San Lorenzo e San Giovanni: due quartieri storici dell’antica Ottajano

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Trovandosi lungo un sistema di strade che congiungeva Ottajano al Nolano e a alle città del mare, gli abitanti dei due quartieri si dedicarono alla costruzione delle botti, alla gestione delle taverne, alla lavorazione della seta e della canapa, alla lastricatura con basoli delle vie, al trasporto delle merci. Numerosi erano i “cocchieri”, e molti di essi erano impareggiabili trasportatori dei sacchi di pasta da Torre alle botteghe del territorio vesuviano. Solo i cocchieri ottajanesi della pasta avevano il supporto degli “apparatori”.

 

Gli atti della Polizia borbonica consentono di iscrivere al partito “liberale” anche Francesco Del Giudice, che abitava tra il quartiere San Giovanni e piazza san Lorenzo. Egli partecipò ai moti del ’48, a Napoli, stette in carcere per due mesi e fu a lungo membro influente del Decurionato (Consiglio Comunale), di Ottajano, ove combatté una lunga battaglia per fare sì che la vendita del legname delle selve pubbliche e la politica dei dazi rimpinguassero anche le casse del Comune, e non solo quelle dei soliti “galantuomini”. San Lorenzo, a metà dell’Ottocento, è una piazza piena di vita. A poca distanza l’una dall’altra funzionano quattro bettole, condotte da Antonio Minichino, Michele Liguori, Luigi Saviano “Russetto” e Giuseppe Grillo, che è di Sant’Anastasia. Nella sua bettola a Casalvecchio il Minichino “mesce” anche l’aglianico che i suoi fratelli importano dalla Basilicata, circa 5000 litri ogni anno. Sulla strada, là dove oggi c’è la Farmacia Scudieri, tiene bottega Vincenzo Perillo, “caffettiere e speziale manuale”, che gestisce una “caffetteria” anche presso la Taverna del Passo: qui si gioca a bigliardo, e anche i nemici del Perillo, che non sono pochi, devono ammettere che intorno a quel bigliardo non succede mai una rissa, i giocatori si comportano tutti con esemplare correttezza. Forse perché sanno che con don Vincenzo non si scherza: il fratello Giovanni, sensale, è sospettato dalla polizia borbonica e poi da quella “italiana” – i poliziotti sono gli stessi, cambia solo la divisa – di esigere la “camorra” sul mercato dei cavalli sia a Nola che a Pagani. Il bisnonno del Perillo aveva lastricato di basoli la prima via interamente “basolata” del territorio, quella che scende dal Palazzo Medici e va al Palazzo Albertini. La Taverna del Passo i Medici l’hanno affidata alla gestione del “sangiovannaro” Nicola Starita, che spesso dimentica di comunicare alle guardie urbane i nomi dei forestieri che alloggiano nella locanda. Accanto alla Taverna c’è l’ufficio delle guardie daziarie, che dovrebbero controllare e registrare la quantità e la qualità delle carni, del vino e della farina che i “vatecari” fanno entrare in Ottajano: dovrebbero, ma spesso non vedono, si distraggono, o come dice sarcasticamente il sindaco Di Prisco, “cadono in confusione”.  A San Lorenzo funzionano le macine di Giovanni Saggese e di Francesco Saverio Annunziata, la farmacia di Vincenzo Pisanti, la distilleria di Giovanni Cunto che “fabbrica acquavite” di buona qualità e le “stalle” di “calessieri e di carrettieri”, i Ciniglio, gli Avino, i Di Palma, i Capasso, e gli Aprile, noti come “‘e Pizzola”, forse perché vengono dall’omonimo quartiere di Terzigno: i loro carri sono attrezzati per il trasporto delle botti, e i loro cinque calessi fanno il servizio “passeggeri” fino a Nola. I Capasso, invece, hanno “tiri” specializzati nel trasporto dei sacchi di pasta corta e di maccheroni dai mulini di Torre alle botteghe del territorio vesuviano: non è un trasporto facile: fossi e pietre costituiscono (solo allora?) un problema per i carri, e l’urto può provocare la frantumazione della pasta in “fregonaglia”. Ma i “vatigali” ottajanesi hanno, essi solo, il supporto di un “apparatore”, uno esperto nel collocare i pacchi di pasta in modo tale che l’urto eventuale non faccia troppi danni. Tutt’intorno a piazza San Lorenzo, durante il giorno, dall’alba a sera tarda, strepitano novanta telai che impegnano quasi duecento donne nella tessitura del lino e della canapa: il commercio dei “panni” è controllato dai Cozzolino, dai Pisanti e dai Ranieri.I documenti descrivono i corredi matrimoniali delle figlie dei “galantuomini”, gli arredi dei palazzi, la “tavola” imbandita per gli invitati il giorno delle nozze e ci fanno “entrare” nei granai e nelle cantine ipogee. I documenti ci dicono parecchie cose nuove anche sulle opere d’arte conservate nelle Chiese: ci descrivono, per esempio, i sei “piviali” di seta e gli otto reliquiari d’argento conservati nel 1858 nella Chiesa di San Lorenzo- scomparsi poi durante qualche eruzione, poteva capitare, o per colpa di qualche sacerdote distratto – e ci confermano che lo smisurato “telero” del Mozzillo venne offerto da Giuseppe III Medici, e venne montato dai falegnami e dai muratori guidati da Giovanni De Rosa.