Leopardi, viaggiatore “complicato”: l’incredibile giudizio sulle donne romane

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Leopardi non si mette d’accordo con sé stesso nemmeno quando si domanda se sia meglio vivere in città grandi o in città piccole. Più volte dichiara la sua preferenza per le città piccole, ma cambia idea appena torna a Recanati, “città morta, sciocca e microscopica” (lettera del 6 maggio 1825, a Pietro Brighenti); e tuttavia, nel “Dialogo di Timandro e Eleandro”, Eleandro dice che non c’è poesia che possa dilettare o “muovere” i lettori che vivono in città grandi. L’articolo è tratto dal mio libro “Leopardi a Napoli” pubblicato da “Selvaggio Edizioni”. Correda l’articolo l’immagine del quadro “Donna con ventaglio” di Edoardo Tofano.

Intervistato da Gianfranco Brevetto, Attilio Brilli, profondo studioso della letteratura del viaggiare, parlando di Leopardi viaggiatore sottolineava l’importanza di alcuni versi della canzone “Ad Angelo Mai”, composta nel gennaio del 1820. “..Ahi, ahi, ma conosciuto il mondo / non cresce, anzi si scema, e assai più vasto / l’etra sonante, e l’alma terra e il mare / al fanciullin, che non al saggio, appare/….A noi ti vieta/ il vero appena è giunto, / o caro immaginar; da te s’apparta / nostra mente in eterno; allo stupendo /poter tuo primo ne sottraggon gli anni; / e il conforto perì dei nostri affanni.”. Nella netta opposizione tra “vero” e “immaginar” si delinea, nitida, la difficoltà che gli studiosi incontrano nell’indicare il rapporto di Leopardi con Illuminismo e Romanticismo e nel disegnare, in modo chiaro e completo, la figura del poeta “flaneur”, che vuole conoscere il mondo, ma ha paura di conoscerlo troppo e ritiene necessario che tra lui e l’infinito ci sia sempre una siepe, e che la siepe sia alta e scura tra lui e le strutture architettoniche del luogo. Nelle sue lettere Leopardi dedica rari e brevi cenni alle strade, ai palazzi e ai tesori d’arte di Roma, di Firenze, di Napoli: il “luogo”, una volta conosciuto, “si rattrappisce”, esce dagli spazi dell’immaginazione per entrare in quelli, amari, della delusione. Leopardi vuole viaggiare perché non sopporta la “gabbia” di Recanati, ma ci sono momenti in cui egli associa il partire al morire, come nella lettera del 14 aprile del 1826 al fratello Carlo. In una lettera di quattro anni prima, raccontando al fratello alcuni momenti del viaggio per Roma, egli metteva insieme delle notizie che ci dicono chiaramente quanto complessi siano stati il suo “carattere” e il suo rapporto con i “luoghi”:

dovete sapere che (a Spoleto) io scrissi in tavola fra una canaglia di Fabrianesi, Iesini ec. i quali s’erano informati dal cameriere dell’esser mio, e già conoscevano il mio nome e qualità di poeta ec. ec. E un birbante di prete furbissimo ch’era con loro, si propose di dar la burla anche a me, come la dava a tutti gli altri: ma credetemi che alla prima mia risposta, cambiò

tuono tutto d’un salto, e la sua compagnia divenne buonissima e gentilissima come tante pecore. Scrive giustamente Michele Dell’ Aquila che l’epica del viaggio è in Leopardi la dimensione tutta interiore del pensiero che attraversa orizzonti di tempo e di spazio sconfinati. Il poeta soggiornò a Roma tra il novembre del 1822 e l’aprile del 1823 e poi, con Antonio Ranieri, tra il 1831 e il 1832, e vi si fermò nel settembre del ’33, durante il viaggio per Napoli. Il poeta, che “conosce” analiticamente, con il pensiero e con l’immaginazione, la Roma di Cesare, di Cicerone, di Virgilio, e anche quella di Madame De Stael, è fatalmente deluso dalla Roma papalina e dai suoi intellettuali per i quali filosofia e letteratura non hanno alcun valore, ma esiste solo “l’Antiquaria”, e che consumano il tempo nel chiedersi “se quel sasso appartiene a Marcantonio o a Marcagrippa”: e tuttavia “non c’è Romano che realmente possieda il Latino e il Greco”. Leopardi è deluso anche da Angelo Mai, e non ha pietà né per l’abate Francesco Cancellieri – “è un coglione, un fiume di ciarle” -, né per le donne, che descrive al fratello Carlo nella lettera del 6 novembre del ’22: una descrizione che, per la sorprendente novità di certe “immagini”, conviene leggere per intero: mi ristringerò solamente alle donne, e alla fortuna che voi forse credete che sia facile di far con esse nelle città grandi. V’assicuro che è propriamente tutto il contrario. Al passeggio, in Chiesa, andando per le strade, non trovate una befana che vi guardi. Io ho fatto e fo molti giri per Roma in compagnia di giovani molto belli e ben vestiti. Sono passato spesse volte, con loro, vicinissimo a donne giovani: le quali non hanno mai alzato gli occhi; e si vedeva manifestamente che ciò non era per modestia, ma per pienissima e abituale indifferenza e noncuranza: e tutte le donne che qui s’incontrano sono così. Trattando, è così difficile il fermare una donna in Roma come in Recanati, anzi molto più, a cagione dell’eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d’ipocrisia, non amano altro che il girare e divertirsi non si sa come, non la danno (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi. Incredibile Leopardi……