Nel 1874 il prefetto Antonio Mordini condusse la prima inchiesta sulla camorra “napoletana”

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La prima seria inchiesta dopo l’unità d’Italia. Il prefetto Antonio Mordini, garibaldino della prima ora, senatore del Regno, vide confermati dall’inchiesta i suoi sospetti sulla micidiale riorganizzazione della “setta” dei camorristi. L’ispettore di Portici chiamò “correligionari” i membri di ogni squadra di camorra. L’ispettore di Portici parlò della “camorra vesuviana”, che incominciava a controllare le strade del commercio con Napoli e con Castellammare, e pretendeva di discutere “alla pari” con la camorra napoletana.

 

Una prima indagine, conclusa nel 1864, indicò chiaramente che la “setta” era presente in tutti i quartieri di Napoli, ma questa “presenza” era consistente soprattutto nei cosiddetti “quartieri bassi”, la Vicaria, il Mercato, il Porto, dove era più alta – fece notare Marcella Marmo – la circolazione “di merci, di danaro, di servizi”. La camorra gestiva furti, grassazioni, contrabbando, controllava le lotterie clandestine, le case del gioco d’azzardo e la prostituzione esercitata nei “bordelli” dell’Imbrecciata. Nel 1862 vennero sequestrate nelle carceri di Napoli numerose lettere, prova sorprendente e preziosa della corrispondenza che i membri della “camorra carcerata” tenevano con i compagni della “camorra libera” per regolare la spartizione del danaro entrato nelle casse e per trasmettere informazioni sulle azioni da portare a termine e sugli spostamenti dei detenuti. Marc Monnier pubblicò alcune di queste lettere e fece notare che esse confermavano che la società della camorra era ormai diventato un sistema solido e coordinato, diretto da capi dei quali tutti i camorristi riconoscevano l’autorità. Nel 1874 Antonio Mordini volle capire se e come la camorra si stava riorganizzando dopo l’unità d’Italia e perciò inviò un questionario agli ispettori dei quartieri di Napoli e a quelli di Barra e di Portici. L’ispettore del quartiere Chiaia, nella sua lunga risposta, osservò che la camorra non era stata combattuta “alle radici: dopo i primi colpi si è soprasseduto, tanto che questa ha ripreso lena e ha mutato d’indirizzo, per modo che le è riuscito agevole di rinvigorire e nascondersi, in guisa da lasciare financo dubitare della sua esistenza. Il rimpatrio dal domicilio coatto è stato letto come debolezza del Governo…La camorra ha saputo distendere i suoi rami fin nel campo delle elezioni politiche, da dove ha tratto nuova vita, sicurezza e garanzia”. Mentre sotto i Borbone era organizzata come una setta, oggi, continua l’ispettore, “la camorra ha preso un altro indirizzo e, invadendo le diverse branche di commercio e industrie”, costringe gli imprenditori e i commercianti a “mettersi frastornati nella imprescindibile necessità di farla compartecipe degli utili”. L’altra “modificazione della camorra consiste nella finzione del decentramento (l’ispettore scrive discentramento), poiché non deve apparire alcun elemento che faccia ritenere che esista fra componenti di essa un ordinamento riconosciuto e accettato, con direzioni e dipendenze”, e se i camorristi in pubblico ostentano reciproca assistenza, “lo fanno per dare di sé un’immagine, per imporsi e per generare quel panico che è tanto utile alle loro delittuose imprese”. L’ispettore reggente di Portici disse con chiarezza la sua amara verità“a partire dal 1870 lo Stato ha mostrato condiscendenza verso i capi della camorra nella lusinga che per opera di costoro si scoprissero i delinquenti comuni”. I capi organizzavano furti, ne affidavano l’esecuzione a ladri infidi, e al momento opportuno avvertivano la polizia, che sorprendeva i mariuoli in flagranza di reato. La camorra otteneva così due risultati: rafforzava il proprio prestigio e si liberava di personaggi scomodi. Si è arrivati al punto di vedere un funzionario di P.S., il delegato Vacca, gozzovigliare pubblicamente assieme al noto Cappuccio e ad altri: così scrive il reggente di Portici, con nervosa grafia. Egli proponeva che il domicilio coatto fosse perpetuo, e si permetteva di far notare al Prefetto che era una follia pura mandare i coatti in quelle province, Salerno, Avellino, Benevento, Caserta e Foggia, in cui la camorra aveva già messo radici: lì i camorristi che arrivano da Napoli trovano sostegno nei correligionari del luogo. Correligionari: è una parola che da sola vale quanto un libro. (Napoli è la città in cui il tempo si è fermato. È una pacchia per chi scrive di storia). L’ispettore di Portici espresse l’augurio che il Prefetto adottasse decisivi provvedimenti per “liberare dall’assillo della camorra vesuviana” i “vatigali” che a decine ogni giorno trasportavano sui loro carri le merci verso le città della costa e dai mercati “agrari” di Nola e di Avellino verso i paesi ai piedi del vulcano.