Simone, killer condannato a 30 anni. La madre: “Mi hanno dato altre 9 coltellate”

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Simone e la mamma Natascia
Simone e la mamma Natascia

 

CASALNUOVO – La prima sezione della Corte di Assise di Napoli, presieduta da Teresa Annunziata, ha condannato a 30 anni di reclusione Domenico Iossa, il diciannovenne reo confesso dell’omicidio dello studente Simone Frascogna, assassinato a 19 anni, nel centro di Casalnuovo, il 3 novembre 2020, dopo una lite per motivi di viabilità. Stamattina, davanti all’ingresso di piazza Cenni del Tribunale di Napoli, è stato esposto da amici e parenti uno striscione con per chiedere “Giustizia per Simone”.

Ad attendere la sentenza ci sono anche i genitori di altri giovani uccisi. Al processo si sono costituiti parte civile i Comuni di Casalnuovo e Napoli. Per l’assassinio del ragazzo sono stati già condannati due complici minorenni di Iossa. Si tratta di F.T., 17 anni, di Casalnuovo, al quale sono stati inflitti 10 anni di reclusione e dui C.B., anche lui 17enne, che il gup del tribunale dei minorenni ha condannato a 7 anni di reclusione. F.T. è stato condannato per concorso nell’omicidio di Simone, mentre C.B. per aver tentato di uccidere un amico della giovane vittima. Domenico Iossa, difeso dall’avvocato Antonio Iorio, dopo essersi costituito dichiarò di avere accoltellato Simone perché stava avendo la peggio in una colluttazione che lui e i suoi amici avevano innescato. Il sostituto procuratore di Nola, al termine della sua requisitoria, ha chiesto l’ergastolo e 6 mesi di isolamento per Iossa.

 

La madre. “Con questa sentenza, emessa dalla Corte di Assise di Napoli, mio figlio è stato ucciso di nuovo, ci sono state inflitte altre 9 coltellate”. L’ha accolta con dolore, Natascia Lipari, la mamma di Simone Frascogna – il 19enne accoltellato e ucciso per motivi di viabilità – la sentenza con la quale oggi uno degli assassini, Domenico Iossa, 19 anni, è stato condannato a 30 anni di reclusione.

“La vita di mio figlio – ha aggiunto Natascia – non vale 30 anni. La pena giusta sarebbe stata l’ergastolo, quello che stiamo scontando noi da quel tragico giorno in cui Simone è stato barbaramente assassinato. Abbiamo a disposizione un video, che renderemo pubblico a tempo debito, nel quale si vede la ferocia con la quale l’assassino di mio figlio ha agito. Oggi – ha concluso la signora – lo Stato italiano ha detto che si può uccidere”. Per uno dei legali della famiglia della vittima, l’avvocato Alfonso Liccardo, “i giudici hanno erogato una pena severa, la massima dopo l’ergastolo. Sono state concesse le attenuanti generiche. Leggeremo nelle motivazioni ma credo che abbiano pesato su questa decisione la giovane età e il fatto che Iossa era incensurato. E’ giusto pensare alla rieducazione, credo sia questo il ragionamento della Corte, ma noi non siamo soddisfatti e siamo pronti ad affiancare il pm Patrizia Mucciacito, che ha fatto un lavoro eccezionale, quando proporrà appello”. L’avvocato Liccardo ha ricordato che Iossa ha sferrato ben nove coltellate per uccidere Simone, che si è costituito due giorni dopo l’omicidio e che l’arma del delitto, come il suo cellulare, non li ha mai fatti ritrovare. Alla lettura della sentenza hanno assistito anche il sindaco di Casalnuovo e la Fondazione Polis. All’esterno del nuovo palazzo di giustizia di Napoli hanno accolto con dolore anche una folta rappresentanza di familiari di vittime: i familiari di Gianluca Coppola, il 27enne morto dopo essere stato ferito per motivi di gelosia, a colpi di pistola, lo scorso 8 aprile a Casoria e i parenti di Maurizio Cerrato, ammazzato a coltellate, lo scorso 19 aprile, per un parcheggio.

C’era anche Anna Gaeta, vedova di Patrizio Falcone, il marittimo di 42 anni ucciso con una coltellata al cuore per diverbi condominiali: “Chiediamo la vicinanza delle istituzioni – ha detto Anna – alla morte dei nostri cari si aggiunge la solitudine nella quale siamo stati lasciati dalle istituzioni. Rispetto alle famiglie delle vittime di femminicidio e della camorra, siamo praticamente vittime di serie Z”. “Come in tante altre occasioni – ha detto Francesco Emilio Borrelli, anche lui in piazza per sostenere la famiglia di Simone – sono al fianco delle vittime. Mentre a favore dei carnefici scendono in piazza migliaia di persone e politici, al fianco delle vittime incontro sempre meno gente. Il nostro dovere uomini delle istituzioni è di stare al fianco delle persone perbene vittime di violenze inaccettabili. E invece paradossalmente queste persone sono sempre più sole”.