Quando a Ottajano le zeppole di San Giuseppe le vendevano i fornai….

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1865

I Medici di Ottajano, che a partire dalla metà del ‘600, chiamarono i primogeniti, destinati a ricevere il titolo di Principe, o Giuseppe o Michele, diedero grande rilievo alla festa del 19 marzo e fino all’ultimo parteciparono a tutte le manifestazioni organizzate dagli abitanti della “frazione” San Giuseppe in onore del Santo.

 

Nel 1866 Emanuele Rocco si divertì a descrivere i moti di folla innescati dalla festa di San Giuseppe e a delineare la differenza tra pasticciere e “zeppolajuolo”: è la stessa differenza che c’è tra il nobile e il plebeo. Il pasticciere “appartiene all’ aristocrazia e mette il suo forno a Toledo e a Chiaia; il secondo è democratico e stabilisce i suoi fornelli nei più luridi e oscuri bugigattoli dei vicoli angusti che deturpano la nostra bella città, affumicando sé e i suoi vicini” mentre frigge “zeppole, zeppole di riso, scagliuozzoli, vuzzarielli, palle e vorraccce”.Ricordo nitidamente la nera caldaia del friggitore ambulante che a metà degli anni ’60 preparava le zeppole in piazza San Lorenzo, a Ottaviano. E’ probabile che Giuseppe IV Medici facesse servire, con altri dolci, anche le rituali zeppole ai “signori” che egli invitava a pranzo, a Palazzo, il giorno del suo onomastico: zeppole raffinate era in grado di preparare Giacomo Serra, il cuoco di famiglia, nipote di quell’ Antonio Serra che aveva diretto la cucina dei Duchi di Miranda, la famiglia della moglie del Principe, e che era famoso soprattutto per le “pastiere”. Certamente non c’erano le zeppole nei “pacchi” che Giuseppe IV Medici, e poi suo figlio Michele, e infine Giuseppe V, che chiuse la storia della famiglia, usavano donare ai “miseri” di Ottajano il giorno di San Giuseppe, a Pasqua, l’8 maggio sacro a San Michele, e a Natale: c’erano, in quei” pacchi”, pasta, vino e pane. Le carte ci dicono che il pane era, a Ottajano, “simbolo” della festa di San Giuseppe, perché lo distribuivano ai “miseri” anche le famiglie dei “signori” e le congreghe: e mi pare giusto, perché il pane è il simbolo più alto e più completo dell’istituzione famigliare. Non so se l’ultimo Medici gradisse le zeppole: certamente le gradiva sua moglie, Felicita Gallone dei Principi di Tricase, che con i dandy napoletani era brillante protagonista delle serate al Gambrinus, tempio della zeppola e della sfogliatella. Agli inizi del ‘900 i pasticcieri ottajanesi, Giovanni Fusco, Alfonso e Giuseppe Pascale, erano già famosi in tutto il territorio vesuviano e avevano avviato una tradizione di eccellenza che resiste ancora, per fortuna, mentre altre tradizioni sono “evaporate”. Ma le famiglie dei “signori” ottajanesi, che avevano occupato gli spazi lasciati dai Medici, avevano quasi tutte il cuoco in casa, e partecipavano a una vera e propria gara tra cuochi: erano cuochi di prima fila quelli dei notai Gregorio Gionti e Raffaele Saggese e dei medici Francesco Cola e Giuseppe Minichini: ce lo dicono i documenti di contratti di matrimonio, di pranzi nuziali e delle sagre che si tenevano a maggio e a settembre. Ma è solida la convinzione che anche gli avvocati Alfredo e Francesco Bifulco, rappresentanti della famiglia che più di ogni altra era stata legata alla storia dei Medici, e i farmacisti Francesco e Giuseppe De Gennaro facevano di tutto per accrescere il prestigio della cucina di casa. Nel marzo del 1904 gli assessori Raffaele Cola e Giuseppe Prisco autorizzarono i fornai panettieri Francesco Avino, Massimo Prisco e Fusco Pasquale – essi tenevano bottega a San Lorenzo, a San Giovanni e a San Gennarello – a esporre in pubblico il banco delle zeppole “per l’intera settimana di San Giuseppe”, a far sì che la gente sapesse quali ingredienti erano stati usati, e a scrivere su un cartello visibile il prezzo di ogni zeppola. Erano anni in cui  le zeppole fritte e l’olio dei friggitori ambulanti subivano l’attacco di medici illustri, ed erano frequenti i casi in cui “’e zeppolaiuoli” venivano allontanati dalle strade. Oggi, i pasticcieri di Ottaviano sono tutti Maestri: ma mi sono ricordato di queste notizie gustando una zeppola da “Donna Rosa”, presso la Ferrovia dello Stato – quella che fu la Ferrovia dello Stato: una zeppola presa da una guantiera “schierata” accanto ai “pezzi” di pane bianco appena usciti dal forno: e ho “sentito” l’odore del pane che creava una saporosa armonia tra la croccantezza gentile della sfoglia e l’avvolgente profumo della crema, quel particolare profumo – scrive Piero Camporesi – che conquista, nello stesso momento, l’olfatto e il gusto. La dolcezza di Ottaviano.