberali di Giolitti, che calano da 310 a 179 deputati. Gli elettori hanno votato per un cambiamento radicale.

Ma è tutto il Paese che vuole cambiare, distrarsi, dimenticare. Un”occasione viene dal ballo: dall”Argentina è importato il tango. Ovunque, nelle sale da ballo, nei tabarin, nei saloni di casa, si balla al ritmo della musica argentina. Tutti si avventurano nei casquè. Le donne vestono in rigoroso color tango, un marrone bruciato; gli uomini, quando possono, si vestono da gaucho. Tutte le canzoni dell”epoca sono ispirate al tango (della gelosia, della capinera). Si differenzia solo Armando Gill -nome d”arte del cantautore napoletano Michele Testa-, che, nei teatri affollatissimi di tutta l”Italia, canta “Come pioveva:C”eravamo tanto amati, per un anno e forse più”, testi poetici per aiutare gli italiani a ricostruire e a ricostruirsi.

Dall”America, invece, si impone la moda del jazz. Quel ritmo, per lo più suonato da musicisti di colore, piace agli Italiani. Anzi, nel nostro paese diventa molto noto il nome di Buddy Bolden, un mitico jazzista.
Sulle spiagge ritornano i bagnanti; i costumi da mare lasciano scoperte le braccia e le ginocchia. I commercianti le tentano tutte, per invogliare ad indossare gli arditi costumi dell”epoca: “In acqua aderiranno al corpo e si vedranno molte cose”. L”abbronzatura, considerata abitudine cui è dedita il popolino, è evitata col ricorso a creme ed all”ombra di coloratissimi ombrellini.

Nei cafè-chantant si celebra la bellezza e l”arte di Anna Fougez, una tarantina il cui vero nome è Maria Annina LaganĂ , che, nel Trianon di Milano, ammalia cantando: “Vipera! Vipera! Sul braccio di colei ch”ora distrugge tutti i sogni miei”. Solo qualche anno prima un”altra soubrette ammaliatrice d”uomini, Ninì Tirabusciò, nome d”arte della fervente socialista Maria Campi, aveva sedotto con le sue canzoni i pubblici di tutta Italia, coinvolgendoli con l”invenzione della “mossa”.

Gli Italiani che amano leggere sono affascinati dallo scrittore Guido da Verona, il cui romanzo “Mimì Bluette, fiore del mio giardino” è un autentico best-seller, che è stato compagno prezioso per molti soldati impegnati nelle trincee. Ma molto successo riscuotono anche Vincenzo Cardarelli (“Prologhi”), Dino Campana (“Canti Orfici”) Luigi Pirandello (“Così è, se vi pare”) e Federigo Tozzi (“Con gli occhi chiusi”). Ma il vero libro per la formazione morale e patriottica degli italiani è stato pubblicato nel 1912: il titolo è “Il mio Carso” e l”autore è un triestino di nome Scipio Slataper.

C”è una novitĂ  anche per i bambini: sul “Corriere dei piccoli”, sin dal 28 ottobre 1917, impazzano le storie del “signor Bonaventura”, l”uomo dalla testa ovale e il naso a spillo, dai pantaloni bianchi e dalla redingote rossa (nella foto). Il suo autore è Sergio Tofano. Le storie del signor Bonaventura sono tutte a lieto fine; si concludono sempre con la conquista di un milione da parte del fortunato protagonista: “Qui comincia l”avventura del signor Bonaventura,/ che cogliendo un gelsomino/ dalla loggia del vicino/ troppo sportosi di fuori/ per raggiungere quel fiore/ capitombola di sotto/ con il fido suo bassotto”.

LA TRAGEDIA DELLA GRANDE GUERRA

PILLOLE DI “900

“FUGA DALLA GELMINI:PER LA VITTORIA:”

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Il terremoto d”Abruzzo ha assorbito il dibattito di questi giorni, com”era giusto che fosse. In quel disastro c”entra sì la natura, ma ci sono anche colpevoli. Intanto, qualcuno fugge dalla Scuola italiana:Di Raffaele Scarpone

Caro Direttore,
ora è venuto fuori che i palazzi dell”Aquila sono crollati, perchè gonfiati, in gran parte, di sabbie salmastre o di sabbie di cava non lavate bene e, quindi, di difficile presa col calcestruzzo! Se si fossero rispettate le regole (pilastri, travi, ancoraggi, armature, carico e posa in opera etc.), molto probabilmente, le scosse di terremoto sarebbero state meglio assorbite dalle strutture edilizie e, comunque, non ci sarebbero stati tanti morti. Sòrte uguale a quelle dell”Abruzzo subirono le abitazioni durante il sisma dell”Irpinia, nel 1980. Allora, il ferro impastato nei pilastri antisismici si torse, perchè non era a norma, perchè qualcuno aveva voluto risparmiare (meglio, aveva voluto guadagnare) sulla quantitĂ , sulla qualitĂ , sul peso, sul prezzo.

C”era stato qualcosa di simile anche a San Giuliano ed in altri sfortunati luoghi dove la terra si è scossa –quasi a voler disarcionare un improvvido cavalcante- per il passato. Alla fine sembra che la colpa sia sempre e soltanto degli agenti atmosferici, delle calamitĂ  naturali e via discorrendo. Ricordo sempre un proverbio (ma i proverbi continuano sempre ad essere la sapienza dei popoli?) che imparai da bambino: “L”uomo a sè stesso i mali fabbrica e la stoltezza sua chiama destino”.

Direttore, ma tu ti guardi intorno? Vedi quanti delitti commette l”uomo nei confronti della natura? Hai visto alcuni alvei del Somma-Vesuvio, i regi lagni (ma i Borbone si erano lasciati guidare da una scienza idrogeologica o no?): sono diventati –specie in punti dove più alta è stata la speculazione edilizia selvaggia e sono nati vasti agglomerati, senza servizi, senza sottoservizi- delle vere autostrade. Per forza, come si fa ad arrivare con le auto nelle tante case (condonate o non condonate ma tutte in sfregio alla natura) sparse lungo i crinali? Ed hai mai fatto caso, per esempio, allo spessore dei manti stradali?

Pensa che per assegnarne la direzioni a più tecnici –con operazione meramente clientelare- un chilometro di strada è suddiviso anche in quattro o cinque tronconi ed il manto diventa sempre più sottile, altro che asfalto antipioggia! E i materiali usati per le costruzioni, i luoghi prescelti per le stesse costruzioni (quando c”è un piano!)? Sembra di avere a che fare sempre con un Eduardo Nottola (Rod Steiger), un povero De Vita (Carlo Fermariello), uno scialbo sindaco ed un immancabile arcivescovo, giunto a benedire la posa di una prima pietra. Non chiedere chi sono questi signori, li conosci bene: vivono nel film di Francesco Rosi, “Le mani sulla cittĂ ”, vincitore del Leone d”oro a Venezia, nel 1963. E vivono anche, con nomi diversi, in tanti luoghi della nostra realtĂ .

Caro direttore, a ben pensarci, poi, non è sempre vero che i corrotti sono sempre e soltanto gli uomini di vertice. Diciamo che essi sono corruttibili (o incorruttibili), come tutti gli esseri umani fino a prova contraria. I corruttori sono quelli che tentano, che ammaliamo, che propongono, che fanno profferte, che venderebbero anche l”anima (o ne comprerebbero ad libitum) pur di ottenere qualcosa di legalmente inottenibile. Si cerca di corrompere per una costruzione incostruibile, per superare un esame a scuola, per vincere un concorso (senza merito), per fruire dei benefici riservati ai portatori di handicap e per altro ancora.

Il finale è sempre quello, come un ritornello, bisogna che cambino gli uomini, le loro teste, i loro valori. In una delle tante trasmissioni televisive seguite al dramma del terremoto del 6 aprile scorso, un intervistato, bene informato dei fatti, ha detto fuori dai denti: “Bisogna pensare prima, piuttosto che piangere dopo”.
Insisto, direttore, più che le parole servono i modelli. In questi giorni di relativo riposo, stavo rileggendo un libro di Alberto Granado, “Un gitano sedentario” (l”autobiografia del ragazzo che viaggiò in moto con Che Guevara) [Sperling & Kupfer Editori, 2004], da cui è stato tratto anche il film “I diari della motocicletta”.

No, non farmi il solito pistolotto; non dirmi che il Che è un simbolo della sinistra, che bisogna essere bipartisan ed altre fandonie tue solite. Le persone perbene stanno dappertutto –come quelle permale, d”altra parte- e se si ha la fortuna di incontrarle bisogna assumerne ogni goccia, ogni alito. Ebbene, nella prefazione, a firma di Gianni MinĂ , Alberto Granado, ricordando il suo amico, dice: “Ernesto aveva diverse qualitĂ  oggi fuori moda, non sapeva mentire mai, non accettava nulla che fosse contrario ai suoi principi e, inoltre, diceva sempre quello che pensava e faceva quello che aveva detto, un atteggiamento raro in un”epoca dove, come dice Eduardo Galeano (scrittore e giornalista uruguaiano, n.d.r.), le parole e i fatti non si incontrano mai e se si incontrano non si salutano perchè non si conoscono.

Mi sembra dunque logico che, in un contesto ostaggio del mercato, delle menzogne di chi ha il potere, del rifiuto dell”utopia, il suo pensiero torni d”attualitĂ  frantumando il tentativo del mercato stesso di trasformarlo in un gadget, nell”immagine stereotipata del guerrigliero sconfitto o in un simbolo fuori tempo”.
Non credo ci sia bisogno di altri commenti.

Caro direttore, per finire, il solito riferimento alla scuola. Non so se ti è capitato di leggere una notizia riportata da pochi giornali. I genitori di sette bambini di Muggia (Ts), un paesino attaccato alla Slovenia, preoccupati dalle nebbie prossime della didattica italiana, hanno iscritto i loro figli alla scuola slovena con lingua di insegnamento italiano. Bel colpo! Dopo Fuga da “Alcatraz”, “Fuga per la vittoria”, “Fuga da Los Angeles”, perchè non pensare anche a “Fuga dalla Gelmini”?

GLI APPUNTAMENTI PRECEDENTI

LA CHIESA E I PROBLEMI REALI DELLA GENTE

Spesso, di fronte a Istituzioni assenti, la comunitĂ  cristiana svolge ruoli di denuncia sociale e di supplenza. In altri casi, invece, finisce per essere succube dei poteri forti. Bisogna ripensare ad un “nuovo” ruolo dei cattolici in politica, dando …

“Le chiese del Sud devono diventare sempre di più luoghi di profezia e sorgente di speranza”.
A me sembra questa la bella sintesi del Convegno “Chiesa nel Sud, Chiese del Sud”, cui ho partecipato insieme ad altri tre delegati della nostra Diocesi, svoltosi il 12 e 13 febbraio scorsi, presso l”Hotel Tiberio a Napoli.

Convocati dal cardinale Crescenzio Sepe insieme a più di ottanta Vescovi e circa trecento tra laici religiosi e preti, provenienti dalle cinque regioni del Sud (Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia) abbiamo riflettuto, a vent”anni dal documento del 1989 della Cei “Sviluppo nella solidarietĂ . Chiesa italiana e Mezzogiorno“, sulla forte responsabilitĂ  della Chiesa e particolarmente delle Chiese del Sud nella societĂ  meridionale.
È stato un bel convegno, con relazioni forti e coraggiose. Ho ammirato, attraverso i quotati interventi
(anche in sala) che c”è un Sud non più rassegnato e piagnone, ma forte e libero di essere protagonista del proprio sviluppo.

Davanti ai tanti problemi sociali –mancanza di lavoro, delinquenza organizzata (camorra, mafia, n”drangheta), disimpegno etico– come si pone la Chiesa? – ci si è chiesto. Come coniugare la profonda tradizione cristiana o religiositĂ  popolare con i problemi reali della gente?
GiĂ  nel 1948 i vescovi di molte diocesi del sud intervennero sulla “questione meridionale”.
Nel 40^ anniversario della lettera collettiva i vescovi italiani, stavolta tutti, la Cei, riprendendo molti interventi di Giovanni Paolo II , indicò nella solidarietà tra Nord-Sud e nello sviluppo vero la via maestra della crescita meridionale.

Al Convegno di Napoli ricchissime sono state le relazioni tenute da Piero Barucci, Giuseppe Savagnone, Sandro Pajno e Carlo Greco.
Particolarmente applaudite quelle di Savagnone e di Pajno. Il Progetto Policoro (l”attenzione della Chiesa ai giovani disoccupati) è stato molto citato e indicato come esempio da imitare per una pastorale integrata e di speranza concreta.

Savagnone, con il suo solito pathos siciliano ha fatto un”analisi spietata e coraggiosa sulla presenza della chiesa meridionale nella societĂ . Dopo aver analizzato gli indubbi aspetti positivi, ha messo in risalto quelli negativi: una religiositĂ  poco attenta al sociale, poco progettuale e spesso lontana dal coniugare la fede con la vita. Ha parlato del “piano nobile” della chiesa (convegni, documenti, messaggi della gerarchia, seminari di studi, dibattiti tra esperti:.) e del “piano-terra” , quello cioè della pastorale ordinaria, delle parrocchie, dei gruppi, della vita quotidiana, che va in tutt”altra direzione e che “condiziona” al novanta per cento la pastorale. Il Prof. Savagnone ha esortato tutta la chiesa, ma in modo particolare il clero meridionale, ad essere attenta alle dinamiche sociali, far crescere i laici e testimoniare concretamente il Vangelo della povertĂ , della solidarietĂ , della denuncia e della profezia. Insieme, soprattutto.

Il Prof. Pajno, con estremo rigore scientifico, ha analizzato l”attuale momento politico e messo in risalto i pericoli del federalismo fiscale. Aumento delle disuguaglianze sociali, emergenza criminalitĂ , assistenzialismo, crisi della famiglia tradizionale: questo potrebbe andare ad aggiungersi alle tante e giĂ  note difficoltĂ . L”unitĂ  nazionale –hanno detto all”unisono i pastori delle diocesi meridionali– va salvaguardata ad ogni modo. Anche la reciprocitĂ  tra le chiese del nord e quelle del sud contribuisce allo sviluppo e al cambiamento.

A me pare che alcune sfide ci attendono, anche come chiesa:
Come colmare la distanza tra il culto e la vita? Come evangelizzare una religiositĂ  popolare che cede al miracolismo e alla superstizione? Come curare la schizofrenia tra coscienza religiosa e coscienza civile? Come aiutare i nostri parroci nell”opera di evangelizzazione che spesso vuol dire ricominciare dall”abc della fede e della dottrina sociale della chiesa? Quale contributo possono dare le comunitĂ  ecclesiali per combattere il racket del pizzo, l”inquinamento della finanza mafiosa, il condizionamento della politica? Come far ri-partire il motore dello sviluppo?

Talvolta la comunitĂ  cristiana svolge ruoli di denuncia sociale e di supplenza di fronte a istituzioni assenti. In altri casi cede a logiche clientelari, finendo per essere succube dei poteri forti. Come ri-pensare ad un “nuovo” ruolo dei cattolici in politica, dando fiducia ai laici più impegnati?
A questo convegno di Napoli bisogna assolutamente dare seguito.
Ma è stato, hanno detto gli organizzatori, solo l”inizio di un esaltante cammino.


PER APPROFONDIMENTI

UN VULCANO RIBOLLENTE DI :CAMORRA!

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Il punto di questa settimana riguarda il Comune di Boscoreale, sciolto per infiltrazioni camorristiche per ben due volte. 6/a tappa.
Di Amato Lamberti

Ha sempre destato meraviglia, anche in sede di Commissione parlamentare antimafia, il fatto che l”area vesuviana, in tutti i versanti del vulcano, fosse caratterizzata da una presenza diffusa e massiccia di organizzazioni camorriste. Quindi, non solo organizzazioni criminali dedite alle estorsioni e al controllo di traffici illegali, ma organizzazioni malavitose che si presentavano più come consorzi di cooperative ed imprese con forti collegamenti, anche familiari e parentali, con dipendenti pubblici, amministratori comunali e provinciali, sindaci, consiglieri regionali, parlamentari della Repubblica.

La prova migliore di questa situazione tutta particolare, che ha fatto pensare, al sottoscritto, ad una sorta di Principato Ultra della Camorra, diviso in tante baronie quanti erano i clan camorristici: gli Alfieri a Nola, i Russo a S.Paolo Belsito; i Cesarano a Pompei e Santa Maria la CaritĂ ; i Gionta a Torre Annunziata; i D”Alessandro a Castellammare; i Vollaro a Portici; i Galasso a Poggiomarino; i Moccia ad Afragola; i Fabbrocino a S.Gennaro Vesuviano; sono i Comuni sciolti per infiltrazioni ( dentro) e condizionamenti (interni ed esterni) della camorra. Praticamente sono stati sciolti tutti, una volta; qualcuno anche due volte; uno, Poggiomarino, addirittura, tre volte.

In tutti i casi, lo scioglimento è motivato da:
1) i rapporti di parentela, di stretta amicizia e di relazioni d”affari che legano alcuni componenti del Consiglio Comunale e alcuni Assessori -quando non lo stesso Sindaco- ad esponenti delle locali organizzazioni criminali;
2) il fatto che la malavita organizzata si era attivata, durante la campagna elettorale, a favore di alcuni candidati, poi risultati eletti;
3) l”uso distorto da parte di alcuni amministratori della cosa pubblica, utilizzata per il perseguimento di fini contrari al pubblico interesse al fine di favorire illecitamente soggetti collegati direttamente o indirettamente con la criminalitĂ  organizzata.

Ad esempio, nel decreto di scioglimento del Comune di Boscoreale, 15 dicembre 1998, si legge che: “i settori in cui emergono segnatamente l”utilizzo della pubblica amministrazione per personali tornaconti affaristici sono quelli degli appalti pubblici, della gestione finanziaria e dell”edilizia in relazione al fenomeno dell”abusivismo.” La presenza della camorra appare evidente anche per il clima di intimidazioni e di minacce che accompagna l”affidamento degli appalti pubblici. Per quanto riguarda, ad esempio, l”appalto per il servizio di nettezza urbana, nel capitolato erano state inserite clausole che favorivano una ditta giĂ  aggiudicataria dell”appalto e praticamente escludevano ogni concorrenza da parte di altre ditte.

Inoltre, il consigliere comunale che aveva fatto dei rilievi sullo stesso capitolato veniva selvaggiamente aggredito; altri due consiglieri comunali venivano costretti alle dimissioni; il funzionario comunale che ricopriva la carica di presidente della commissione di gara per gli appalti veniva prima minacciato e poi aggredito. Tutti gli appalti, da quello per l”adeguamento della rete idrica, a quello relativo ai servizi cimiteriali e a quello per la riscossione di alcuni tributi locali, vedevano come destinatarie ditte ricollegabili a soggetti gravitanti nell”ambito della criminalitĂ  organizzata locale.

Lo scioglimento del Comune non provoca sostanziali modificazioni, tanto è vero che il 26 gennaio 2006, si procede ad un nuovo scioglimento, perchè vengono accertate contiguitĂ  tra amministratori ed esponenti del crimine organizzato. Alcuni degli amministratori facevano parte del Consiglio Comunale sciolto nel 1998 e, nonostante fossero stati sottoposti a misure cautelari, erano stati nuovamente eletti, grazie all”aiuto dei clan criminali del territorio, interessati ad avere una sponda politica.

Il rapporto, che accompagna il secondo scioglimento del Comune di Boscoreale, mostra una situazione dove le organizzazioni criminali facevano praticamente quello che volevano in deroga ad ogni norma e sempre in combutta con amministratori che apparivano in condizione di totale subalternitĂ , tanto da procedere a riunioni ad horas della Giunta per sanare, anche in modo retroattivo, e in deroga ad ogni vincolo paesaggistico, abusi edilizi, carenze di autorizzazioni, violazioni di sigilli, ordinanze di demolizione.

Persino l”erogazione di contributi in favore di associazioni socio-culturali vedeva come beneficiari personaggi legati alla criminalitĂ  organizzata, che, normalmente, mettevano a disposizione le loro sedi per la campagna elettorale degli stessi amministratori comunali di riferimento.

LE PUNTATE PRECEDENTI

IL DISAGIO DEGLI ADOLESCENTI

La scuola è l”universo in cui si incontrano i più diversi “tipi” di adolescenti: da quello “a rischio”, portatore di un disagio evidente, a quello che manifesta un disagio latente.
Di Annamaria Franzoni

La volontĂ  di partecipare al dibattito sul disagio adolescenziale, fornendo un apporto concreto alla tanto discussa e complessa questione, nasce dal desiderio di uscire dalle astratte discussioni sull”argomento ed invitare il lettore ad un confronto sulle osservazioni e sulle quotidiane esperienze che la mia professione mi consente e mi ha consentito di fare a costante contatto con i più variegati “tipi” di adolescenti che si possono incontrare nelle scuole di frontiera, in quelle del centro storico, in quelle dell”hinterland cittadino o della provincia.

Si parte dall”adolescente cosiddetto “a rischio”, quello che si presenta ai nostri occhi senza veli, portatore di un disagio evidente e che manifesta tutto il suo bagaglio affettivo, sociale, familiare: egli ci sfida in maniera aperta e diretta, presentatoci la sua vita troppo spesso caratterizzata da tappe saltate o anticipate e che lo ha costretto ad instaurare forme comunicative con il mondo dell”adulto e del coetaneo fatte di espedienti e all”interno dei quali ha dovuto assumersi in prima persona i rischi della “sopravvivenza” conquistando a fatica uno spazio d”azione.

L”evidenza di tale disagio è netta ed è stata definita da un ampio lessico che nel tempo è andato assumendo sfumature sempre più puntuali e caratterizzanti quali: mortalitĂ  scolastica, abbandono, ritiro formalizzato, insuccesso, inadempienza, interruzione provvisoria o definitiva della frequenza scolastica.
L”adolescenza, però, essendo il momento della vita a più alto livello di criticitĂ , presenta, in una societĂ  sempre più articolata e complessa , “nuove forme di disagio latente” e per di più apparentemente ingiustificato, che colpiscono categorie sociali diverse. La riflessione più immediata , ma tuttavia superficiale e disattenta, consiste nel sottolineare che l”adolescente medio di oggi ha tutto, dal cellulare al motorino, dal lettore MP3 alla miniauto, dal giubbotto griffato al televisore al plasma.

Allora dove risiede il suo disagio, la sua sofferenza, il suo dolore?
Siamo, pertanto, chiamati ad osservare, analizzare e studiare queste nuove forme di disagio, intervenendo nell”intricato mondo delle emozioni per riconoscere ed individuare le strategie vincenti .
Un buon punto di partenza potrebbe essere di assumere il punto di vista del nostro adolescente sofferente, cercando di individuare le difficili relazioni tra emozioni e sentimenti che lo attraversano assumendo talvolta significati opposti.

Soltanto così possiamo aprire la strada ad un incontro tra mondi contrastanti.
La nostra sicurezza, il nostro mostrarci saldi ci consentirĂ  di offrire il nostro appoggio sicuro, non con le nostre “dichiarazioni” ma con il nostro “comportamento” che dĂ  loro sicurezza e fiducia.
Noi siamo il porto, loro la navi; noi siamo la roccia saldamente ancorata alla costa e loro possono veleggiare sicuri perchè sanno che il porto è lì, sicuro da ogni bufera, pronto ad accogliere la nave sbattuta dalla tempesta.

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